Gli italiani nel rapporto Censis: “Progressisti rassegnati in attesa di un miracolo”

La fotografia dell’Italia realizzata dal Censis parla di un Paese in cui gli anziani sono sempre più lontani dai giovani della “migliore generazione di sempre”, rassegnato e attanagliato dalle paure, ma con una spinta progressista sorprendente e che ha ridimensionato del tutto il ruolo del lavoro

22.12.2023
Gli italiani descritti dal rapporto Censis: tre generazioni passeggiano fianco a fianco

Come sonnambuli, ciechi dinanzi ai presagi. Così il Censis descrive gli italiani nell’ultimo rapporto sulla situazione sociale del Paese.

“[…] Al di là del coinvolgimento ordinario nelle tante e articolate attività della vita quotidiana – scrive il centro studi – la comunità nazionale sembra riposare in una sorta di torpore, in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali, di lungo periodo, dagli effetti potenzialmente funesti.”

Presentato alla stampa venerdì 1 dicembre presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), il 57esimo rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese, analizzando i diversi settori della società: dalla formazione al lavoro, dal welfare e la sanità al territorio e le reti, dai media e la comunicazione alla sicurezza e la cittadinanza.

Ne emerge un quadro a tinte fosche, caratterizzato da numerosi chiaroscuri e da un generale senso di confusione, sfiducia e apatia verso il futuro. In un clima emotivo e irrazionale

tutto è emergenza, e quindi nulla lo è davvero. “Così trovano terreno fertile paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l’improbabile e l’inverosimile”, sostiene Massimiliano Valerii, direttore generale Censis.

Gli italiani nel 2050 secondo il rapporto Censis: sempre più vecchi, delusi e rassegnati

Secondo gli autori del rapporto, alcuni processi economici e sociali assai prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o sono comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza.

A concorrere a questa sensazione c’è di certo la crisi demografica. Secondo le proiezioni, nel 2050 l’Italia avrà perso 4,5 milioni di residenti (in pratica è come se Roma e Milano scomparissero). La flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni (in particolare, -3,7 milioni con meno di 35 anni) e di un contestuale aumento di 4,6 milioni di persone over 65 (in particolare, +1,6 milioni con 85 anni e oltre).

Questo mutato contesto demografico porterà a un calo di quasi 8 milioni di persone in età attiva nel 2050: una scarsità di lavoratori dall’impatto inevitabile sul sistema produttivo e sulla nostra capacità di generare valore. Non a caso, il 73,8% degli italiani ha paura che negli anni a venire non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni e il 69,2% pensa che non tutti potranno curarsi, perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate.

Si amplia la forbice generazionale

La distanza esistenziale tra i giovani di oggi e le generazioni passate si fa abissale. I diciotto-trentaquattrenni sono poco più di 10 milioni, pari al 17,5% della popolazione totale, mentre nel 2003 superavano i 13 milioni: in vent’anni abbiamo perso quasi 3 milioni di giovani.

I giovani sono pochi e contano sempre meno. Lo pensa la maggioranza degli italiani (57,3%), che riconosce che i giovani, in questo momento storico, sono la generazione più penalizzata di tutte. Per fare un esempio: solo l’11,1% dei 7.786 sindaci attualmente in carica (860 in tutto) ha al massimo 40 anni.

Gli anziani rappresentano oggi invece il 24,1% della popolazione complessiva e nel 2050 saranno 4,6 milioni in più, pesando il 34,5% sul totale della popolazione. Gli anziani di domani saranno sempre più senza figli e sempre più soli. Il numero medio dei componenti delle famiglie scenderà da 2,31 nel 2023 a 2,15 nel 2040. Le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare nel 2040 solo il 25,8% del totale, mentre le famiglie unipersonali aumenteranno fino a 9,7 milioni (il 37% del totale). Di queste, quelle costituite da anziani diventeranno nel 2040 quasi il 60% (5,6 milioni).

A questo scenario preoccupante si sommerà il problema legato alle cure. Nel 2021 gli anziani con gravi limitazioni funzionali erano 1,9 milioni: il 63,1% del totale delle persone con limitazioni in Italia. Secondo le stime, nel 2040 il 10,3% degli anziani continuerà ad avere problemi di disabilità. Rimane quindi sullo sfondo la questione ineludibile del bisogno assistenziale legato agli effetti epidemiologici dell’invecchiamento demografico.

