L’architetto Sandro Polci: “Il PNRR mostrerà che il re è nudo”

Lo smart working e la rivivificazione dei paesi secondo il docente universitario Francesco Maria Spanò, ideatore della proposta di legge sul lavoro agile nei piccoli Comuni, e l’architetto Sandro Polci, esperto di sviluppo locale.

Lo Stato italiano investe sui borghi un miliardo di euro grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma iniziative concrete come la proposta di legge “Per il lavoro agile nei piccoli Comuni” giace dall’ottobre scorso nei cassetti della prima commissione permanente “Affari costituzionali” del Senato, senza essere stata sinora calendarizzata.

Grazie alla Linea A del PNRR si è giocata la “lotteria” dei 20 milioni di euro per far rinascere 21 borghi a rischio abbandono o abbandonati, mentre per la linea B ci sono i progetti locali per la rigenerazione culturale e sociale ed è stato emesso l’avviso per 380 milioni di euro, di cui saranno beneficiari 229 borghi storici.

La legge sullo smart working è formata da tre articoli: è una proposta di legge delega su cui il Governo ha un anno di tempo per elaborare un proprio disegno di legge da far approvare al Parlamento. La proposta ha come obiettivo quello di ripopolare in forma stanziale Comuni o unioni di Comuni sotto ai 5.000 residenti, proponendo una definizione più versatile di lavoro agile, con la garanzia per gli smart worker di avere a disposizione servizi essenziali e incentivi per andare a risiedere nei piccoli centri, che beneficerebbero del recupero di patrimonio edilizio inutilizzato e dell’attivazione di una filiera di servizi per chi abita nel Comune.

I contenuti della proposta di legge (dimenticata) per il lavoro agile nei piccoli Comuni. E le Regioni fanno da sole

Chi “fugge” dalle città avrebbe a disposizione incentivi per stabilirsi in modo definitivo per almeno cinque anni in un comune spopolato, dove la vita scorre più lenta e i ritmi esistenziali sono più a misura d’uomo. L’ideatore della proposta di legge, firmata ad oggi da 35 senatori, è Francesco Maria Spanò, componente del comitato scientifico dell’associazione “I Borghi più belli d’Italia”, dirigente del settore risorse umane della Luiss, originario di Gerace.

Spiega Spanò: “Il disegno di legge ha intenzione di favorire lo smart working di lungo periodo, per attività come finanza, informatica, professioni intellettuali, giornalismo o professioni collegate all’evoluzione digitale e tecnologica. Ci sono 4.500 piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti di cui oltre la metà sono a rischio di scomparire; sono previste agevolazioni fiscali per favorire i trasferimenti e ci sono già 90.000 lavoratori che si sono spostati dalla grande città rivalutando i piccoli centri. Si devono riaprire le case abbandonate, creare i coworking, spingere i Comuni a utilizzare abbazie e castelli, chiese e luoghi abbandonati per fornire ai lavoratori a distanza supporto logistico e urbanistico. Questa proposta di legge ha sollecitato molto la stampa, il problema è che la politica non ha il coraggio di affrontare in modo così forte un tema su cui non si può tornare indietro”. Ci sono alcune Regioni che nel vuoto legislativo nazionale si stanno muovendo con leggi sul lavoro agile per ripopolare i piccoli borghi, annuncia Spanò, che ha collaborato a scrivere anche la normativa di settore per la regione Calabria: “A questo suppliscono iniziative regionali come quella del Molise, del Piemonte, del Friuli. La Calabria ha presentato una proposta per un progetto di legge molto avanzato, con lo spirito di non organizzare il lavoro agile in senso assoluto, ma di favorirlo se va a ripopolare i piccoli borghi. Questa è una legge speciale, una delle tante risposte per far tornare a rivivere i piccoli centri”.

“Ci sono in merito delle resistenze, la paura di affrontare un argomento che potrebbe diventare discriminatorio, che produce non solo effetti sulla popolazione, ma effetti sociali. Nell’assenza della legge i lavoratori sono stati lasciati soli a negoziare i propri diritti di lavoro agile. Quello che prevede la legge è lo smart working lungo: se il lavoratore vuole trasferirsi deve stare nel posto per tempi lunghi. Si vogliono ripopolare i borghi con residenzialità stabile, non favorire il turismo da lavoro, i nomadi digitali senza luogo e senza tempo. Il disegno di legge ha l’ambizione di ripopolare in modo permanente, dando certezza e una casa ai lavoratori smart. A livello nazionale il disegno di legge è fermo; le Regioni invece sono interessate perché mantengono cittadini sul proprio territorio, e questi pagano le tasse”.

