Le “terribili” signore del bridge: “A 96 anni mi resta solo il cervello”

“Alla mia età l’unica cosa che riesco vedere bene sono le carte da gioco, quelle non le confondo. Anzi, l’unico dispiacere è di non avere un compagno fisso. Per questo gioco il venerdì con un partner jolly, che cambia ogni volta”. Gabriella Faldini Giurioli ha 96 anni e gioca a bridge dal 1946, l’anno del voto alle donne e del referendum per la Repubblica, del […]

“Alla mia età l’unica cosa che riesco vedere bene sono le carte da gioco, quelle non le confondo. Anzi, l’unico dispiacere è di non avere un compagno fisso. Per questo gioco il venerdì con un partner jolly, che cambia ogni volta”. Gabriella Faldini Giurioli ha 96 anni e gioca a bridge dal 1946, l’anno del voto alle donne e del referendum per la Repubblica, del lancio del bikini e della Vespa.

Durante la guerra, a Roma, dove abitava, conobbe Giorgio Faldini, un anconetano di origine ebraica rifugiatosi nel ghetto romano dopo le Leggi razziali di Mussolini. L’incontro con l’uomo che sarebbe divenuto il suo compagno è coinciso con la scoperta del mondo dei “semi”, fioricuoripicche e quadri: “Arrivata ad Ancona per seguire mio marito ho iniziato a giocare con lui e da 71 anni non ho mai smesso”.

La più longeva giocatrice “dopata”

I frutti di questi “semi” sono passione e guai con il Coni. Gabriella non sa che – statistiche alla mano – potrebbe essere la più longeva giocatrice dello sport con più dopati. Non sa, lei come gran parte dei giocatori, che il medicinale per curare la maculopatia che l’affligge potrebbe rientrare tra le sostanze considerate dopanti.

“Ve le immaginate voi queste donne intente ai tavoli a giocare a bridge per le finali dei campionati italiani a Salsomaggiore, accerchiate da ragazzi in divisa che gli dicono: “Signore dobbiamo accompagnarvi a fare la pipì”? Sorride Francesco Ferlazzo Natoli, presidente della Federazione Italiana Gioco Bridge.

Al bridge l’Oscar dello sport più dopato: “Altro che body builder”

Sbollita la rabbia dopo l’articolo del Corriere della Sera, che assegnava al bridge l’Oscar di sport più dopato, ha scelto la più utile strada del sorriso: “Una corbelleria inaccettabile. Qui si gioca col cervello, e se hanno inventato qualcosa per diventare più intelligenti ce lo dicano che andiamo a prendercelo”. Alla base la classifica 2016 degli atleti più dopati secondo la Wada (Agenzia mondiale antidoping) che ha sentenziato sugli “insospettabili” bridgisti: 22 positivi ogni 100 testati contro i 19 del bodybuilding, i 5 del football americano, i 2 della lotta libera, l’uno virgola qualcosa del ciclismo.

“Nel caso di Salsomaggiore, come nel 99,9 % dei casi, più che con le sanzioni finisce con una raccomandazione del Coni”, spiega Ferlazzo. Quale? “Comunicare prima delle competizioni i medicinali che si assumono”. Prosegue: “Qui l’età media è molto alta, molti bridgisti assumono diuretici, farmaci per malattie cardiovascolari. Io stesso soffro di glaucoma e uso un collirio a base di cortisone con il bollino del Doping sulla confezione. Sono tutte sostanze nell’elenco dei dopanti”. Quindi? “Bisognerà aggiornare l’elenco”.

Nel frattempo prosegue la “seccatura di riempire moduli, certificati” per farsi autorizzare dal Coni l’uso delle pastiglie per le “pericolose signore del bridge”.

