Italia: scuola precaria. La UE ci boccia

Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda intervistato da SF: “Precariato scolastico? Tutti ci mettono una pezza, nessuno risolve. Bene i concorsi, ma basta con quelli straordinari”.

Puntare il dito verso la luna e discutere del dito è un’esperienza che accomuna ambienti anche molto diverso fra loro, come il Ministero della Pubblica Istruzione Università e Ricerca e una categoria che da tempo rivendica in campo lavorativo maggiori diritti di quelli che non le sono mai stati concessi dallo stesso ministero: gli insegnanti.

In un precedente articolo abbiamo affrontato il nodo dell’accesso alla professione di insegnante e al suo esercizio attraverso un paio di testimonianze: quella di un ragazzo che di fronte alle difficoltà incontrate ha imboccato un’altra strada, abbandonando progressivamente l’idea di insegnare, e quella di una ragazza che ha rinunciato a un contratto a tempo indeterminato in una scuola privata per tentare il concorso pubblico, a fronte di una paga troppo bassa. Entrambi si avvicinano ai quarant’anni, e le loro esperienze, per motivi diversi, hanno dato la stura a moti di riprovazione da parte di lettori e utenti di Facebook.

Tale conferma in sé non sarebbe degna di nota, se non fosse per la veemenza opposta da una lettrice nel rivendicare dignità per la moltitudine di insegnanti statali che vivono una condizione di precariato trascinata oltre ogni limite di ragionevole sopportazione. Non che ci fosse qualcosa di oggettivamente offensivo nelle parole usate dall’intervistata (quando parlava di sanatoria usando l’espressione “butta-dentro”, con riferimento all’ultimo concorso tenutosi a fine ottobre), ma è indicativo del clima in cui il ministero sta tentando di sanare una situazione insostenibile, che ha portato nel tempo a ingrossare in modo spropositato le fila del precariato scolastico.

L’Europa ha bocciato l’Italia su scuola e precariato

Di fatto, per comprendere a fondo la rabbia e il risentimento generati tra cattedre e lavagne, in parte sono utili le testimonianze come quelle raccolte in quel precedente articolo; ma altrettanto essenziale è rispondere alla domanda che ponevamo fin dal titolo: perché tanta fretta, ministro? Perché indire un concorso che sa di sanatoria in un frangente tanto delicato a causa dell’emergenza pandemica da coronavirus, con una naturale riduzione della mobilità degli insegnanti, alcuni dei quali sono finiti in quarantena perché positivi ai tamponi?

Proprio su questo la ministra Lucia Azzolina è stata oggetto di critica non solo da parte dell’opposizione, ma anche dei suoi alleati di governo, più propensi a concentrarsi sull’emergenza sanitaria piuttosto che a risolvere in via eccezionale quell’emergenza endemica nella scuola pubblica italiana che passa sotto il termine di precariato.

La risposta per tanta fretta, oltre che nelle legittime ambizioni del ministro, può arrivare solo da Bruxelles, dove è in corso una procedura di infrazione contro l’Italia per abuso di contratti a termine nella pubblica amministrazione. In particolare proprio tra gli insegnanti e il personale ATA, ossia gli amministrativi e quelli che una volta erano detti sbrigativamente “bidelli”: il fatto che non da anni, ma da decenni sia invalsa una prassi per cui si assumono insegnanti a inizio anno per licenziarli al termine delle lezioni, costringendoli per la maggior parte a richiedere l’indennità di disoccupazione per i mesi estivi scoperti, contraddice una direttiva comunitaria, esattamente la 70 del 1999, che obbliga invece all’assunzione dopo trentasei mesi di una simile trafila, ossia dopo tre anni di precariato.

Nello stesso anno in cui la Corte di Strasburgo accoglieva il ricorso – era il 2012 – la Corte di Cassazione di Roma diede ragione allo Stato italiano e torto ai precari. Era l’autunno dello scorso anno, il 2019, quando la Commissione europea avviò la procedura di infrazione. È infine del giugno di quest’anno martoriato, il 2020, una sentenza del Consiglio di Stato che ha riconosciuto nei tre anni di servizio quel ruolo abilitante che è di fatto l’anticamera dell’assunzione.

Rino Di Meglio, Gilda: “Precariato scolastico? Tutti ci mettono una pezza, nessuno risolve”

Poiché a conti fatti, al di là delle Alpi, la scuola italiana è osservata speciale da ben dodici anni. Non è pensabile che quanto è avvenuto e ancora sta avvenendo non abbia a che fare con la procedura di infrazione, la spada di Damocle sospesa su un intero sistema scolastico nazionale che non si è mai fatto troppe remore a ricorrere in modo sistematico al precariato. Sarà un caso, ma proprio nel 2008 coincidono la soppressione della SISS (il percorso pluriennale abilitante, che si aggiungeva alla laurea in sostituzione al concorso che non veniva più indetto da anni) e la prima segnalazione di abuso del precariato alla Corte europea di Strasburgo da parte sindacale.

