Altro che design: quanto è invivibile lo sfruttamento degli architetti

L’architettura non sta in piedi: le finte partite IVA sono un’anomalia tutta italiana, legalizzata dal Jobs act. Le retribuzioni? Dai 700 ai 1.200 euro, in condizioni e ambienti di lavoro improponibili. Il punto della situazione con i collettivi ULLARC e Riordine degli architetti e le testimonianze di giovani professionisti

06.05.2024
Sfruttamento degli architetti: un giovane professionista lavora fino a tardi in uno studio

Questo articolo fa parte del reportage Gioventù Sfruttata, che verrà pubblicato nel corso delle prossime settimane su SenzaFiltro: realizzato da giovani giornaliste e giornalisti, fa il punto sullo sfruttamento dei professionisti che si affacciano in diversi settori del mondo del lavoro, dagli Ordini professionali alla gig economy, passando per i social media.

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Sono decine di migliaia in tutta Italia. Guadagnano circa 1.000 euro al mese lordi, lavorano otto ore al giorno (come mimino) in presenza, ma non hanno diritto a ferie, malattia e permessi perché non sono inquadrati come dipendenti. Sono le finte partite IVA dell’architettura, un sistema che va avanti da anni, nell’omertà e nel tacito consenso tra le parti, senza che nessuno osi cambiarlo.

C’è però chi non ci sta: da qualche tempo, infatti, alcuni giovani architetti e collettivi informali stanno iniziando ad alzare la voce per mostrare tutta l’ipocrisia e le storture di un modello che da un lato arricchisce i grandi studi di architettura, e dall’altro produce precariato e disillusione tra i neolaureati, aumentando le già enormi disuguaglianze esistenti nel nostro Paese.

Architetti: quanto guadagnano, quanto (e come) lavorano

Secondo lo studio di settore pubblicato da ACE (The Architects’ Council of Europe) nel 2022, in Italia ci sono 151.000 architetti, circa 2,6 ogni 1.000 abitanti. La maggior parte (il 44%) svolge il lavoro come libero professionista, il 14% è dipendente, solo il 6% lavora nel settore pubblico e il 5% è titolare di una azienda. Per fare un confronto: in Europa il 35% opera come libero professionista, il 24% come dipendente, l’11% nel pubblico e il 12% come titolare. Numeri ben diversi.

"Avevo l’obbligo di essere in studio dalle 9 fino alle 18-19. Dovevo portare il mio computer ed essere sempre reperibile. Sono rimasto lì due anni. Era un ambiente di lavoro piuttosto stressante in cui durante tutto il mese di luglio lavoravo di norma sette giorni su sette per chiudere le consegne. Non c’era l’aria condizionata in ufficio, eravamo in dieci in uno spazio di 30 metri quadri (...)."
Matteo, architetto e finta partita IVA

Nel 2022, lo stipendio medio di un architetto in Italia era di 28.000 euro lordi l’anno. Nel 2010 era pari a 20.000, ma tornando indietro nel tempo di dieci anni si scopre che nel 2014 era già di 28.000 euro. Siamo quindi tornati agli stessi livelli di dieci anni fa, se non fosse che, nel frattempo, il costo della vita è lievitato, erodendo il potere d’acquisto dei lavoratori.

I dati pubblicati dalla Cassa Previdenziale della professione permettono di analizzare, nello specifico, l’andamento del reddito degli architetti che svolgono la loro professione in forma autonoma.

 

Si tratta di 88.792 soggetti, circa 35.000 femmine e 54.000 maschi, che nel 2020 risultavano iscritti ai registri di Inarcassa. L’andamento, in termini di reddito medio annuo, ha subito un crollo vertiginoso a seguito della crisi finanziaria globale del 2008, che ha portato la capacità reddituale degli architetti italiani a contrarsi addirittura del 38% in appena dieci anni.

Il rapporto dell’ACE, che prende in considerazione tutti i Paesi europei, mostra anche dei risultati generali molto positivi: ad esempio, tra il 2020 e il 2022 il salario medio è aumentato del 6%, mentre il mercato si è ingrandito passando da un valore di 17 miliardi nel 2020 a uno di 21 miliardi nel 2022 (+24%); e ancora, nel 2022 il tasso di disoccupazione nel settore è stato pari al 2%, con una diminuzione significativa rispetto al 2020, quando si attestava al 7%. Non solo: rispetto a dieci anni fa il numero di architetti è aumentato di molto (+ 100.000) e con loro la percentuale di donne che lavorano nel campo (il 46% nel 2022; nel 2012 era il 36%). Allo stesso tempo, il gender pay gap si attesta al 17%, un valore ancora alto, anche se pari a quasi la metà di quello registrato dieci anni fa.

