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Il consigliere del Principe deve dirgli la verità
Machiavelli, Guicciardini e Baldassarre Castiglione lo direbbero in coro: “Per fare un buon principe, ci vuole un buon consigliere!”. E, se possibile, anche più di uno. Per noi contemporanei, il “principe” è il cliente – in chiave commerciale, manageriale o politica –, mentre il “consigliere” è il consulente: chi offre il “buon consiglio”. “Consulente” è […]
Machiavelli, Guicciardini e Baldassarre Castiglione lo direbbero in coro: “Per fare un buon principe, ci vuole un buon consigliere!”. E, se possibile, anche più di uno.
Per noi contemporanei, il “principe” è il cliente – in chiave commerciale, manageriale o politica –, mentre il “consigliere” è il consulente: chi offre il “buon consiglio”. “Consulente” è un termine un po’ datato. Anche volendo dirlo in inglese, consultant, le rughe si vedono: il suo protagonismo sulla scena del mondo del lavoro risale agli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Tuttavia, la parola ci offre ancora spunti di riflessione.
Il buon consulente tiene aperto il libro di grammatica
Ma chi è un consulente? Un profilo dotato di competenze distintive e certificate da un ordine professionale di appartenenza o da una istituzione; pensiamo, per esempio, ai consulenti nei tribunali o altri uffici tecnici della pubblica amministrazione. Che cosa si aspetta il principe da un consulente? Risposte precise che rientrano nel suo dominio di conoscenze, arricchite dall’esperienza. I suoi consigli lo aiutano a risolvere un problema, a essere pienamente soddisfatto di un servizio o a sviluppare opportune strategie. Come risolutore di problemi, mi viene in mente il personaggio di Winston Wolf nel film Pulp Fiction di Quentin Tarantino.
Un problema a monte riguardo la figura del consulente, tuttavia, è che consulenti lo siamo tutti. Come fa il principe a scegliere un bravo consigliere? Il cappello piumato e la veste riccamente adornata è appannaggio di chiunque, chi più, chi meno. Ma sotto il vestito, cioè oltre l’apparenza o il profilo social con le medaglie al valore, quale sostanza trova il principe? Come fa a distinguere il buon consigliere da quello mediocre, se non addirittura pessimo? Oggi, per fortuna, ci sono molti più strumenti rispetto al passato per selezionare un consulente, e molti principi si sono evoluti.
Ma voglio far divertire i lettori: sapete chi è davvero un bravo consulente? Un esperto che padroneggia l’italiano, sia parlato che scritto. Avvocati, commercialisti, ingegneri, psicologi, medici, giornalisti, formatori, architetti, giuslavoristi, venditori: tutti coinvolti nel capire come fare buon uso della lingua italiana nella loro professione. Sembra uno scherzo, invece è un fatto molto serio. Soprattutto in tempi dove la corsa all’anglismo e all’utilizzo narcisistico di tecnicismi sembra irrefrenabile.
Buon consiglio per aspiranti buoni consiglieri: la lotta all’eccesso di anglismi
Non è tanto una questione di campanilismo linguistico nell’invitare a utilizzare termini in italiano al posto di quelli anglofoni: preoccupano la quantità, l’uso indiscriminato, la velocità con la quale questo processo di invasione terminologica procede a tutti i livelli: dal nome attribuito alle leggi poste a fondamento dello Stato (tipo “Jobs Act”) fino agli articoli divulgativi e ai post sui social network, passando per i media, i convegni e le riunioni aziendali. Questo “brodo linguistico riversato quotidianamente nelle nostre orecchie e squadernato davanti ai nostri occhi” (Francesco Sabatini) va nella direzione contraria all’efficacia comunicativa, all’inclusione, al perseguimento della missione del consulente, che coincide anche con il saper divulgare le sue conoscenze per renderle fruibili non solo agli addetti ai lavori.
