Lo strano caso di Regioni come il Veneto, che non hanno rinnovato i contratti ai navigator e ora cercano di riassumerli tramite agenzie interinali: “Carenze di organico”. Nel frattempo, le Agenzie per il Lavoro mettono gli occhi sui percettori di RdC. Un’altra occasione di guadagno per il privato a spese del pubblico?
Lasciateli lavorare. I dipendenti GKN portano un ddl anti-delocalizzazioni a Montecitorio
La proposta di legge contro le delocalizzazioni approda alla Camera: ecco che cosa prevede. I primi firmatari Yana Chiara Ehm e Matteo Mantero: “Giornata storica, si può sanare un vuoto legislativo che la politica non ha mai voluto affrontare.”
“Quello che facciamo oggi presentando la proposta di legge sulle delocalizzazioni è togliere alibi e scuse, dopo due mesi e mezzo di balletti sui giornali, riguardo la famosa legge anti-delocalizzazioni, che credo non ci sia mai stata e non si sa dove è finita.”
Lo ha detto Dario Salvetti, il portavoce dei dipendenti GKN, l’azienda di Campi Bisenzio (Firenze) che il 9 luglio scorso ha avviato la procedura di licenziamento collettivo di 422 lavoratori con una mail. Un film già visto, quello di aziende acquisite da un fondo straniero la cui produzione viene delocalizzata all’estero.
“Noi non dovremmo essere qua – ha incalzato Salvetti – perché la nostra principale aspirazione è di stare in fabbrica, alle manutenzioni, al montaggio. Noi stavamo bene lì, avevamo una storia, una famiglia, un futuro, e li rivogliamo indietro, non soltanto per noi ma per quello che rappresenta per i lavoratori di questo Paese”.
I deputati Yana Chiara Ehm e Matteo Mantero, primi firmatari della proposta di legge anti-delocalizzazioni: “Così i lavoratori riempiono un vuoto legislativo”
A Montecitorio si è svolta giovedì 7 ottobre la conferenza stampa per la presentazione della proposta di legge anti-delocalizzazioni, scritta dai lavoratori con il supporto di un gruppo di esperti giuristi, della quale i primi firmatari sono la deputata Yana Chiara Ehm del Gruppo misto e il senatore Matteo Mantero di Potere al popolo.
“Una giornata storica”, l’ha definita la deputata Yana Chiara Ehm del Gruppo misto, “che vede la presentazione di questa proposta di legge sulla delocalizzazione, di cui sono prima firmataria insieme al collega senatore Matteo Mantero, scritta non sulle loro teste, ma con le loro teste: i lavoratori della GKN, con l’apporto di giuristi esperti in materia. Un caso emblematico che ha portato alla luce il grave vuoto legislativo creato intorno alle delocalizzazioni. Ci sono battaglie che vanno oltre l’appartenenza e il colore politico, a tutela della dignità dei lavoratori. Lancio un appello trasversale a tutti i colleghi, invitandoli a firmare questa proposta di legge”.
Le ha fatto eco Matteo Mantero, senatore di Potere al Popolo: “Credo che quello di GKN non possa che diventare un caso scuola per due motivi: il primo è per come è nata la crisi, in un’azienda sana che ha commesse in corso e ha ricevuto contributi pubblici, decidendo di avviare un licenziamento collettivo la cui legge, vecchia di trent’anni, non è più adeguata ai tempi. Il tema delle delocalizzazioni è un argomento tabù per la politica, che non ha mai voluto affrontarlo, perché purtroppo spessissimo fa gli interessi degli industriali. La scusa per fuggire su questo tema è che si disincentiverebbero gli investimenti; io credo invece che fare norme chiare attrarrebbe investimenti sani, che sono quelli che vogliamo”.
“L’altro motivo sono le modalità con cui è nata questa proposta di legge: è nata sulle esigenze dei lavoratori, che invece di salvaguardare il loro posto di lavoro hanno lavorato con dei giuristi per creare una proposta che tutelerebbe, se approvata, tutti i lavoratori che lavorano in aziende sane e produttive del nostro Paese, e quindi di fatto il futuro del nostro Paese. Dobbiamo ringraziarli.”