Sandro Polci, architetto: “I fondi del PNRR ai piccoli Comuni una lotteria, progetti fragili”

L’architetto Sandro Polci, esperto di sviluppo locale, membro del comitato scientifico di Legambiente e autore di numerose pubblicazioni e studi sui piccoli Comuni definisce “una vera e propria lotteria dei venti milioni” la Linea A del PNRR.

“Si vuole da un lato trovare una realtà esemplificativa che traccia la strada a tutte le altre, ma noi sappiamo quali sono, le strade. Come dicono tanti sindaci, manca quel semplice deterrente che è il buon senso, che lega le scelte visionarie poi argomentate; poi un ufficio tecnico che le valuta; e poi le risorse per attivarle. Questo PNRR ci porterà una situazione di crisi che svelerà l’altarino: il re è nudo, e si potrà dire una volta messi a disposizione molti soldi che non sapremo utilizzare al meglio”.

“Alcuni segnali che ricevo nel merito dimostrano appunto la fragilità di tante ipotesi, che sembrano vecchi progetti nel cassetto che sono stati lucidati. Non possiamo permetterci di sprecare risorse, perché risorse sprecate significa lasciare un’eredità ancora più gravosa su chi arriva dopo di noi, con duemilatrecento miliardi di euro di debito pubblico, che in termini di interessi ricadono in misura pari agli investimenti nei settori sanitari prioritari. Occorre saper ricucire insieme questo, sobrietà nelle spese e buon senso nell’applicazione e dunque retaggio culturale di quello che in fondo erano i nostri paesi fino a cinquanta anni fa, quando il meglio sembrava il peggio e oggi il peggio ci sembra quasi il meglio. È un paradosso su cui lavorare”.

L’architetto evidenzia come si debba ripartire dalla valorizzazione dell’esistente per riqualificare i borghi: “Purtroppo siamo fermi alle parole perché è un momento nel quale, nonostante gli sforzi – encomiabili e addirittura eroici, in certi casi – dei sindaci, dei presidenti di unioni montane, delle province, delle Regioni, è difficile rianimare chi certe volte, diciamolo, non vuole essere rianimato. L’esperienza oggettiva del vivere nel paese, anche se viene con l’imprinting e il brand della rassegnazione e del poco, ha in realtà una qualità comparata di vita elevatissima, e questo attraverso altre forme di analisi e di studi. Un rapporto sulle periferie urbane è quantificato in maniera parametrica, che significa che non si prende un dato statistico sciocco e per certi versi banale (come il PIL comunale, come la graduatoria delle città più ricche e più povere)”.

“Le grandi città, per avere un livello dignitoso di qualità della convivenza, spendono più dell’ottanta per cento di tutto quello che globalmente viene prodotto: basta col consumo di territorio, non solo perché non va bene per l’ambiente, ma perché se togliamo questa dimensione ne abbiamo un’altra – che è quella della gestione dei servizi collegati, delle infrastrutture viarie, dei servizi pubblici dei collegamenti – che deve essere non solo garantita e realizzata, ma anche mantenuta”.

La chiave è la riqualificazione: degli edifici e dell’anzianità

Un punto di partenza è la riqualificazione del patrimonio abitativo, spiega Polci: “Occorre guardare con occhi nuovi le stesse cose, non edificando ex novo ma riedificando di senso e di contenuto il patrimonio esistente. In Italia il piano Fanfani voleva un vano per ogni persona, per superare i disagi della vita rurale e del nucleo familiare in un’unica stanza tipico di quel mondo. Oggi abbiamo 2,5 vani per ogni persona. È il caso di vedere con occhi nuovi e capire come tutto questo possa esistere”.

“I paesi hanno una media di una casa vuota ogni due occupate, a fronte di fruitori che sono tre anziani per ogni bambino e un anziano ogni tre persone. In questo mondo che procede lentamente dobbiamo avere una doppia spinta, una vitalistica, capendo che chi viene definito anziano oggi non lo è; usando i numeri relativi dobbiamo togliere in media vent’anni a ognuno, se non ci sono problemi di salute gravi. Una persona oggi a settant’anni in realtà ne ha cinquanta, rispetto al contadino di cinquanta, trent’anni fa che aveva sulle spalle gravami e sofferenze molteplici. In tutto questo occorre avere incursioni di vitalità, poter ricreare nuove sinapsi, nuovi collegamenti, nuove logiche di relazione ogni volta negli stessi luoghi.”

Vivere nei paesi è un privilegio che va argomentato ogni volta, altrimenti ci saranno ulteriori soglie di spopolamento e anzianità. Come per l’alveo fluviale, esiste una dimensione minima per cui si può parlare di vita, sotto la quale tutto il resto significa soltanto abbandono. Non è un lusso che ci possiamo permettere. Non è un’eredità che vogliamo acquisire”.

Leggi gli altri articoli a tema Smart working.

Leggi il mensile 111, “Non chiamateli borghi“, e il reportage “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.


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