Il sindacato promotore di quel ricorso, cui si aggiunsero la CGIL e l’ANIEF, fu la Gilda, di cui è coordinatore nazionale Rino Di Meglio: “Abbiamo sempre ritenuto illegittima la reiterazione ad libitum dei contratti a scadenza, che solo quest’anno calcoliamo avere raggiunto il numero di 200.000 circa. Significa che un insegnante su cinque oggi è precario, e non da due o tre anni, ma da cinque, sei o più ancora. È chiaro che tutti i tentativi di riformare un sistema che affonda le sue radici addirittura negli anni Settanta e nei Novanta con la Legge Bassanini, di volta in volta introducendo percorsi abilitanti come la SILSIS e i TFA e infine ritornando anche giustamente al concorso, non sono appunto che tentativi privi di una visione di lunga portata, con il risultato di mettere qualche pezza senza però risolvere il problema”.

“Perché ancora non propongono un sistema valido e chiaro di formazione, selezione e reclutamento degli insegnanti, capace di reggersi per molti anni a venire. Procedono invece con sanatorie, che è poi la differenza tra un vero riformismo e quello di si dice metterci una toppa. Questo perché ogni ministro è portato a ragionare in termini immediati, sia per una questione di consenso spicciolo sia per una ragione pratica, legata alla fragilità dei governi di cui fanno parte.”

“Personalmente ho avuto confronto con tutti i ministri che negli ultimi dodici anni si sono susseguiti a Trastevere, e devo dire che non ci siamo mai trovati in aperto conflitto con nessuno di loro. Il problema viene comunemente ammesso e affrontato da ognuno a suo modo, prima con la Buona Scuola del governo Renzi e ora con i concorsi, ma è proprio per questa impostazione miope che non soddisfano mai del tutto. È come se non si volesse ammettere che un intero sistema è ormai alla corda e, arrivato sul punto di collassare, lo si corregga, così da riportare una piccola vittoria, incapace però di impostare e varare un percorso chiaro di formazione e reclutamento degli insegnanti tale da reggersi nel tempo e rimandando sempre la questione a tempi futuri.”

“Si immagini che nel 2015 la Buona Scuola introdusse una norma che impediva l’assunzione di insegnanti precari dopo i trentasei mesi imposti dall’Europa. Pensavano di risolverla così, aggiungendo alla prima una seconda ingiustizia, decisamente peggiore. Ovviamente fu emendata.”

“Bene i concorsi, ma basta con quelli straordinari”

Eppure, i margini per instaurare un sistema che garantisca il ricambio generazionale nella scuola e che possa funzionare anche in Italia, senza il vizio di ricorso sistematico al precariato, non mancano: la Gilda stima una media di 40.000 insegnanti che ogni anno accedono a un piano pensionistico, con picchi corrispondenti ad esempio all’applicazione della cosiddetta Quota 100, e valli consistenti alla Legge Fornero.

Senz’altro gioverebbe maggiore chiarezza su che cosa debba fare un aspirante insegnante per prestare servizio senza alimentare abusi di cui è innegabilmente la prima vittima: “Il concorso concettualmente non è sbagliato, tutt’altro. Rappresenta sempre la via preferenziale per le assunzioni pubbliche. Però non possono essere indetti sempre in via straordinaria e ridursi a test a crocette. Ne va in primo luogo della loro credibilità”, afferma Di Meglio.

A suo avviso, una valida soluzione deve passare attraverso una decentralizzazione: “Non ne faccio una questione politica, ma bisogna ammettere che la centralizzazione qui, a differenza che in Francia, non funziona. Meglio un modello tedesco, di tipo federale, che permetta alle regioni di indire concorsi sulla base delle loro esigenze e disponibilità. Altrimenti è evidente che una mobilità tra Nord, Centro e Sud resterà sempre sulla carta, e non avrà modo di tradursi in pratica a causa dei bassi stipendi e dell’assenza totale di benefit relativi all’alloggio. È il motivo per cui si è ingenerata quella pessima abitudine di accettare il posto lontano da casa per assicurarselo, per poi chiedere subito il trasferimento, lasciando scoperti gli organici già al primo giorno di lezione. Si è pensato di intervenire, ma in modo che alla fine quelle regioni e province che restano scoperte dopo la richiesta di trasferimento sono rimaste scoperte già da subito, nonostante le promesse del ministro”.

Photo credits: www.liceoartisticorussoli.edu.it

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