Il virus fa male al Made in Italy agroalimentare

«La natura non si ferma. Il rischio per le aziende alimentari che producono, lavorano e trasformano le materie prime è la formazione di sovrascorte invendute, che porteranno al ribasso dei prezzi e a una crisi di liquidità e redditività delle attività stesse», mette in guardia Enzo Zauli, consulente di innovazione e strategia aziendale che da […]

«La natura non si ferma. Il rischio per le aziende alimentari che producono, lavorano e trasformano le materie prime è la formazione di sovrascorte invendute, che porteranno al ribasso dei prezzi e a una crisi di liquidità e redditività delle attività stesse», mette in guardia Enzo Zauli, consulente di innovazione e strategia aziendale che da Faenza, in provincia di Ravenna, segue le imprese – molte delle quali appartenenti al settore alimentare – sul fronte del passaggio generazionale, ma anche dello sviluppo di nuovi prodotti e mercati.

«Mancano all’appello le vendite dell’Horeca e le richieste dell’industria turistica; incidono anche i cambiamenti dei consumi durante l’isolamento. Il mercato domestico non potrà più colmare questi mesi di mancati consumi alimentari, anche quando si riprenderà una vita normale. Questo vale anche per il settore vitivinicolo», aggiunge Zauli. Il rendimento ridotto delle linee di produzione, come effetto delle prescrizioni di sicurezza per i lavoratori, avrà il suo peso nella redditività delle aziende.

A rischio sono soprattutto «i piccoli produttori come i caseifici, chi lavora la carne, chi coltiva frutta e verdura. Ci sono micro-settori che non ne usciranno se non ridimensionati, e forse ripensando la loro missione come cooperative di lavoratori. Molte società non riusciranno a resistere al peso dei mutui e della mancata liquidità necessaria alle colture dei prossimi mesi. Per questo, la filiera va preservata e difesa». La contrazione dell’export e dei consumi, determinati dalla chiusura di pizzerie e ristoranti, sta già mettendo in ginocchio la filiera della bufalina campana, che invoca interventi rapidi. Il ministero delle Politiche agricole ha concesso una deroga temporanea al disciplinare di produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP, dando la possibilità di utilizzare, entro certi limiti, il latte congelato per la produzione tutelata.

Nicola Bertinelli presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano

 

Produrre nel cuore delle zone rosse

Anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano – prima DOP per valore alla produzione con 1,4 miliardi di euro – si è attivato nelle prime fasi della crisi sanitaria per ottenere dal Mipaaf la deroga temporanea al disciplinare di produzione.

«La deroga è necessaria per aiutare i nostri caseifici qualora dovessero affrontare situazioni critiche legate all’emergenza», spiega il presidente Nicola Bertinelli. «L’aiuto consiste in larga parte, ma non solo, nella concessione di finestre temporali più ampie per il trasporto e la lavorazione del latte. Questa possibilità rimarrà in vigore fino al superamento della fase emergenziale, ma attenzione, sarà concessa solo a quei caseifici che ne faranno richiesta e nei quali vi sia un contagio accertato dall’Autorità pubblica».

È stata inoltre creata una banca dati di casari in pensione ed ex addetti alla produzione, a disposizione dei caseifici che dovessero trovarsi in carenza di organico. La sfida è stata quella di non interrompere la produzione di Parmigiano Reggiano, nonostante la quasi totalità dei 330 caseifici del Consorzio si trovasse in province fortemente colpite dal COVID-19, come Reggio Emilia, Parma, Modena e Mantova. I consumi interni si sono consolidati durante il periodo di confinamento, ma il Consorzio è proiettato al futuro. «Appena si potrà ripartire, saremo al fianco del settore della ristorazione per dare sicurezza a un canale che, sia in Italia sia all’estero, è di importanza fondamentale per il Made in Italy, e che probabilmente sarà il più colpito da questa crisi», indica Bertinelli.