"Dopo due anni prendevo quanto i nuovi arrivati. Non potevo aspirare a salire di livello, alcuni lavori mi erano preclusi e, addirittura, ero diventata l’addetta a fare i caffè per tutto l’ufficio. In generale, nel settore della cantieristica o della progettazione impiantistica, che sono al 90% a componente maschile, le donne sono viste sempre come elementi secondari, di appoggio."
Sofia, architetta

Insomma, negli ultimi anni sono stati fatti alcuni passi avanti, ma la situazione italiana resta peculiare e di certo più critica rispetto a quella di molti altri Paesi UE.

A confermarlo è anche il rapporto La professione di Architetto in Italia nel 2021, pubblicato dall’Osservatorio del CNAPPC (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori) nel 2022, che mette in evidenza un dato importante: il numero di immatricolati nei corsi di laurea in Architettura, nell’ultimo decennio, è diminuito progressivamente, risultando inferiore al numero di posti disponibili. L’indagine annuale di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati mostra poi che quasi la metà dei laureati di secondo livello in architettura e ingegneria edile e architettura del paesaggio (classi LM-04 e LM-03) dopo cinque anni dalla laurea svolge la sua professione in forma autonoma. Purtroppo emerge anche che circa un quinto dei giovani architetti dopo cinque anni dalla laurea si trova ancora in una condizione lavorativa precaria.

In Italia i problemi principali riguardano infatti i liberi professionisti, che spesso sono finte partite IVA e lavorano per cifre molto basse, a ritmi spesso insostenibili, senza grandi prospettive di crescita professionale.

Il lavoro di ULLARC contro lo sfruttamento degli architetti

ULLARC (Unione Lavoratrici e Lavoratori in Architettura) è una delle poche realtà italiane che da un paio d’anni si batte per ridare dignità a tutte le persone coinvolte nel settore. Si tratta di un collettivo aperto composto da freelance, collaboratrici e collaboratori stabili di studi, architette e architetti autonomi, quasi tutti a partita IVA.

Da agosto 2022 il gruppo sta portando avanti un percorso collettivo di sensibilizzazione e divulgazione pubblica sulle questioni legate al lavoro in ambito architettonico, attraverso riunioni, tavoli di lavoro e incontri con altri soggetti italiani ed europei.

Non siamo un sindacato. Siamo tutti volontari, lo facciamo nel tempo libero” ci spiega il collettivo. “Lo scopo a breve termine del progetto è quello di invogliare la solidarietà tra colleghi e di riaccendere il sentimento di classe, visto che affrontano tutti la stessa situazione e le stesse problematiche, per uscire così dalla solitudine, che è una delle sensazioni più comuni per chi svolge questo lavoro. Inoltre – aggiungono – abbiamo aperto un tavolo di lavoro per elaborare la proposta di un contratto nazionale degli architetti e a un altro tavolo sulla parità di genere assieme alle RebelArchitette. Per il momento, possiamo dire di aver raggiunto uno dei nostri primi obiettivi: portare il tema delle finte partite IVA nel dibattito nazionale”.

I tavoli di lavoro sono occasioni di confronto, approfondimento e ricerca nei quali vengono analizzate in collettiva proposte e strumenti pubblici di cambiamento. Ogni tavolo affronta aspetti specifici (nove in totale: benessere lavorativo, lavoro migrante, gare e concorsi, giovani ed equo compenso, tra gli altri) riguardanti il lavoro in architettura. “I tavoli di lavoro cercano di mappare le problematiche in maniera analitica – spiegano – facendo incontrare le persone interessate allo stesso argomento. Sono incontri aperti a tutti. Noi facciamo solo da collettore di idee e proposte. È un progetto del tutto collaborativo”.

La debolezza dei sindacati, la debolezza del CCNL: quando le finte partite IVA convengono

In Europa il tema delle condizioni di lavoro e di sfruttamento degli architetti è molto sentito e nel tempo sono nate diverse sigle sindacali, che si occupano di rappresentare le istanze e i diritti dei propri iscritti.

