La scienza ha molto da dire, ma fa fatica a imparare come dirlo: esempio ne è la gestione comunicativa della pandemia, che ha intaccato la fiducia dei cittadini nella ricerca. Ne parliamo con il presidente di Frascati Scienza.
La Reputazione in Rete di Expo 2015
Reputation Manager, società specializzata nell’analisi e misurazione della reputazione online dei brand, ha diffuso i risultati del monitoraggio sul web relativo all’Esposizione Universale di Milano. Se la notorietà è buona, con 1 milione 300mila tweet nell’ultimo anno e 1 milione 600mila gli utenti che seguono pagine ufficiali e non ufficiali dedicate all’evento su Facebook, non altrettanto può dirsi per […]
Reputation Manager, società specializzata nell’analisi e misurazione della reputazione online dei brand, ha diffuso i risultati del monitoraggio sul web relativo all’Esposizione Universale di Milano.
Se la notorietà è buona, con 1 milione 300mila tweet nell’ultimo anno e 1 milione 600mila gli utenti che seguono pagine ufficiali e non ufficiali dedicate all’evento su Facebook, non altrettanto può dirsi per l’immagine, la reputazione del brand.
Pare proprio abbia ragione Marini ad affermare che il brand di Expo è migliore della sua comunicazione. Infatti dall’analisi emerge come il web sentiment, da gennaio ad oggi, è per il 44% negativo, per il 43% neutro e positivo solamente per il 13%.
Una negatività che non è soltanto d’immagine, legata a ritardi e ai tanti, troppi, episodi di corruzione, ma che si concentra anche su le relative informazioni sul sito ufficiale di Expo che non corrispondono alla realtà, preoccupazioni sulla sicurezza, in termini di mancato collaudo delle strutture realizzate all’ultimo minuto, Il costo del biglietto ritenuto elevato e la scarsa efficienza del servizio di assistenza tramite call center e proprio attraverso i social network sui quali è stato puntato molto a cominciare da @AskExpo, il social info point, il social care che evidentemente non funziona come dovrebbe.
«Non m’importa di come parlino di me, basta che ne parlino» scriveva agli inzi del ‘900 George Micheal Cohan coniando, forse inconsapevolmente, quello che è stato a lungo un’assioma nella pubblicità. Che il principio del purchè se ne parli sia datato di oltre cent’anni si vede.
Il vero valore che un’azienda, un brand, o anche una singola persona, hanno sul Web è la reputazione. Reputazione che, attenzione, non è quel che le persone pensano di un’azienda, personaggio o prodotto, bensì quel che sono disposte a dire pubblicamente, o meglio a dire in Rete.
Come spiega sapientemente Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, “Your brand is what people say about you when you’re not in the room”.
Decine di milioni di euro di investimenti pubblicitari in media classici [oltre 50 sin ora], 6 milioni di euro per “Ideazione, sviluppo e realizzazione del piano di comunicazione” e 1,54 milioni per attività di media relations internazionali che non pare proprio siano stati ben spesi.
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