 

Vecchie e nuove emergenze del settore agroalimentare

Alle problematiche generate dalla pandemia si aggiunge il meteo, responsabile di gravi danni al settore agroindustriale. «L’inverno siccitoso e caldo ha ostacolato le semine, mentre il gelo di queste settimane ha danneggiato molte coltivazioni, non tanto gli ortaggi quanto la frutta», ci racconta Bruno Piraccini, presidente Orogel. «Si parla di danni sensibili alla produzione di frutta fresca, con cali stimati nella zona di Cesena e della bassa Romagna di oltre il 50% di pesche, pere, kiwi. In altre zone d’Italia, come al Sud, abbiamo invece avuto soltanto ritardi nelle semine». A causa della pandemia, inoltre, i lavoratori che dall’estero arrivavano in Italia per le campagne di raccolta non si sposteranno.

La carenza di manodopera pesa, quindi, come una spada di Damocle sui coltivatori, e rischia di ripercuotersi gravemente su tutti i programmi produttivi. «Il problema della forza lavoro riguarda tutta l’agricoltura in Italia», evidenzia Bruno Piraccini. «La situazione è grave al Sud per il pomodoro, ma anche in Emilia-Romagna per la prossima raccolta di fragole, pesche e albicocche, solo per fare alcuni esempi. Cercheremo di far fronte alla situazione, augurandoci che lo Stato possa favorire il maggior ricorso a manualità italiana grazie anche a formule agevolate, come i voucher. Più che calare risorse dall’alto, servono forti garanzie – come hanno fatto in Germania – per far sì che gli investimenti di tutte le imprese non si fermino».

Campi di spinaci della Orogel

 

Il fronte dell’export e la necessità di una cabina di regia per rilanciare il Made in Italy

Nel 2019 l’export agroalimentare italiano aveva toccato la cifra record di 44,6 miliardi di euro. Basta questo numero per riflettere sull’impatto che il coronavirus avrà su questa voce trainante del comparto. «L’export è rallentato moltissimo», ha registrato il consulente Enzo Zauli, sottolineando la reazione negativa dei mercati: «l’Italia è stata la prima in Occidente ad aver vissuto la pandemia e ne ha pagato lo scotto. I grossisti nei Paesi esteri oggi si trovano ad affrontare la chiusura dei ristoranti che rifornivano».

Il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano – la cui quota export è superiore al 40% – conferma che nelle prime fasi della crisi alcuni Paesi hanno provato a chiedere un certificatovirus freesui prodotti italiani, attuando pratiche di concorrenza sleale. «Fin dal principio, abbiamo rilanciato il messaggio che il virus non si diffonde attraverso il cibo, come afferma l’Autorità europea per la Sicurezza alimentare», chiarisce Nicola Bertinelli, non sbilanciandosi in previsioni: «È ancora presto per parlare dell’andamento dell’export, anche perché la pandemia sta colpendo solo ora i mercati esteri più importanti come Stati Uniti e Germania».

Orogel non ha invece riscontrato, a oggi, barriere o specifiche richieste di certificati. «Abbiamo costantemente dialogato con la nostra clientela, informandola dell’evolversi della situazione in Italia e tranquillizzandola secondo le linee guida ricevute dal governo e dalle associazioni di categoria, che ci hanno supportato in questa delicata fase». A spiegarlo è Massimo Gucciardi, Orogel export coordinator, che fa il punto anche sui consumi dei prodotti Orogel oltre confine, dove molti paesi nel mondo hanno seguito l’Italia nella strada del lockdown: il segmento del food service è in difficoltà, mentre il mondo retail aumenta in modo significativo le vendite.

È stato lanciato a marzo il Piano Straordinario della Farnesina, chiamato a rispondere alle difficoltà sul versante dell’interscambio commerciale delle imprese, che non hanno oltretutto potuto partecipare alle fiere di settore. «Il sistema Paese non deve e non può collassare, e per parlare di ripresa dobbiamo prima guardare a casa nostra», commenta Massimo Gucciardi. «Il settore agroalimentare va sostenuto e rilanciato con investimenti e una strategia di lungo respiro. Muoversi in ordine sparso non può essere più preso in considerazione come opportunità di business. È necessaria una cabina di regia che prenda spunto dalle istanze ricevute a vario titolo dagli attori dell’intera filiera per un fattivo e comune rilancio del Made in Italy, che rimane e – ci auguriamo – rimarrà un asset strategico anche nel prossimo futuro».

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