In Spagna dal 2008 è attivo il Sindicato de Arquitectos; in Portogallo opera il Sintarq (Sindacato dei lavoratori in Architettura); in Gran Bretagna fa sentire la sua voce il Future Architects Front e la “Section of Architectural Workers” della Union “United Voices of the World”; in Finlandia già dagli anni Settanta esiste il TEK, il più grande sindacato congiunto di ingegneri e architetti del Paese, che conta circa 77.000 iscritti; in Olanda è nato il gruppo NAA! (Nederlands Angry Architects), mentre oltreoceano, negli Stati Uniti, la Architectural Workers United si batte per ottenere condizioni di lavoro dignitose.

"Fino a ottobre 2019 ho lavorato in uno studio a Torino. Da quel momento ho deciso di trasferirmi in Finlandia (...). Lavoro sette ore e mezza al giorno e prendo 21 euro l’ora, più del doppio di quello che prendevo in Italia."
Junior P., architetto in fuga

In Italia esistono invece sigle sindacali piccole e poco incisive, come INARSIND o FederArchitetti. “Questo accade perché la lotta sindacale negli anni è stata in parte decostruita, specie negli atenei, dove non c’è solidarietà tra colleghi” dichiara ULLARC. “Quello di architetto è oggi diventato un lavoro molto individualista, anche se in realtà nasce come lavoro di gruppo, di squadra. Noi siamo convinti che la solidarietà nel nostro settore sia fondamentale”.

C’è poi il problema del lavoro sottopagato e del precariato. Ad oggi non esiste un vero e proprio CCNL degli architetti. Quello di riferimento sarebbe il CCNL Studi professionali Consilp, che, con il rinnovo del contratto collettivo del 16 febbraio 2024, prevede degli aumenti dei minimi retributivi a partire da marzo 2024, ma che spesso non viene applicato. Gli studi di architettura, dai più piccoli ai più grandi – che fatturano anche milioni di euro l’anno – prediligono infatti le collaborazioni a partita IVA.

“Il CCNL Studi professionali prevede delle retribuzioni bassissime – sostiene il collettivo – e non è detto che avere un contratto sia sempre più vantaggioso di una partita IVA, magari regolamentata in maniera differente. La verità è che lo studio preferisce fare la partita IVA perché è più conveniente dal punto di vista fiscale: garantisce maggiori entrate e permettere di abbattere il costo del lavoro, che in Italia è troppo alto. Così non è raro imbattersi in studi milionari che ufficialmente dichiarano di avere solo quattro o cinque dipendenti”.

Qualcosa, però, sembra stia cambiando: “Riponiamo molta fiducia nelle nuove generazioni, che iniziano a dare sempre più importanza al benessere e alla salute. Oggi, per fortuna, è più difficile che un neolaureato in Architettura accetti di lavorare 14 ore al giorno per cifre misere. È importante agire fin dall’università, fornendo agli studenti le informazioni utili sui contratti e sui diritti dei lavoratori, e combattendo l’idea che la gavetta post-studi sia la normalità. Per avvenire, il cambiamento deve partire dalla collettività e dalla sinergia dei diversi attori in campo, perché da soli non si va da nessuna parte”.

“Io, architetto a partita IVA, a casa da un giorno all’altro. Ho dovuto minacciare per avere gli arretrati”

“Nel marzo 2019 mi ero appena laureato e ho iniziato a lavorare in uno studio della mia città come finta partita IVA,” racconta Matteo (nome di fantasia). “All’inizio avevo la ritenuta d’acconto, ma quando ho superato la soglia consentita ho dovuto aprire la partita IVA. La paga non era terribile, ma avevo l’obbligo di essere in studio dalle 9 fino alle 18-19. Dovevo portare il mio computer ed essere sempre reperibile. Sono rimasto lì due anni. Era un ambiente di lavoro piuttosto stressante in cui durante tutto il mese di luglio lavoravo di norma sette giorni su sette per chiudere le consegne. Non c’era l’aria condizionata in ufficio, eravamo in dieci in uno spazio di 30 metri quadri e per la disperazione avevo portato un condizionatore da casa”.

