Scuola, sanità, PA: il 2020 è l’anno dei concorsi pubblici. Ecco chi partecipa, chi li supera e come si preparano (e con quali costi).
Il libro digitale non salverà la scuola
Pensando alle difficoltà che gli editori di libri scolastici trovano nel lavorare con il digitale mi torna in mente una favola, attribuita a Esopo e più volte rimaneggiata nel corso dei secoli per trarne insegnamenti diversi. È la storia della gara tra la lepre e la tartaruga: la lepre abusa del suo vantaggio e si […]
Pensando alle difficoltà che gli editori di libri scolastici trovano nel lavorare con il digitale mi torna in mente una favola, attribuita a Esopo e più volte rimaneggiata nel corso dei secoli per trarne insegnamenti diversi. È la storia della gara tra la lepre e la tartaruga: la lepre abusa del suo vantaggio e si addormenta, e la tartaruga taglia il traguardo per prima con il suo passo lento ma inesorabile. La morale è nel commento finale della tartaruga: non serve correre, bisogna partire in tempo.
Agli editori si chiede di correre mentre la scuola cammina, e lentamente; ma a differenza della favola, il traguardo è ancora lontano. Eppure la scuola italiana sembrerebbe essere partita presto sul tema, o quantomeno in tempo. Sono anni, i nostri, in cui è necessario correre, sempre. La diffusione pervasiva degli strumenti digitali evidenzia l’urgenza da parte della Pubblica Amministrazione di adeguarsi alle nuove forme di comunicazione. Non si fa in tempo a trovare un’etichetta per identificare le nuove generazioni (nativi digitali, millennials, generazione Z) che già si è creato un gap (spesso destinato a diventare “incolmabile”) tra i nuovi utenti e “il sistema” attorno. Per i più giovani parole come tecnologia, innovazione, digitale, fanno parte del vocabolario fin da subito, e tutto ciò che non corrisponde agli aggettivi che ne derivano non è degno di attenzione.
Il libro digitale, risorsa per approfondimenti e DSA. Ma la scuola non è pronta
L’Italia, che non è un Paese per giovani ma al contempo non è neanche un Paese per vecchi, è allora un Paese per digitali? Secondo l’indice complessivo DESI 2018 (Digital Economy and Society Index), attraverso il quale la Commissione Europea misura il livello di attuazione dell’Agenda Digitale da parte dei singoli Stati membri, l’Italia occupa il 25° posto. Su 28 Paesi. E la scuola?
Ne parliamo con Simona Franzoni, Responsabile Editoriale settore lingue straniere della Eli Edizioni. L’abbiamo incontrata durante The Publishing Fair e intervistata al termine della discussione tenuta dagli onorevoli Alessandro Fusacchia, Federico Mollicone e Valentina Aprea sulla possibilità di introdurre la diversity nei libri di testo.
La materia delle lingue straniere è forse quella che potrebbe avere più benefici dall’introduzione del digitale. È così?
Sicuramente l’area linguistica è stata fra le prime in Italia a proporre un metodo anche digitale come risorsa aggiuntiva. Anni prima dell’uscita della legge, ai corsi di lingua si abbinavano dei CD-ROM con giochi didattici e animazioni.
Che cosa è cambiato con la legge?
Con l’arrivo della legge, quindi con l’esigenza di avere il libro cartaceo e digitale, l’offerta è diventata totale. Oltre alla digitalizzazione dell’apparato didattico e all’aggiunta di risorse extra, i prodotti digitali sono diventati anche audiolibri; sono inoltre dei contenitori con i quali è possibile interloquire creando o importando documenti e immagini dal web, o creati ad hoc dagli studenti.
La versione digitale a scuola viene usata?
Una scuola che ha una struttura digitale che funziona può utilizzare il libro cartaceo insieme al libro digitale. C’è da dire che gli studi più recenti, con una lunga sperimentazione della digitalizzazione dell’apprendimento, hanno spesso dato risultati discutibili: studiare solo sul digitale non consente l’applicazione di un approccio multisensoriale, fondamentale per i diversi tipi di intelligenza presenti in classe. Lavorando solo sul digitale è inoltre molto difficile sviluppare la capacità di fare collegamenti, che è alla base dell’apprendimento, soprattutto nelle fasce più giovani. La nostra percezione è che il digitale sia in grado di approfondire aree, sia della didattica che dell’apprendimento, che il cartaceo non può usare.
Un esempio?