L’Italia, una “società di sonnambuli” paralizzata dalle sue paure

Fra le paure che terrorizzano gli italiani c’è anche quella per la crisi climatica: l’84% è impaurito dal clima “impazzito”; il 73,4% teme che i problemi strutturali irrisolti del nostro Paese provocheranno nei prossimi anni una crisi economica e sociale molto grave, con povertà diffusa e violenza; per il 73% gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi migratori sempre più intensi, e non saremo in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga dalle guerre o per effetto, appunto, del cambiamento climatico.

Anche il ritorno della guerra ha suscitato nuovi allarmi: il 59,9% degli italiani ha paura che scoppierà un conflitto mondiale che coinvolgerà anche l’Italia; per il 59,2% il nostro Paese non è in grado di proteggersi da attacchi terroristici di stampo jihadista; il 49,9% è convinto che l’Italia non sarebbe capace di difendersi militarmente se aggredita da un Paese nemico; per il 38,2% nella società sta crescendo l’avversione verso gli ebrei. Sono scenari apocalittici che paralizzano, anziché mobilitare risorse per la ricerca di soluzioni efficaci, e generano l’inerzia dei sonnambuli di fronte alla complessità delle sfide che attendono la nostra società.

Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, il 56% degli italiani (percentuale che sale 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società, mentre il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi. Non solo: per il 69,3% degli italiani la globalizzazione ha portato all’Italia più danni che benefici. Così, per l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) il futuro del Bel Paese è in declino. Per Valerii “Questa società di sonnambuli – per risollevarsi – avrebbe bisogno di ritrovare la forza propulsiva di un fervido immaginario collettivo”.

Nove italiani su dieci ridimensionano l’importanza del lavoro

Tra le poche note positive presenti nel rapporto c’è quella sul record di occupati. Tra il 2021 e il 2022, infatti, gli occupati sono aumentati del 2,4% e nei primi sei mesi dell’anno la crescita rispetto allo stesso periodo del 2022 è stata del 2%. Sono 23.449.000 gli occupati al primo semestre: il dato più elevato di sempre. Nonostante questo traguardo, l’Italia rimane comunque all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di occupazione: il 60,1%, al di sotto del dato medio europeo (69,8%) di quasi dieci punti.

In tempi così incerti, anche i desideri cambiano e si ridimensionano: non si cerca più uno stile di vita all’insegna dello spreco e del lusso, ma piuttosto piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere. Così anche il lavoro perde centralità nell’esistenza: per l’87,3% degli occupati il lavoro non deve rappresentare più la priorità, mentre acquisiscono maggiore importanza il tempo libero da dedicare a sé stessi (per il 62,1% degli italiani) e la felicità derivante dagli hobby e dalle passioni personali (per il 94,7%). Anche il benessere psicofisico ricopre ora un ruolo da protagonista rispetto al passato: l’81% degli italiani dedica infatti molta più attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni.

Di fronte a uno scenario così cupo e drammatico non sorprende, quindi, se tante persone – giovani in primis – continuano a lasciare il nostro Paese: sono più di 5,9 milioni gli italiani residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia. Gli expat sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni (ovvero quasi 1,6 milioni in più). Di questi, la maggior parte è composta da giovani: nell’ultimo anno gli espatriati sono stati 82.014, di cui il 44% tra 18 e 34 anni (36.125 giovani). Se si considerano anche i minori al seguito delle loro famiglie si sfiorano le 50.000 unità: il 60,4% di tutti gli espatriati nell’ultimo anno.

Anche il peso dei laureati sugli expat venticinque-trentaquattrenni è aumentato in modo significativo, passando dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021: una perdita consistente di competenze.

Meno famiglia tradizionale, più diritti civili

Al di là degli slogan politici o ideologici, la famiglia tradizionale si sta trasformando in modo radicale.

In Italia le famiglie sono 25,3 milioni. Quelle tradizionali, composte da una coppia con o senza figli, sono il 52,4% del totale (erano il 60% nel 2009). Il 32,2% delle famiglie (8,1 milioni) è formato da una coppia con figli (nel 2009 la percentuale era del 39%). Anche il numero dei matrimoni cala (ne erano stati celebrati 246.613 nel 2008, solo 180.416 nel 2021) e oggi 1,6 milioni di famiglie (l’11,4% del totale) sono costituiti da coppie non coniugate. I cittadini stranieri oggi sono presenti in 2,6 milioni di nuclei familiari (il 9,8% del totale) e 1,8 milioni di famiglie (il 7% del totale) sono composti da stranieri.

