Riordine degli architetti è un collettivo formato da professionisti che si tutelano dietro l’anonimato. La pagina Instagram, dove il collettivo pubblica testimonianze e denunce di irregolarità sul lavoro negli studi di architettura, conta oltre 30.000 follower.
Per Riordine gli studi preferiscono non assumere e avere collaboratori a partita IVA per un motivo principalmente economico: “In questo modo l’azienda evade tutta una parte di contributi che dovrebbe versare”, ci dicono. “In Italia gli studi di architettura si fanno concorrenza al ribasso e il prezzo di questo lo pagano i dipendenti. Poi – aggiungono – esiste un discorso di flessibilità e potere contrattuale: le partite IVA hanno un potere contrattuale pari a zero e il datore di lavoro può terminare la collaborazione quando vuole con estrema facilità. Un contratto di subordinazione, anche a tempo determinato, offre meno flessibilità. Se così la vogliamo chiamare”.
Gli chiediamo allora perché i liberi professionisti nella maggior parte dei casi non si ribellano a questo sistema. “È una domanda complessa, che va affrontata da più punti di vista. Un primo punto di partenza è l’ignoranza della ‘vittima’. Un architetto neolaureato tende a non conoscere i suoi diritti e non capisce neanche molta della terminologia riguardante il lavoro. Complice anche la diffusione quasi totale del metodo delle finte partite IVA, i più giovani pensano di operare nella completa normalità e quindi nella legalità. Naturalmente questo è falso. Per completare il quadro ci sono gli ordini professionali, i quali fanno finta di niente e provano a legittimare questo scempio, continuando a ripetere ai loro iscritti che si è sempre fatto così”.
Ci è giunta voce che ci sono studi internazionali che addirittura applicano contratti e modalità diverse di lavoro nelle sedi italiane rispetto a quelle estere: “Tutti gli studi internazionali che hanno sede in Italia applicano il metodo delle finte partite IVA solo da noi – ci confermano – mentre negli altri Paesi UE sono costretti ad assumere. Questo riflette due verità: la prima è che da noi è accettato tutto sia da chi dovrebbe controllare sia da chi viene sfruttato; la seconda riguarda la mentalità italiana arretrata, che promuove ancora l’idea nostalgica dello studiolo tra associati che collaborano assieme”.
La mancanza di consapevolezza dei propri diritti non può che sfociare allora nello sfruttamento: “Nessuno ti può tutelare se in primis tu, architetto, non capisci di essere sfruttato. I sindacati nascono proprio dalla consapevolezza individuale della realtà, che poi si trasforma in un’azione collettiva. In Italia questa consapevolezza, però, ad oggi manca”.
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