Se mi rivolgo a un pubblico o a un cliente che come me masticano ogni giorno tecnicismi e anglismi, allora posso calibrare il mio discorso o il mio scritto su questo registro, e sempre fino a un certo punto. Se invece ho di fronte un pubblico eterogeneo (pensiamo anche alla “piazza” dei social network) o un cliente non tecnico che desidera capire esattamente come risolverò il suo problema, allora, come bravo consulente, devo rimettermi a studiare la grammatica e il vocabolario di italiano. Se necessario, seguo un buon corso sulla comunicazione scritta in ambito professionale e aziendale. In ogni caso, quello che fino a oggi avevo dato per scontato – il mio linguaggio – da ora in poi diventa la mia priorità formativa. E per iniziare a lavorarci, rispondo in modo sincero ad alcune domande del prof. Sabatini:
- Sei veramente padrone del significato di quel termine?
- Lo sai pronunciare correttamente?
- Lo sai anche scrivere correttamente?
- Sei sicuro che il tuo interlocutore lo comprende?
Insomma, come uno scrupoloso controllore del traffico ferroviario, il consulente deve stare attento al rischio di “deragliamento linguistico” della sua comunicazione. L’ideale è che nessuno rimanga escluso dalla comprensione di un suo testo o di un suo discorso. Inoltre teniamo conto che siamo figli del nostro tempo, quindi doppia attenzione.
Nell’epoca di Google & Co, abbiamo il marketer. Oppure, serve per forza dire skill shortage? Agile pronunciato in italiano perde il suo fascino? Qualcuno pensa, erroneamente, che l’“efficienza linguistica” (sintesi, chiarezza) sia una caratteristica intrinseca alla lingua utilizzata. L’inglese, per esempio, non è più efficiente dell’italiano. Anzi, pensando a certi phrasal verbs, può risultare addirittura più prolisso.
L’efficienza linguistica, caratteristica del bravo consigliere
E quindi? L’efficienza linguistica è sempre una dote performativa riferita a chi scrive. Lo scrivente sarà tanto più efficace quanto più limiterà al minimo indispensabile l’ibridazione del suo linguaggio con termini stranieri. Sia chiaro: nessuno gli impedisce di scrivere o dire elevator pitch. In questo caso, l’inglese è consigliato perché “discorso in ascensore” o “discorso da ascensore”, sembrano ricondurre allo sconosciuto che ci prova con qualcuno, o a quel parlare del meteo perché non si sa cosa dire.
Sono battute, naturalmente, ma nella vita reale il consulente ha davvero il dovere di spiegare che cosa significa il tecnicismo/anglismo che sta utilizzando in quel momento, e se possibile anche la sua provenienza, o addirittura l’etimologia. Solo dopo che il mio interlocutore ha chiaro il significato mi dedicherò ad aiutarlo a sviluppare la capacità di dire cose convincenti, o semplicemente di presentarsi bene a una persona che conta, avendo a disposizione 33 secondi: il tempo che l’ascensore del “China World Trade Center III” di Pechino impiega per percorrere i 330 metri di altezza dell’edificio.
Oggi il principe è molto esigente, e il mercato è diventato un labirinto dove anche Arianna e Teseo fanno fatica a trovare la via di uscita. E l’Intelligenza Artificiale si affaccia all’orizzonte, pronta a sostituire la figura in carne e ossa del consulente. Risposte elaborate su base algoritmica entrano in concorrenza con quelle derivanti dalle competenze e dall’esperienza del consulente umano. Il principe potrà scegliere se affidare i suoi investimenti mobiliari alle valutazioni e consigli di un robot o a quelli di un esperto “tradizionale”.
Come fare la differenza? Oltre agli aspetti del linguaggio di cui abbiamo ragionato, potenziando gli aspetti umani della simpatia, della relazione, della creatività, della disponibilità. Infine, un buon livello di autostima per sostenere il coraggio della verità. Il consigliere deve saper dire la verità al principe, in modo assertivo, senza timori reverenziali. Machiavelli ricorda che il principe non deve mai offendersi quando i suoi consiglieri gli dicono la verità, anche se può risultare critica o offensiva: “Perché non ci è altro modo a guardarsi da le adulazioni, se non che gli uomini intendino che non ti offendino a dirti el vero; ma quando ciascuno ti può dire il vero, ti manca la reverenza”. Una storica lezione manageriale per chi vuole circondarsi di persone che dicono sempre sì.
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