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La fabbrica dei Rokes e Vadim l’incompreso
Il tema del lavoro, centrale nell’esperienza e nell’universo emozionale umano, è stato sempre utilizzato con estrema parsimonia dagli autori di opere destinate all’intrattenimento, non ultime le canzoni di musica leggera: di norma, i versi si mantengono comunque lontani dai dettagli inerenti all’ambiente della fabbrica e alle tecniche di produzione, accennando appena all’impegno lavorativo dei protagonisti […]
Il tema del lavoro, centrale nell’esperienza e nell’universo emozionale umano, è stato sempre utilizzato con estrema parsimonia dagli autori di opere destinate all’intrattenimento, non ultime le canzoni di musica leggera: di norma, i versi si mantengono comunque lontani dai dettagli inerenti all’ambiente della fabbrica e alle tecniche di produzione, accennando appena all’impegno lavorativo dei protagonisti delle canzoni, ritratti in rari scampoli d’attività che interrompono una vita altrimenti percepibile come una lunga vacanza.
Nel 1968, alla loro seconda apparizione al Festival di Sanremo, i Rokes propongono al pubblico Le opere di Bartolomeo, un motivo non privo di spirito, costruito su un arrangiamento imprevedibile e moderno non senza qualche reminiscenza psichedelica che accompagna un racconto ambientato alla catena di montaggio. Il testo è anticonformista, surreale e rodariano, e la musica passa teatralmente dal rhythm and blues al melodramma, a sottolinare il passaggio tra la realtà della fabbrica e il sogno dell’alloro letterario cullato dal protagonista: il mondo si commuoverà quando le mie opere saranno conosciute, pensa Bartolomeo, operaio con la nascosta passione della poesia, mentre lavora senza sosta alle presse contando ritmicamente gli oltre mille e cento buchi.
“Millecentoquattordici buchi tutti in fila in questo stesso pezzo di ferro così (uffa…) ”
Come abbiamo già riscontrato nel nostro ancora breve excursus, anche nei versi di Sergio Bardotti il lavoro appare privo di ogni tipo di connotazione positiva, e resta –per quanto consegnato a un ritratto lieve, destinato a strappare un sorriso – un momento che si rifiuta di fare coincidere con l’identità del protagonista della canzone. In un certo senso, gli autori di musica leggera sembrano addirittura prefigurare una filosofia sociale più avanzata di quella, basata sul conflitto di classe, che ancora negli anni Sessanta è alla base del confronto politico nazionale: il soggetto della narrazine non «è» un operaio, «fa» l’operaio, rifiutando di sentirsi massa e rifugiandosi in aspirazioni individuali del tutto slegate dall’ambiente della fabbrica.
Nel panorama dei partecipanti di quell’anno, Le opere di Bartolomeo è forse la canzone più originale e all’avanguardia, ma critica e pubblico quasi non la prenderanno in considerazione e, nonostante la fama dei Rokes, abituati a ben altri risultati, il singolo si fermerà alla dodicesima posizione delle classifiche.
Minor fortuna ha, quasi cinquant’anni più tardi, il cantautore romano di origine siciliana Vadim Valenti, che affronta nuovamente il tema della produzione automatizzata nel motivo La modernità, che gli permette di vincere la selezione di Area Sanremo e, preferito a centinaia di concorrenti, prendere parte alla sezione Giovani del Festival nel febbraio 2014. Vadim rifiuta di collaborare con le etichette disponibili a supportarlo solo in occasione della kermesse: «la casa discografica è come una fidanzata, deve credere in me», afferma, ma la sua sfida non viene raccolta, e per l’attività di ufficio stampa nei giorni del Festival è costretto ad appoggiarsi alla struttura di promozione turistica del Comune di Sanremo.
In conferenza stampa, Vadim sottolinea la forte carica sociale dei suoi versi. Il presidente della commissione selezionatrice Paolo Giordano sottolinea la forte scommessa nell’avere individuato e scelto tra tanti proprio Vadim, che ha tutte le potenzialità per diventare un nuovo Tricarico. Una decisione sofferta, aggiunge, consapevole che la personalità complessa del cantautore potrebbe non riuscire a stabilire una connessione con pubblico e critica. Il contrasto tra il doppiopetto sartoriale scelto dal cantante romano e l’arrangiamento rock del brano, fra Coldplay e Radiohead, non lo aiutano.
“Scendono gocce di sudore sulla fronte di un lavoratore… ed il mondo non può farne a meno almeno credo almeno credo… ma questa è la modernità”
I versi della canzone affrontano in modo disincantato il passaggio da un mondo dove la fronte dei lavoratori era segnata dal sudore a quello dove si rimarrà a casa mentre «un computer lavorerà», chiedendosi apparentemente se le innovazioni tecnologiche potranno sostenere la vita quotidiana, nella quale emergono, sussurrati e quasi messi in secondo piano per pudore e necessità, il bisogno di sostenere l’amore, i sentimenti, un progetto familiare. Spontaneo notare il contrasto con il rifiuto del lavoro incontrato nelle canzoni di ieri quasi ogni volta che il tema era solo accennato.
Il tema non è inedito ma si presenta difficile e inconsueto per il palco dell’Ariston: la critica sanremese, complice un’interpretazione aspra e il carattere introverso e apparentemente scontroso dell’autore, riserva a Vadim la peggiore delle attenzioni, evitando persino di parlarne male, e ignora quasi del tutto l’irrituale proposta del trentenne capitolino.
Vadim totalizza appena il 7.68% dei voti disponibili, mancando l’accesso alla serata finale.
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