Gender pay gap inverso: quando le donne strappano più soldi degli uomini

La scalata verso la parità di genere – calcolata secondo i parametri del Global Gender Gap Report del World Economic Forum – procede in maniera lenta, tanto che ci vorranno almeno cent’anni per raggiungerla. L’Italia occupa la 76esima posizione nel Rapporto 2020 (sei posizioni in meno rispetto al 2019). Le criticità del nostro Paese sono […]

La scalata verso la parità di genere – calcolata secondo i parametri del Global Gender Gap Report del World Economic Forum – procede in maniera lenta, tanto che ci vorranno almeno cent’anni per raggiungerla. L’Italia occupa la 76esima posizione nel Rapporto 2020 (sei posizioni in meno rispetto al 2019). Le criticità del nostro Paese sono ormai ben note: istruzione, salute e sopravvivenza, valorizzazione politica, partecipazione e opportunità economiche, con tasso di occupazione femminile ancora inferiore alla media UE e OCSE, elevata disoccupazione femminile e difficoltà di accesso alle posizioni apicali (seppur con lievi miglioramenti rispetto al passato), disparità salariale fra uomini e donne a parità di livello e di mansioni. Ma c’è un caso che può far sperare in un’inversione di tendenza, “un’anomalia” del sistema in grado di innescare una riflessione dall’accento non completamente negativo. Si chiama gender pay gap inverso.

 

Il gender pay gap inverso in Italia

A prenderlo in considerazione è il Gender Pay Gap Report 2019 dell’Osservatorio JobPricing, realizzato in collaborazione con Spring Professional, basato su circa 400.000 profili retributivi relativi a lavoratori dipendenti di aziende private, raccolti durante il periodo 2014-2018. Analizzando un panel statisticamente significativo di 650 ruoli estratti dal database JobPricing, emerge che – a parità di ruolo e inquadramento – nel 23% dei casi le donne hanno retribuzioni superiori agli uomini.

Il fenomeno è marginale o può delinearsi un trend più solido? «A oggi non abbiamo ancora un’evidenza conclamata, sebbene i dati che abbiamo raccolto anche dopo l’ultimo report si siano confermati in gran parte. Siamo ancora a livello di indizi, più che di prove. Il gap inverso, purtroppo, sembra ancora non avere una tendenza sistematica e pare piuttosto casuale. Inoltre, anche quando guadagnano di più dei maschi, lo scarto massimo a favore delle donne resta più basso del pay gap medio a loro sfavore nel mercato nel suo complesso», commenta Alessandro Fiorelli, CEO di JobPricing. Quando, infatti, gli uomini guadagnano più delle donne, il gap a loro favore può arrivare al 20%, mentre a parti invertite si arriva al massimo all’8%.

Tra i ruoli per cui la retribuzione delle donne è superiore a quella degli uomini ci sono ad esempio: responsabile delle risorse umane e direttore vendite per quanto riguarda le posizioni dirigenziali; e-commerce manager, responsabile laboratorio qualità di prodotto e addetto ufficio stampa per i quadri; brand manager, assistente di direzione, responsabile contabilità e amministrazione, operatore help desk per gli impiegati. Ma non esistono categorie predefinite a contrasto del divario salariale. «I ruoli sono molto eterogenei. Non ne possiamo trarre ancora una tendenza settoriale o funzionale del reverse pay gap. Si tratta però di ruoli che, a prescindere da funzione e settore merceologico, sono caratterizzati da elevato expertise, salvo qualche rara eccezione». Qualcosa scalfisce, dunque, il “soffitto di vetro”.

Le competenze – sottolinea Fiorelli – sembrano confermarsi come una difesa fondamentale verso le differenze di genere. «Una lettura, del resto, coerente col dato che ci dice che il gap uomo-donna è in proporzione più alto per i profili a bassa professionalità, operai in primis. Se consideriamo che le donne studiano di più, si può sperare». Le laureate, nel 2018, corrispondono infatti al 54% del totale.

Il gap retributivo di genere è forte anche qui, tra i laureati, sebbene il trend sia in costante diminuzione dal 2014 a oggi. Molte laureate sono, del resto, ancora acerbe sul mercato del lavoro e non ancora nel pieno della loro maturità professionale. Come evidenzia l’Osservatorio JobPricing, l’istruzione è una carta fondamentale nel progressivo superamento di stereotipi e segregazioni, ma la strada è lunga e c’è un tema che non si può trascurare. Le laureate scelgono per lo più percorsi di studi con minori prospettive occupazionali e retributive, mentre quelli che li garantiscono sono gli indirizzi delle cosiddette materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica).