"Tutti gli studi internazionali che hanno sede in Italia applicano il metodo delle finte partite IVA solo da noi, mentre negli altri Paesi UE sono costretti ad assumere."
Collettivo Riordine degli Architetti

Matteo prosegue: “L’aspetto più drammatico del lavorare come autonomo in mono-committenza è che dall’oggi al domani rischi di finire a gambe all’aria. Quando, ad esempio, è scoppiata la pandemia di COVID-19, a marzo 2020, io e i miei colleghi abbiamo ricevuto un messaggio dall’azienda in cui c’era scritto che da quel momento si fermava tutto. Da un giorno all’altro mi sono ritrovato senza entrate e senza nessun diritto da lavoratore dipendente, come la NASPI, le ferie e la malattia pagata. Così sono stato costretto a lasciare la casa dove vivevo e a tornare dai miei genitori: è stato umiliante. L’azienda, dal canto suo, non voleva perdermi e cercava di impedirmi di trovare altri lavori, ma allo stesso tempo non poteva pagarmi. Abbiamo finito per litigare e i titolari per ricatto non mi hanno pagato gli arretrati. Gli ho fatto scrivere tramite un avvocato e li ho avvisati che alla terza lettera di richiamo gli avrei fatto causa. Alla fine hanno ceduto e mi hanno dato tutti gli arretrati, anche se con sei mesi di ritardo. Per fortuna avevo dei genitori che potevano aiutarmi in quel momento di difficoltà, altrimenti non so come avrei fatto”.

La piaga della mono-committenza è in realtà diffusissima tra le finte partite IVA, tanto da essere diventata la normalità. In teoria, la norma prevede che i liberi professionisti non possono inviare più del 90% delle loro fatture allo stesso cliente, ma una legge promulgata dal Governo Renzi ha introdotto una clausola, secondo cui chi è iscritto all’Ordine degli Architetti può non sottostare a questa legge (cfr. art. 2, comma 2 del D.Lgs. 81/2015, detto Jobs act): in pratica una legittimazione delle finte partite IVA.

“In questi ambienti le donne sono viste come elementi secondari. È umiliante”

Sofia (nome di fantasia) ha 34 anni, è architetta e vanta, oltre a una laurea, un master e diverse specializzazioni.

“Appena dopo aver ottenuto la laurea e l’abilitazione professionale, mi è stata proposta una collaborazione da uno studio di architettura con la ritenuta d’acconto per 950 euro lordi al mese. I primi quindici giorni gratis. Me ne sono andata allo scadere del periodo di prova”, racconta. “Lavoravo in condizioni disumane, in un posto esposto al freddo e alla pioggia, senza riscaldamento. Eravamo solo in due nello studio e il capo non c’era mai”.

Terminata la prima esperienza di lavoro, Sofia decide di passare alla libera professione. Ha iniziato a collaborare con un suo ex collega, che però la pagava in nero (700 euro al mese) e la obbligava a lavorare come fosse una dipendente. Dopo varie esperienze negative, Sofia riesce a trovare uno studio dove le offrono un contratto regolare, a tempo indeterminato, e un paga buona. I problemi nascono però pochi mesi dopo la firma del contratto, quando scoppia la pandemia e la mole di lavoro inizia ad aumentare in modo spropositato. “Dopo due anni che lavoravo lì il mio stipendio non era cambiato, era lo stesso degli ultimi arrivati”.

Sofia spiega che essere una donna rappresenta spesso ancora un ostacolo alla carriera ed è motivo di pregiudizi, in questi ambienti: “Non potevo aspirare a salire di livello, alcuni lavori mi erano preclusi e, addirittura, ero diventata l’addetta a fare i caffè per tutto l’ufficio. In generale, nel settore della cantieristica o della progettazione impiantistica, che sono al 90% a componente maschile, le donne sono viste sempre come elementi secondari, di appoggio. Una condizione umiliante”.

Dall’Italia alla Finlandia: “Qui col mio stipendio sfamo quattro persone”

Junior P., classe ’91, è uno dei tanti giovani architetti che ha deciso di lasciare l’Italia per un futuro migliore all’estero.