Penso ai ragazzi che hanno problemi di apprendimento, per i quali la possibilità di trasformare un libro in un libro ad alta leggibilità è fondamentale. Ciò significa che i ragazzi con Disturbi Specifici di Apprendimento dovrebbero lavorare in classe sempre con un laptop, cosa che in Inghilterra già si faceva 25 anni fa.
La scuola è pronta a queste evoluzioni?
La scuola, in generale, non è assolutamente pronta. La differenza la fa tanto il corpo docente: ci sono scuole pronte perché hanno docenti e dirigenti scolastici pronti. Quello che noi come editori troviamo problematico è che da un lato ci vengono chiesti materiali di ultima generazione, supporti digitali all’avanguardia, cosa che noi facciamo anche se hanno dei costi importanti; dall’altra vediamo che non tutto viene utilizzato. Spesso noi editori interveniamo nelle scuole per spiegare come funzionano i supporti digitali. Ci capita di fare magari centinaia di chilometri per andare a fare formazione e poi non c’è il Wi-Fi. Oppure non c’è la Lavagna Interattiva Multimediale, per la quale comunque occorre una formazione tecnica. Oppure la LIM c’è, ma la presa elettrica è troppo lontana e la burocrazia troppo lenta per fare un intervento in tempi adeguati. Trovo che ci siano molte criticità, e non è solo una questione di fondi. Per quello che è la nostra esperienza è una questione di formazione, ma prima di tutto degli insegnanti. Il punto è che nella maggior parte dei casi siamo noi a fare la formazione ai docenti. Parlo sempre di lingue straniere per le scuole secondarie, mondo del tutto diverso dalla primaria, che è stata riformata e oggi rappresenta una scuola all’avanguardia. Per le scuole superiori ogni anno si propone una riforma. Il risultato è che i segmenti non comunicano molto, non c’è una continuità didattica. Sicuramente per quanto riguarda le lingue straniere la preparazione e la formazione dei docenti deve essere costante, perché la lingua evolve; e soprattutto adesso che i ragazzi sono esposti, sia attivamente che passivamente a una lingua comune – che è l’inglese – la disparità tra la preparazione del docente e quello che possono assorbire i ragazzi è alta.
Come viene percepito il digitale dai ragazzi?
In generale per i ragazzi lo studio è il libro e il digitale è approfondimento, anche perché il digitale stanca molto di più del libro stampato. Anche l’audiolibro richiede una capacità di concentrazione che non si sposa benissimo con l’adolescenza. È vero che il libro di carta non stanca la vista, ma con il digitale puoi fare tante altre cose. La verità è che devono viaggiare insieme.
Come vede l’applicazione del disegno di legge per introdurre la diversity nei libri di testo?
Trovo che ci siano molte criticità e spero che si trovi il modo per parlarne in maniera più approfondita fra le parti coinvolte. Noi editori siamo generalmente tutti molto attenti ai temi della diversità, e i suggerimenti contenuti nel rapporto Unesco Making Textbook Content Inclusive – testo a cui si ispira la proposta di legge – sono ampiamente rispettati nella maggior parte dei testi adottati oggi. Ciò che trovo perlomeno discutibile è che si vogliano riformare i libri di testo senza prima riformare i programmi ministeriali, su cui i libri di testo ovviamente si basano.
Il digitale solo se e quando serve: non è uno strumento magico
Terminata l’intervista a Simona vogliamo sentire anche un’altra voce, quella di Bernardo Mannucci, grafico cartografo che ha iniziato a lavorare con varie case editrici più di trent’anni fa, facendo disegni per i libri, intervenuto incisivamente durante uno dei dibattiti in fiera. Si è specializzato con le cartine di storia e geografia, soprattutto le prime e soprattutto col cartaceo. Di recente ha iniziato a interessarsi anche al digitale e da qualche anno collabora con un gruppo di professionisti per proporre strumenti digitali per l’insegnamento, per tutti i settori eccetto l’universitario (dove nessuno investe: è un mercato poverissimo e fa numeri molto bassi).
Bernardo, a che punto siamo?
