Il caso Rolex e la reputazione come teoria di sistemi correlati

La foto di una manifestante No Expo scattata mentre imbrattava una banca con due bombolette spray durante gli scontri a Milano ha scatenato non poche polemiche. Postata da un antagonista su Facebook, l’immagine ritrae la ragazza con il volto coperto e soprattutto con un orologio al polso che sembrerebbe un Rolex. Dopo la raffigurazione data […]

La foto di una manifestante No Expo scattata mentre imbrattava una banca con due bombolette spray durante gli scontri a Milano ha scatenato non poche polemiche. Postata da un antagonista su Facebook, l’immagine ritrae la ragazza con il volto coperto e soprattutto con un orologio al polso che sembrerebbe un Rolex.

Dopo la raffigurazione data da Renzi e Alfano degli antagonisti in “tuta nera”, come devastatori “coi rolex al polso”, l’Ad di Rolex Italia, Gianpaolo Marini, ha deciso di replicare con una lettera aperta indirizzata al presidente del consiglio e al ministro dell’interno pubblicata sui maggiori quotidiani. “Purtroppo – scrive Marini – l’eco suscitata dalle vostre parole è stata straordinariamente vasta ed ha prodotto l’inaccettabile affiancamento dell’immagine Rolex alla devastazione di Milano e all’universo della violenza eversiva”.

Reputation Manager, principale istituto italiano nell’analisi e misurazione della reputazione online dei brand e delle figure di rilievo pubblico, ha analizzato gli impatti del caso sul web, e soprattutto in relazione al tema della reputazione del brand.
Il risultato immediato della presa di posizione in termini di eco mediatico è che oggi sul web ci sono centinaia di articoli che associano Rolex a No Expo e che l’hashtag #Rolex è il primo trending topic su Twitter Italia. Nell’ultimo giorno si contano 2.000 tweet sul caso, mentre nei giorni precedenti la media normale su #Rolex si attestava sui 500 tweet. Già questo dato dimostra che nei giorni scorsi non c’era una crisi in atto.

Il tono dei commenti di oggi invece non è certo di sostegno e solidarietà al brand, ma piuttosto ironizzano sulla presa di posizione dell’azienda. Il nodo della questione è ben riassunto in messaggi come questo:

#Rolex sei il simbolo degli snob e dei radical chic #figlidipapa #fatteneunaragione e eventualmente #faiunadonazionealnepal

È stata sottovalutata la teoria della reputazione come sistemi valoriali correlati. Rolex non è ovviamente associato in prima istanza alla violenza, ma al concetto di ricchezza ed esclusività, che figurativamente si concretizza nell’immagine del “figlio di papà”. Questo fa parte del suo status, del suo sistema di valori che forma la sua immagine e la sua reputazione. Naturalmente il brand non può negare che questa associazione esista e sia, nell’immaginario collettivo, la prima a scattare.

Il punto è che, nei messaggi passati in questi giorni, l’associazione primaria è stata tra gli antagonisti e lo status privilegiato di “figli di papà”. È vero, Rolex è stata menzionata come simbolo di questo status (il fatto che l’orologio fosse realmente un Rolex è peraltro da dimostrare), ma il fatto che questa associazione indiretta leda la reputazione del brand, aggiungendo all’etichetta di “ricchezza” quella di “violenza” è tutto da dimostrare. La presa di posizione eclatante dell’azienda, in questo caso, sembra più un autogol, ottenendo l’effetto di porre l’accento proprio sulla correlazione che vuole rigettare. È come se l’azienda avesse acceso un faro su ciò che voleva evitare fosse pensato da tutti.

Possiamo esemplificare quanto accaduto in uno schema, per capire effettivamente gli impatti.

Il caso Rolex, Expo e i figli di papà

Il concetto di “figlio di papà” è il fattore in comune, che tiene però separati i due sistemi. La dichiarazione dell’azienda invece ha annullato questo passaggio, ponendo una correlazione diretta tra Rolex e le violenze.

Questo caso ci dimostra che la reputazione è un eco-sistema, formato da diverse componenti che però hanno un peso diverso. È un sistema che si costruisce nel tempo, portatore di valori (o disvalori) che si sedimentano nella percezione collettiva e che sono alla base della sua identità. All’interno di questo sistema, possono naturalmente nascere delle relazioni con concetti contingenti in un dato momento, ma affinché quei concetti assurgano allo status di valori (o disvalori) associati al brand è necessario che ci sia una correlazione diretta e forte, soprattutto che sia in grado di perdurare nel tempo.

Per capire se la preoccupazione dell’AD Marini espressa oggi sui maggiori quotidiani sia fondata, dobbiamo chiederci: quanti di noi avevano associato direttamente a Rolex il disvalore della violenza? L’azienda è intervenuta come se si fosse in presenza di una crisi in atto, che in realtà non era stata prima verificata, ma più che altro supposta. La preoccupazione, anche legittima, sarebbe potuta diventare la base di un’indagine strutturata, che il brand avrebbe forse potuto condurre senza esporsi così e creare un caso.
A questo punto infatti è diventata inevitabile una seconda domanda: quanto la presa di posizione diretta di oggi lede o potrà ledere l’immagine di Rolex? Quanto in futuro si riproporrà l’associazione che si voleva evitare e che proprio il brand ha portato alla luce?

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