“Mi sono laureato a dicembre 2018 – racconta – e fino a ottobre 2019 ho lavorato in uno studio a Torino. Da quel momento ho deciso di trasferirmi in Finlandia, a Turku, dove vivo con la mia compagna e due figli. I primi mesi ho lavorato con la ritenuta d’acconto, dopo sono stato costretto ad aprire la partita IVA come disegnatore (non avevo ancora sostenuto l’esame di Stato da architetto), anche se la paga era bassa sia per le figure junior (1.100 euro lordi al mese) che per le figure senior (1.200 euro e rotti al mese). Io sono riuscito a cavarmela perché avevo un appartamento di proprietà a Torino. Con la mia compagna iniziava però a farsi strada l’idea di metter su famiglia e con quegli stipendi era chiaro che per noi non c’era futuro qui, così abbiamo deciso di trasferirci entrambi.”

Hanno scelto di trasferirsi nel Nord Europa, dove hanno trovato una situazione differente. “Qui in Finlandia sostanzialmente il lavoro è salariato: i professionisti che lavorano per uno studio vengono assunti. La tassazione è alta, ma è divisa per diversi scaglioni, e lo Stato offre ottimi servizi, come l’asilo nido gratuito. Io lavoro sette ore e mezza al giorno (37 ore e mezza a settimana con mezz’ora di pausa pranzo) e prendo 21 euro l’ora, più del doppio di quello che prendevo in Italia. Il costo della vita è alto, ma fai conto che solo con il mio stipendio riesco a sfamare quattro persone. In più, ho un mese di ferie pagate, un congedo parentale di 18 giorni e 180 giorni totali di permesso durante il primo anno di vita del bambino. In Finlandia – sottolinea – vedo che c’è maggiore organizzazione e che gli stipendi arrivano sempre puntuali. Il modello è molto più efficiente. In Italia, invece, l’inerzia del sistema è molto forte, l’ambiente è iper-competitivo e stressante, e i lavori mediamente pagati meno”.

Riordine degli architetti: “Ci sono aziende che in Italia usano finte partite IVA e in altri Paesi UE assumono”

Riordine degli architetti è un collettivo formato da professionisti che si tutelano dietro l’anonimato. La pagina Instagram, dove il collettivo pubblica testimonianze e denunce di irregolarità sul lavoro negli studi di architettura, conta oltre 30.000 follower.

Per Riordine gli studi preferiscono non assumere e avere collaboratori a partita IVA per un motivo principalmente economico: “In questo modo l’azienda evade tutta una parte di contributi che dovrebbe versare”, ci dicono. “In Italia gli studi di architettura si fanno concorrenza al ribasso e il prezzo di questo lo pagano i dipendenti. Poi – aggiungono – esiste un discorso di flessibilità e potere contrattuale: le partite IVA hanno un potere contrattuale pari a zero e il datore di lavoro può terminare la collaborazione quando vuole con estrema facilità. Un contratto di subordinazione, anche a tempo determinato, offre meno flessibilità. Se così la vogliamo chiamare”.

Gli chiediamo allora perché i liberi professionisti nella maggior parte dei casi non si ribellano a questo sistema. “È una domanda complessa, che va affrontata da più punti di vista. Un primo punto di partenza è l’ignoranza della ‘vittima’. Un architetto neolaureato tende a non conoscere i suoi diritti e non capisce neanche molta della terminologia riguardante il lavoro. Complice anche la diffusione quasi totale del metodo delle finte partite IVA, i più giovani pensano di operare nella completa normalità e quindi nella legalità. Naturalmente questo è falso. Per completare il quadro ci sono gli ordini professionali, i quali fanno finta di niente e provano a legittimare questo scempio, continuando a ripetere ai loro iscritti che si è sempre fatto così”.

Ci è giunta voce che ci sono studi internazionali che addirittura applicano contratti e modalità diverse di lavoro nelle sedi italiane rispetto a quelle estere: “Tutti gli studi internazionali che hanno sede in Italia applicano il metodo delle finte partite IVA solo da noi – ci confermano – mentre negli altri Paesi UE sono costretti ad assumere. Questo riflette due verità: la prima è che da noi è accettato tutto sia da chi dovrebbe controllare sia da chi viene sfruttato; la seconda riguarda la mentalità italiana arretrata, che promuove ancora l’idea nostalgica dello studiolo tra associati che collaborano assieme”.

La mancanza di consapevolezza dei propri diritti non può che sfociare allora nello sfruttamento: “Nessuno ti può tutelare se in primis tu, architetto, non capisci di essere sfruttato. I sindacati nascono proprio dalla consapevolezza individuale della realtà, che poi si trasforma in un’azione collettiva. In Italia questa consapevolezza, però, ad oggi manca”.

 

 

 

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