In questo mutato scenario sociodemografico, anche le opinioni degli italiani in merito a diritti umani e civili cambiano e si aggiornano, disegnando un quadro progressista e laico. Il 74% si dice infatti favorevole all’eutanasia, il 70,3% approva l’adozione di figli da parte dei single, il 65,6% si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, il 54,3% è d’accordo con l’adozione di figli da parte di persone dello stesso sesso.

Rimane invece minoritaria la quota di italiani (il 34,4%) che approva la gestazione per altri (GPA). Infine, il 72,5% è favorevole all’introduzione dello ius soli, ovvero la concessione della cittadinanza ai minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti, e addirittura il 76,8% è favorevole allo ius culturae, ovvero la cittadinanza per gli stranieri nati in Italia o arrivati in Italia prima dei 12 anni che abbiano frequentato un percorso formativo nel nostro Paese.

I mille sciami dell’Italia: “Un Paese che trascina i piedi in attesa di un miracolo, con i giovani migliori di sempre”

Un’altra considerazione interessante contenuta nel rapporto è quella relativa agli sciami.

“[…] Il nostro Paese ha costruito in decenni il proprio meccanismo di vita sociale preferendo lo sciame allo schema, l’arrangiamento istintivo al disegno razionale. Uno sciame che però oggi appare disperdersi, distaccando dietro di sé mille scie divergenti”. Queste scie descrivono alla perfezione la sensazione di solitudine esistenziale e sociale montante nel nostro Paese, figlia di un sistema sempre più orientato all’individualismo e agli interessi particolari, e sempre meno alle cause sociali e alla mobilitazione collettiva.

“Il nostro è un Paese che visto nell’insieme sembra vada bene”, afferma Giorgio De Rita, segretario generale Censis. “L’inflazione è scesa, lo spread è basso, i giudizi di rating relativamente positivi, l’occupazione al suo record, il mercato del lavoro nel complesso resiste. Il problema – spiega – sta però nelle radici, la parte invisibile, che soffre, sta male. È un Paese lento, che trascina i piedi e non mette mani alle cose, in attesa di qualche miracolo”.

Un modello di sviluppo cosiddetto dei mille sciami, che per De Rita “mette insieme tante individualità diverse, sprecando molto e spingendo verso l’esterno, senza però grandi baricentri né razionalità. Un modello che vediamo sfaldarsi giorno dopo giorno, incapace di raggiungere grandi traguardi, ma solo tappe intermedie”. Cosa sostituirà allora questi mille sciami?

“L’impressione è che dovremo imparare a convivere con un modello di sviluppo diverso, in cui il fai-da-te, la personalizzazione vincerà su tutto. Forse – aggiunge De Rita – dovremo fare i conti con un assetto sociale sempre più caratterizzato dalla solitudine come dimensione sociale e non solo personale. Questo lo vediamo già in almeno due aspetti: il primo è il rovesciamento che abbiamo avuto nel senso del lavoro. In passato erano le imprese a scegliere i lavoratori con cui lavorare, oggi accade il contrario: sono i lavoratori che scelgono le imprese e il contesto in cui andare a lavorare. Questo nuovo paradigma spiazza le imprese, che devono ripensare il modo in cui reclutano e scelgono il personale. Il secondo elemento – continua De Rita – riguarda il risparmio. Negli ultimi quindici-venti anni è stato caratterizzato dalla funzione sociale delle assicurazioni, che offrivano rassicurazioni. Oggi questa capacità viene meno: c’è maggiore ansia e preoccupazione. Un nuovo scenario che spingerà il Paese verso una situazione sempre più feroce e incerta. Servirà un mix diverso sulla capacità del risparmio di confermare la solidità italiana”.

Come già espresso nel suo intervento al convegno Il senso del lavoro svoltosi lo scorso settembre presso Unioncamere, De Rita ribadisce anche in questo caso la necessità di rimettere al centro della nostra attenzione i giovani, che sono “forse la migliore generazione di sempre. I più preparati, determinati a prendere in mano un nuovo modello di sviluppo, diverso dal passato, che probabilmente eliminerà alcune delle radici su cui era basato e che cambierà i riferimenti a cui siamo abituati”.

Per il segretario generale del Censis questo rappresenta però un aspetto positivo, perché significa che “nel nostro Paese c’è ancora chi ha voglia di fare, di cambiare o immaginare un futuro diverso. Dopo tutto – conclude – l’incertezza allena l’anima e noi, in questi anni, abbiamo allenato in modo formidabile i giovani, mettendoli davanti a mille incertezze. Adesso dobbiamo riporre la nostra fiducia in loro”.

 

 

 

Photo credits: rtl.it

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