 

Quali sono i settori con maggiore disparità retributiva fra uomini e donne?

In base al Gender Pay Gap Report 2019, alcuni settori registrano discriminazioni retributive di genere più marcate rispetto ad altri. «Il dato peggiore – aggiunge il CEO di JobPricing – lo si rileva in media nei comparti finanziario, bancario e assicurativo (dove il gap è superiore al 20%). Le cose vanno meglio nell’edilizia e nelle utilities, dove di fatto le retribuzioni delle donne sono in linea o superiori a quelle degli uomini, sebbene questo dipenda essenzialmente dal mix occupazionale, più che da una effettiva equità. Infatti, il gap peggiora laddove le donne sono in proporzione di più fra gli occupati». Nelle aree della qualità, ricerca e sviluppo, area tecnica, e per i ruoli ad alto contenuto specialistico tecnologico le donne invece sono favorite.

Se allarghiamo lo spettro, si riscontra un gender pay gap significativo anche tra i professionisti. Lo indica il IV Rapporto sulla previdenza privata di Adepp, che rappresenta oltre un milione e mezzo di professionisti e a cui aderiscono 20 casse di previdenza privata. Nel 2018 la differenza di reddito tra le professioniste e i loro colleghi uomini è pari a circa il 45%. Il divario è presente in tutte le fasce d’età, ma si assottiglia in maniera drastica sotto i 30 anni, con un divario del 3%. II fenomeno si registra largamente nelle libere professioni, mentre i minimi retributivi fissati dalla contrattazione collettiva hanno contenuto il gender pay gap nel caso del lavoro subordinato. Le difficoltà del mondo delle professioni si sono acuite dopo il decreto Bersani con la crisi economica, e oggi la scarsa o assente applicazione dell’equo compenso mina fortemente le prospettive delle libere professioni in generale e, quindi, anche della riduzione del divario salariale.

 

Le disparità di genere si vincono con le STEM

Abbiamo fin qui scattato una fotografia settoriale, ma è ancora più importante concentrarsi sul futuro.

Il cambiamento è già alle porte. La trasformazione digitale e l’automazione sono destinate a mutare il profilo dell’occupazione e delle modalità del lavoro stesso in numerosi comparti, tra cui quelli più interessati dall’occupazione femminile (commercio al dettaglio, settore impiegatizio). Secondo il rapporto di McKinsey Global Institute The future of women at work, con la rivoluzione digitale, entro il 2030, fra i 40 e i 160 milioni di donne dovranno pensare a riqualificarsi o a cercare una nuova occupazione. Si può ovviare alla scarsa presenza femminile nei settori del digitale e dell’intelligenza artificiale solo intervenendo nella scelta degli studi.

«Dal nostro angolo d’osservazione – conclude Fiorelli – pare evidente che, per un giovane uomo quanto per una giovane donna, la prospettiva dello studio, e in particolare degli studi universitari in ambito STEM, è quella che offre le maggiori opportunità sia occupazionali che retributive. Le donne, come dicevamo prima, sono già più studiose, ma è importante che orientino i propri sforzi laddove il mercato del lavoro è maggiormente ricettivo. È bene esserne consapevoli: c’è una ragione per cui al crescere del livello di istruzione cresce il gap salariale uomo-donna, e risiede nel fatto che gli studi tecnico-scientifici – i meglio pagati – sono ancora appannaggio soprattutto dei maschi. In questo senso, certo, le giovani donne possono contribuire in modo decisivo al proprio destino, fermo restando che la discriminazione, purtroppo, in buona parte dipende da un contesto culturale in cui un ruolo fondamentale devono averlo gli uomini, giovani e non».

Le cause del divario retributivo di genere sono molteplici e interconnesse, implicando fattori economici, sociali e culturali di complessa gestione. Intervenire sugli elementi che ancora ostacolano la parità nel mondo del lavoro, dell’economia e dell’hi-tech, così come ottenere trasparenza sulle retribuzioni, restano azioni decisive. I casi di gender pay gap inverso riportati dall’analisi di JobPricing costituiscono una timida luce in un tunnel lungo da percorrere, ma aprono comunque uno spiraglio che aiuta le lavoratrici ad avere maggiore consapevolezza delle proprie competenze e del ruolo che hanno nel mercato del lavoro. Le donne possono contribuire in prima persona a colmare il gender pay gap con le loro scelte, a partire da quelle sullistruzione.

 

Photo by Omid Armin on Unsplash

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