Occhiolini, tossi, piedini: le mosse “sospette”

Sostiene Ferlazzo che il “doping, quello vero” è la violazione delle regole: sono gli accordi illeciti, cioè occhiolini, tossi sospette, pedate sotto il tavolo, mani che si librano in aria, “cose sofisticate”, sorride ancora. E aggiunge: “La natura è debole”. Così alcuni giocatori (video) sono stati accusati di fare i coreografi improvvisati per comunicare le proprie carte al compagno. Risultato: in ogni tavolo da gioco, nelle gare importanti, “c’è un sipario che permette di vedere l’avversario ma non il compagno”.

Nel bridge l’unica comunicazione ammessa – secondo le regole – è la “dichiarazione”, ovvero indovinare quante “prese” si faranno nella seconda fase, quella del gioco della carta. Così lo spazio per il bluff di turno diventa controproducente: ci sarà un punteggio positivo soltanto se le prese (la giocata di una carta di ogni giocatore) saranno in numero uguale o superiore alla dichiarazione effettuata. In caso contrario il punteggio andrà agli avversari. È, nelle 52 carte, un’operazione serietà: dico quello che posso fare valutando i “semi”, e se i numeri mi daranno conferma o andrà meglio avrò vinto, altrimenti sarà sconfitta.

I campioni italiani con la maglia di Alberto di Monaco

Per il bridge due sfide tra tante: l’ammissione alle Olimpiadi, con tutti gli altri sport, e l’operazione ricambio dei giocatori. In Italia, dati Federbridge, 200 mila bridgisti, 22 mila impegnati nelle competizioni. Per i talenti una vera e propria caccia, come Ronaldo o Messi delle carte.

L’ultimo, clamoroso, caso, lo scippo alla nazionale azzurra di bridge: la coppia di campioni Alfredo VersaceLorenzo Lauria, in 25 anni un bottino di premi senza precedenti, ora passati sotto la bandiera monegasca con la nazionale del Principato di Monaco: “Da padre ho delle responsabilità verso i miei tre figli”, le parole di Versace. A dire che se l’Italia non paga e non sostiene i suoi campioni si dovrà pur campare con le carte.

Per Versace, Lauria e gli altri campioni italiani richieste soprattutto americane, come compagni di gioco per imprenditori e banchieri, a partire dai bridgisti Bill Gates e Warren Buffett, gli uomini più ricchi del pianeta. E fa sorridere pensare che nella patria di questo sport oggi la vittoria si giochi su “trump no trump”, con la minuscola. È la traduzione inglese di “semi” o del francese “atout” per dire cuori o fiori dominante, quindi “trump”, oppure no, “no trump”.

Il bridge italiano cresciuto a farmaci e caffè

In Italia il bridge, negli anni delle vittorie silenziose, si è nutrito di farmaci e caffè. I due più grandi sponsor infatti sono stati Francesco Angelini, presidente dell’omonima farmaceutica e campione del mondo nel ‘98, e Maria Teresa Rey, al secolo Lavazza, moglie di Emilio, scomparso patron del colosso del caffè. Per quest’ultima il record di allenare, tra le prime donne al mondo, una nazionale di bridge, il “blue team” italico. Ma oggi la società sportiva Angelini ha cessato l’attività e la Lavazza fatica a sfornare campioni.

Resta così un fenomeno che per la gran parte muove “premi di qualche centinaia di euro nelle competizioni, a esagerare”, parola di Federbridge. Con aggiunta: “Non abbiamo mica le cifre del burraco?”.

Una pratica da ringiovanire

In uno sport, l’unico riconosciuto con le carte, in cui l’età media dei praticanti coincide con l’esenzione dal ticket per anzianità, l’obiettivo è farne materia di studio. “All’estero lo insegnano nelle scuole, in Italia solo sperimentazioni”.

Così, riprendendo le parole del bridgista Bill Gates, “il bridge richiede la stessa acutezza mentale necessaria per fare cose eccellenti”, Gabriella Faldini sospira: “Ho giocato con grandi campioni. Ci vuole cervello, mi resta solo quello”. E anche la vista, al momento giusto.

 

Foto: “Bg Daily News”

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