“Penso che le modifiche che verranno introdotte non favoriranno il rientro degli italiani all’estero (‘cervelli’ lo trovo un termine antipaticissimo). Considerando che già ora è difficile riuscire a trovare un lavoro in Italia con una RAL che giustifichi il ritorno in patria”, dice Walter, 29 anni, da Parigi. “Tuttavia per alcuni ruoli si riusciva a compensare quel gap proprio grazie alle agevolazioni fiscali. Parlando con altri amici italiani che vivono e lavorano all’estero mi sembra di capire che molti non hanno intenzione di tornare, non solo a causa delle retribuzioni, ma anche per via degli ambienti di lavoro tossici che spesso ti rovinano la salute. Io personalmente a meno di trent’anni ho un lavoro come quadro full remote, 40 giorni di ferie all’anno, rimborso 100% delle utenze per internet e 50% dell’abbonamento per i mezzi pubblici. Non sarei mai tornato in Italia per guadagnare di meno e lavorare di più con le agevolazioni fino al 90% al Sud; figuriamoci ora”.
Non solo Walter: sono migliaia gli italiani e le italiane all’estero che avevano intenzione di tornare a breve in Italia e che hanno espresso profonda preoccupazione per le nuove norme. Sono nati così gruppi WhatsApp come Rientro Italia o Domande su casi specifici, a cui, in pochi giorni, si sono iscritte più di duemila persone. Giovani, coppie, famiglie: tutte persone diverse accomunate dalla volontà di lasciare il Paese alla ricerca di un futuro migliore all’estero. Le loro istanze sono confluite anche in una petizione, che ad oggi ha raccolto oltre 7.500 firme.
Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 30 ottobre scorso, in occasione dell’incontro con AIRC per “I giorni della ricerca” al Quirinale, ha sottolineato la drammaticità del fenomeno.
“I nostri giovani ricercatori sono bravi. […] Rappresentano un orgoglio per il nostro Paese, oltre che un motore per l’Europa. Purtroppo sappiamo che le nostre risorse globalmente destinate alla ricerca scientifica sono limitate rispetto agli standard che dovremmo raggiungere. Constatiamo anche – ha aggiunto – che tanti giovani vanno all’estero e vi rimangono, non perché non amerebbero lavorare in Italia, ma perché da noi talune condizioni, economiche e professionali, sono poco aperte, meno competitive.”
I dati ISTAT confermano che la composizione degli expat è costituita soprattutto da giovani molto formati: “Un emigrato italiano su tre ha un’età compresa tra 25 e 34 anni: in totale 31.000, di cui oltre 14.000 hanno una laurea o un titolo superiore alla laurea”.
Inoltre, il saldo migratorio dei laureati (ovvero la differenza tra espatriati e rimpatriati) è molto negativo, a testimonianza del fatto che la maggior parte degli expat non torna. Nel corso del decennio 2012-2021, infatti, sono stati 120.000 gli italiani con una laurea andati all’estero, mentre i laureati tornati in Italia sono stati poco più di 41.000: “La differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa e restituisce una perdita complessiva per l’intero periodo di oltre 79.000 giovani laureati”.