Siamo nel mezzo. Il cartaceo va usato: è più economico, è testato. Quello che si può fare in digitale è tutto ciò che si muove, ad esempio, ciò che si può ruotare o che si deve ingrandire. La politica fa affermazioni assolutamente insensate quando attribuisce virtù magiche a una serie di strumenti, quali la realtà aumentata, l’intelligenza artificiale, il digitale tutto. Sarebbe già tanto lavorare con la realtà vera e con l’intelligenza naturale! L’errore di base è attribuire agli strumenti poteri che non hanno: sono strumenti che vanno usati se e quando servono, per quello che sono, e non vanno mitizzati. Anni fa c’è stata l’ubriacatura del libro digitale per cui tutti, anch’io, pensavamo che sarebbe sopravvissuto solo questo e che il libro cartaceo sarebbe morto. Invece il libro digitale, come trasposizione del cartaceo, è difficilissimo da studiare: vengono fuori lunghi pdf sui quali fare scroll. I ragazzi quando studiano hanno bisogno della pagina perché dà riferimenti spaziali; delle immagini, dei capoversi, che aiutano moltissimo in modo inconscio la memorizzazione di quello che si sta studiando. Lo scroll continuo fa perdere i riferimenti. È difficile studiare su uno schermo, è più faticoso. Siamo passati da un’infatuazione per cui il libro sarebbe diventato solo digitale a dire no, non funziona, è inutile farlo, inutile pensarci.
Invece, per le cartine, il digitale può aiutare?
Stiamo studiando il modo di produrre delle cartine digitali parzialmente interattive come strumento, molto semplice da realizzare, a supporto e integrazione del cartaceo. La proporremo a breve a Zanichelli. Ora siamo nella situazione in cui gli editori sono convinti che fare digitale sia solo una spesa che non offre ritorni maggiori. Zanichelli ha un corso di storia dell’arte, quello che vende di più in Italia per la secondaria superiore, Il Cricco di Teodoro. Gli autori insistono per avere sempre più foto e sempre più belle. Per evitare che diventasse un corso enorme e anche impossibile da portare per gli studenti, per peso e ingombro, abbiamo avuto l’idea di mettere le foto in un’architettura in rete, una sorta di museo virtuale, con migliaia di foto in HD e con molte informazioni a corredo. È stato un lavoro molto bello. Però è stato anche utilizzato molto poco.
Perché non vengono usati questi prodotti?
Per un insegnante significa comunque un lavoro in più. Il problema vero è che gli insegnanti sono, giustamente, demotivati perché sono poco pagati, poco considerati. Il loro dovrebbe essere il lavoro più bello e importante del mondo e invece ormai sono percepiti negativamente. Per gli insegnanti il digitale funziona solo se semplifica il lavoro; se lo complica non lo usano. Per i ragazzi il digitale è poco attrattivo perché sono abituati a livelli altissimi: un videogioco è molto più attrattivo rispetto a qualunque lavoro che una casa editrice italiana, anche se grande, sarà mai in grado di fare.
Cosa si può fare, allora?
L’unica cosa che si può fare è aiutare i giovani a studiare meglio: invece di cose strane è meglio realizzare piccoli oggetti che si focalizzano su aspetti particolari di una materia. Qualche anno fa avevo avuto l’idea di replicare, in qualche modo, i librigame, quei libri che invece di una lettura unilaterale si biforcavano: ogni ragazzino poteva scegliere una strada piuttosto che un’altra e arrivare a un finale diverso. Si poteva fare qualcosa di simile con i libri digitali, con ambientazioni storiche e la possibilità di esplorare aspetti differenti di un periodo, così mentre il ragazzino inventa e percorre la sua storia gli arrivano delle pillole di spiegazioni.
E poi che cosa è accaduto?
L’ho accennato, ma mi è stato risposto che “nella scuola non si gioca”. E quindi basta, non se ne è parlato più.
A ottobre, l’indagine dell’osservatorio Aie-Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha certificato che l’utilizzo dei libri digitali tra gli studenti è scarso. Negli ultimi cinque anni l’adozione del libro misto (parte cartacea + parte digitale, accompagnata da contenuti digitali integrativi) è passata dal 70% al 92%, mentre il libro di testo completamente digitale è rimasto fermo all’1%.
La digitalizzazione del sistema scolastico si figura come un processo estremamente complesso che non riguarda solo l’aspetto infrastrutturale o la disponibilità delle tecnologie, ma coinvolge fortemente anche la formazione. Ovvio, la scuola ha da sempre una missione formativa: è la scuola che forma i cittadini, digitalizzati, di domani. Ma non basta. Se poi si tornasse a dare valore e dignità al mestiere dell’insegnante consentiremmo anche alle nuove generazioni di avere ricordi belli degli anni scolastici, e di continuare a voler bene ai propri docenti anche quarant’anni dopo.
Foto di copertina di Domenico Grossi
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