La proposta di legge sta per essere depositata sia al Senato che alla Camera. Fino a oggi è stata firmata da 26 parlamentari.
Che cosa prevede la proposta di legge anti-delocalizzazioni
La proposta di legge si propone di frenare gli effetti delle delocalizzazioni produttive, assicurando il mantenimento dei livelli occupazionali e dei siti produttivi nel sistema economico italiano.
Il fulcro della proposta è l’intervento attivo dello Stato nella crisi aziendale, con la possibilità di inserire Cassa depositi e prestiti nella proprietà aziendale, come clausola di salvaguardia. La legge si rivolge alle imprese che impiegano oltre cento dipendenti, di qualsiasi tipo essi siano, persino con contratto di somministrazione, che decidono per una procedura di riduzione del personale. Secondo i promotori non si violano le norme europee e l’articolo 41 della Costituzione sulla libertà di iniziativa economica. Si tenta di impedire, per legge, la chiusura totale o anche solo di una singola unità produttiva di un’impresa. La proposta considera anche le procedure di licenziamento già attive.
L’impresa che vuole licenziare deve inviare una comunicazione al MiSE, Ministero del lavoro, ANPAL, Regione di riferimento, RSU e RSA aziendali, oppure, dove queste non ci sono, alle organizzazioni sindacali di categoria. Una volta ricevuta la comunicazione, i sindacati possono chiedere ai vertici aziendali tutta la documentazione necessaria a controllare lo stato patrimoniale aziendale e valutare la situazione insieme ai lavoratori.
A questo punto l’azienda ha novanta giorni per presentare un piano di strumenti alternativi alla chiusura (come ad esempio una riconversione) alla struttura di crisi d’impresa, ANPAL e Regione interessata. Si apre una fase interlocutoria, in cui il piano viene valutato e può essere modificato: semaforo verde se si garantiscono livelli occupazionali e prosecuzione della produzione tramite cessione dell’azienda.
In caso di vendita si controlla la solidità dell’impresa acquirente, che deve presentare un piano di lungo periodo in cui fornisce garanzie sul mantenimento della produzione, del numero di dipendenti e dei livelli salariali. Quando queste condizioni – in un allineamento perfetto quasi utopistico – si verificano, l’azienda può andarsene.
Il piano, anche se autorizzato dalla struttura di crisi, va approvato a maggioranza dai dipendenti. Sono previsti, come sanzioni per chi non lo rispetta, l’impossibilità di avere contributi pubblici e l’obbligo di restituire quanto ricevuto sino a quel momento.
Per il futuro dell’impresa ha diritto di prelazione all’acquisizione la cooperativa formata dai lavoratori, a un prezzo stabilito al netto dei contributi dello Stato ricevuti dall’impresa stessa.
Dario Salvetti, portavoce dipendenti GKN: “Melrose ci ha acquisiti per chiuderci e questa legge la spaventa”
Una battaglia che i dipendenti GKN fanno anche per tutti gli altri, spiega il portavoce: “Melrose ci ha acquisiti per chiuderci, per cui quando si dice che con questa legge poniamo dei vincoli che spaventano le aziende sì, è vero; ma si spaventano le aziende come Melrose. Se questa legge ci fosse stata probabilmente Melrose non sarebbe mai arrivata”.
Melrose è il fondo londinese che ha acquisito l’azienda toscana di componenti automotive nel 2018, sborsando 11 miliardi di euro per tutto il gruppo. Il fatturato della multinazionale GKN nel 2020 è stato di 3,8 miliardi di sterline, con un utile di 82 milioni.
“Io adesso sarei in fabbrica a produrre e non saremmo qua”, continua Salvetti. “I vincoli ci sono per tutti, la libertà di impresa ha dei vincoli: sta a noi decidere quali sono questi vincoli, dove subentrano l’utilità sociale, la difesa del territorio e la difesa della dignità della persona. Questa è in realtà una legge morbida, eppure nella sua morbidezza nessuno la vuole spacciare per rivoluzionaria. Non siamo noi che con quattro facciate stiamo portando la rivoluzione, ma sono loro che ci dicono che queste quattro facciate sarebbero una rivoluzione. Ci dicono che le aziende vanno incentivate. Lo abbiamo già detto una volta: ci stanno dicendo che alle aziende che passano col rosso bisogna dare dei soldi per convincerle a passare col rosso successivo”.
