Il commesso viaggiatore non è morto, basta cercarlo nei libri

La seconda vita letteraria di una figura d’altri tempi: tornare a casa dopo il lavoro e trovarsi senza identità. Recensione de “La città senza cielo”, di Jean Malaquais.

Ma esistono ancora, i commessi viaggiatori? Forse hanno cambiato qualifica, e si chiamano più dignitosamente “rappresentanti di commercio”, o “promotori commerciali”, chissà. O forse non ci sono più. Non se ne parla molto, in giro.

Eppure hanno avuto un ruolo importante, nella letteratura. A partire da quel Gregor Samsa che, prima di metamorfizzarsi in uno scarafaggio, era proprio un commesso viaggiatore; per arrivare alla Morte di un commesso viaggiatore, famosissimo dramma di Miller; commesso viaggiatore è il disgraziato protagonista della Panne, di Duerrenmatt; e commesso viaggiatore è anche il protagonista di Duel, fortunato film di Spielberg, tratto da un racconto di Matheson. E ci fermiamo qui, per non fare una lista di una lunghezza veramente impressionante; un elenco di grandi opere come non ci saremmo aspettati di trovare, pensando al poco appariscente ruolo economico del mestiere di cui si parla.

Storia di un commesso viaggiatore: La città senza cielo di Jean Malaquais

Di recente ne è apparso uno, in un’ambientazione fantastica per non dire fantascientifica, che però niente toglie alla nobiltà della sua occupazione: si chiama Pierre Javelin, è un dipendente dell’Istituto nazionale per la bellezza e l’estetica, e vende cosmetici porta a porta. Un giorno torna a casa, scopre che la sua chiave non funziona più, e che in casa sua si è installata una coppia che sostiene di abitare lì da sempre. Quando telefona alla moglie, lei ha il tempo di dire poche parole e la linea cade. Il protagonista della Città senza cielo, di Jean Malaquais, (Cliquot, ultima edizione 2019), ha perduto la sua identità e non la ritroverà più.

Dunque, anche i romanzi distopici possono avere come protagonista un commesso viaggiatore. In un sistema chiuso, dove le case sono così alte che non permettono di vedere il cielo, e dove domina una burocrazia misteriosa e occhiuta, Javelin incontra persone che assomigliano ai personaggi del Castello di Kafka: allusivi e licenziosi, sanno ma non dicono, conoscono i problemi di Javelin ma o non vogliono o non possono aiutarlo veramente. Complicati i rapporti con la famiglia che si è sistemata in casa sua: l’enorme signor Bomba e la sensuale moglie Kouka. Ostili i colleghi di lavoro, a cominciare dalla direttrice, l’imperscrutabile signorina Limbert, e il persecutorio controllore Babitch (che non possiede nemmeno una sedia). Insopportabile infine il nipote Horace, mentre l’unico essere affettuoso risulta essere il gatto Simon.

In un insensato vagare tra l’Istituto nazionale di idiosincrasia applicata, l’Istituto nazionale della calza indistruttibile, l’Istituto nazionale dei sigilli e delle stimmate, uffici che lo accusano di far finta di essere chi non è, e lo dichiarano inesistente, o morto, Javelin dovrà accettare che la sua identità è stata cancellata per sempre.

Il commesso viaggiatore in letteratura e nella società

Colpiscono, leggendo un libro che è uscito nel 1953, una scrittura affinata e inventiva, lo schema di una società dove vigono regole incomprensibili e i ritratti di personaggi che hanno rilievo pur essendo, per certi versi, bidimensionali.

Ma interessante è il fatto che il protagonista sia un rappresentante di commercio. Ci sono, quasi impliciti in questo ruolo, una sorta di marginalità sociale e una specie di destino di smarrimento e di inconsistenza personale. Il commesso è per definizione l’uomo in movimento: non è quasi mai a casa, e questo già lo pone in una condizione particolare, di sradicamento continuo. È come se a casa sua fosse un ospite, e negli squallidi alberghi nei quali deve soggiornare è troppo di passaggio per essere ben visto. Nei suoi continui spostamenti, di solito accompagnato da una valigetta con il campionario, non ha un posto fisso dove mangiare, dove prendere il caffè, dove riposare. Nessuno gli dirà: “Il solito, dottore?”.

Questo personaggio instabile, un po’ inafferrabile, che per anni ha avuto il compito di mettere in contatto produttori e consumatori, è probabilmente in via di estinzione. Immagino che i venditori online stiano sostituendone il ruolo, lasciando una lunga scia di sottoccupazione e, in prospettiva, di disoccupazione irrimediabile.

Eppure era letterariamente e socialmente interessante. Con il compito di affascinare consumatori probabilmente affetti da pregiudizi negativi nei confronti di chiunque si presenti alla porta di casa, poteva raggiungere potenziali clienti che non sapevano di esserlo, e spesso apriva a bisogni sconosciuti un pubblico ignaro. Convincere che si ha bisogno di prodotti che non si conoscono non è un bieco e surrettizio modo di far spendere la gente. Spesso significa permettere di scoprire strumenti che semplificano e migliorano la vita.

Quando, negli anni Cinquanta, gli elettrodomestici si sono affacciati alla vita degli italiani, uscivamo dalla miseria del dopoguerra e da un sottosviluppo cronico. L’idea di avere un frigorifero o una lavatrice, che rappresentavano un costo elevato, era lontanissima dal concetto di bisogno primario. Eppure non dover uscire tutti i giorni per fare la spesa, non dover fare il bucato a mano, ha rappresentato un risparmio di tempo che ha avuto il risultato, rivoluzionario, di permettere alla donna di lavorare fuori casa senza avere la necessità di una collaboratrice domestica. E lo stesso vale per i cibi e gli abiti confezionati, i surgelati, e tutto quello che una volta si faceva in casa.

Certo, ci sono state formidabili campagne pubblicitarie. Ma chi è andato a convincere, casa per casa, gli italiani che c’era una libertà da conquistare, è stato il commesso viaggiatore. Un silenzioso eroe della via verso la modernità.

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