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La tendenza dei brand contemporanei è diventare (e farci essere) slow
Barbiere e modellista. Due ruoli professionali che sentivo spesso nominare da bambina negli anni Settanta, ma che immaginavo fossero scomparsi dalla ribalta contemporanea, improvvisamente tornano in gioco e risuonano per giorni nella mia mente grazie alle insolite campagne pubblicitarie di due brand italiani. Il primo brand, nato alla metà degli anni Quaranta, mi appare quasi […]
Barbiere e modellista. Due ruoli professionali che sentivo spesso nominare da bambina negli anni Settanta, ma che immaginavo fossero scomparsi dalla ribalta contemporanea, improvvisamente tornano in gioco e risuonano per giorni nella mia mente grazie alle insolite campagne pubblicitarie di due brand italiani.
Il primo brand, nato alla metà degli anni Quaranta, mi appare quasi per caso qualche settimana fa con un messaggio promozionale su un canale tv per giovani (MTV) dove un altrettanto giovane barbiere londinese racconta del suo negozio Huckle the Barber, molto particolare, collocato in una zona molto di moda. Il giovane nel palesare i pregi del prodotto di questo storico brand illustra anche le modalità particolari del suo lavoro e del suo negozio dove si fondono un mix di servizi (dalla ristorazione all’intrattenimento), con una scelta accurata e preziosa di ogni minimo dettaglio che cerca di fondere in modo armonioso passato e presente, tradizione e innovazione.
Il secondo brand è legato alla tradizione imprenditoriale italiana del settore abbigliamento e attira la mia attenzione con una campagna pubblicitaria dai toni provocatori: si invitano le donne a non cambiare il proprio corpo ma i propri vestiti. Il tutto attraverso una figura professionale, la modellista, che in negozio saprà guidare e accompagnare le clienti nella loro trasformazione dell’abito, assecondando le tante e diverse forme che ciascun corpo femminile possiede. Fa da cornice a questo invito un hashtag molto chiaro : #MadeOnMe.
All’apparenza siamo di fronte a due campagne senza alcun punto di contatto: pubblico diverso, per genere e per età; prodotti diversi. Eppure gli elementi in comune ci sono. Entrambi i brand, nel promuovere il proprio specifico prodotto, attraverso due figure professionali storiche, fanno leva su dinamiche valoriali che si stringono a un forte fattore, quello temporale. Il pubblico di entrambi gli spot, infatti, viene invitato a vivere non solo il prodotto ma anche il negozio in un modo diverso, con tempi più lunghi del solito. Il negozio diviene una sorta di hub che crea una bolla temporale, facendo staccare, per un attimo, le persone da consueti ritmi e routine frenetiche. Prendersi del tempo per sé e per il proprio corpo (e quindi anche per la propria mente) dal barbiere oppure all’interno di un negozio di vestiti. Un messaggio che si allinea pienamente a un trend che seguo da qualche tempo, ovvero il fenomeno dello slow brand, che lungi dall’essere una moda temporanea e passeggera sta diventando un vero e proprio mantra, per tanti brand. Complice la crisi del contesto economico, alcuni brand da sempre visti come fornitori di promesse e creatori di immaginari possibili hanno iniziato a prendere coscienza di un passo divenuto ormai necessario: imporre un rallentamento ai loro messaggi o comunque introdurre una diluizione dei tempi di contatto con i propri stakeholder. Le campagne pubblicitarie stanno quindi subendo una metamorfosi, cercando di fornire, per quanto possibile, anche spunti di riflessione. Non solo spot d’impatto ma che fanno riflettere, ad esempio sull’uso delle telefonia, invitando un padre e un figlio a riallacciare i propri rapporti, un po’ logorati, non attraverso rapidi sms o scambi telefonici ma attraverso un dialogo diretto, face-to-face. Gli stessi negozi stanno cambiando pelle diventando sempre più luoghi di sosta, ibridi, accentratori del tempo dei consumatori che vengono invitati alla permanenza sia in ottica sociale sia commerciale. Non solo luoghi belli da ammirare o funzionali al consumo, ma anche spazi dove è possibile imparare qualcosa (anche di nuovo) sul brand, sulla sua storia e sul contesto che ci circonda.
Perfino il web, luogo dell’accelerazione per eccellenza, sta diventando slow, con la crescita di video sempre più lunghi, impensabili fino a qualche tempo fa.
Il tutto fa da corollario a un qualcosa che sentiamo come persone ancor prima che come consumatori: sentiamo l’esigenza di rallentare, il diritto all’indisponibilità, al non essere sempre rintracciati. Non stiamo certo parlando di un inno all’immobilismo, ma di una chiamata a un momento di sosta e di riflessione coraggiosa e responsabile, che non può che giovare anche alle imprese nella definizione delle loro prossime strategie di branding.
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