“Facciamo notare che Melrose sostiene di non aver preso fondi pubblici. Lo sostengono loro, noi questo non lo crediamo”, ha aggiunto Dario Salvetti, “ma se così fosse ancora peggio, perché potevano prenderli e hanno dimostrato che non gli servono, perché la prima grossa leva pubblica che hanno questi fondi finanziari è l’enorme liquidità che viene data a livello internazionale. Hanno dei giochi di borsa enormemente grandi, anche rispetto a ciò che lo Stato gli può dare con lo sgravio fiscale”.
Mal comune, poco gaudio: le vertenze sulle delocalizzazioni aperte in varie zone d’Italia
Vertenze “calde” ancora aperte sono quella pluriennale della Whirlpool (il 15 ottobre scatterà il licenziamento collettivo per 340 dipendenti), quella della ABB che delocalizza in Bulgaria lasciando a casa i dipendenti dello stabilimento di Marostica. Anche l’azienda marchigiana leader nell’illuminotecnica che ha portato la propria luce ai monumenti più famosi del mondo, iGuzzini Illuminazione, acquisita dal gruppo svedese Fagerhult, ha avviato il licenziamento collettivo per 103 dipendenti.
Andando indietro di qualche anno, la Teuco, azienda di produzione di arredo bagno sempre di proprietà di un altro ramo della famiglia Guzzini, è stata venduta nel giugno 2015 per l’80% al fondo Certina Holding Ag e poi definitivamente chiusa. Gli ex dipendenti hanno aperto una vertenza che dura da diversi anni per vedersi riconoscere tutte le spettanze.
Lo stesso fondo di investimento tedesco, Certina, dovrebbe entrare in possesso della proprietà della storica azienda comasca del tessile Canepa, che conta 300 dipendenti, come si legge sui media locali.
È tuttora aperta, sempre nelle Marche, la vertenza che riguarda Elica, dell’ultimo dei capitani d’industria del capitalismo famigliare, l’ex senatore Francesco Casoli. Erano stati annunciati 409 esuberi su 560 dipendenti e la chiusura dello stabilimento dove si producono cappe da cucina di alta gamma.
Gli sviluppi della vertenza GKN e il caso SANAC
“Non c’è una ragione solida per chiudere GKN”, ha concluso Salvetti. “Lo Stato resta a guardare, non ha gli strumenti per distinguere la libertà di impresa dalla libertà di distruggere un’impresa. Anche noi potremmo finire nel tritacarne di possibili compratori. Il vero tema è cosa lascia il venditore: se Melrose vuole vendere le macerie, la strada è in salita per chiunque subentri. Non vogliamo né interventi di Invitalia né un finto compratore; le macerie non ci devono essere. Lo Stato ha possibilità di bloccare la distruzione di GKN, intervenendo con un decreto d’urgenza contro le delocalizzazioni. Questa proposta di legge va accompagnata dalla mobilitazione, altrimenti sarà lasciata cadere”.
Salvetti ha ricordato la situazione critica di altre aziende toscane, con il fresco caso della SANAC di Massa Carrara, dove ArcelorMittal, colosso francese dell’acciaio, dopo aver presentato anche una fidejussione non si è presentata dal notaio per l’acquisto: si parla di possibile chiusura di due dei quattro stabilimenti. Ora tutto è fermo grazie alla pronuncia del tribunale di Firenze, che ha riconosciuto l’errore dell’azienda nel formulare il licenziamento collettivo; ma basta ripetere la procedura nel modo corretto e si potrà licenziare, a meno che non si decida di attivare ammortizzatori sociali o altri percorsi per scongiurare gli esuberi. Il tavolo di confronto con il MiSE si è appena aperto, ma non si sa ancora che cosa accadrà.
Photo credits: sicobas.org
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