Libri scolastici: è giusto che decida l’insegnante?

Che sia cartaceo o digitale, il libro di testo resta lo strumento principe nella didattica scolastica, con la duplice funzione di guidare il docente nella migliore modalità di insegnamento e accompagnare lo studente nel percorso di apprendimento e di conoscenza del mondo. Come sceglierlo? L’affidabilità della casa editrice; la professionalità degli autori; la qualità del […]

Che sia cartaceo o digitale, il libro di testo resta lo strumento principe nella didattica scolastica, con la duplice funzione di guidare il docente nella migliore modalità di insegnamento e accompagnare lo studente nel percorso di apprendimento e di conoscenza del mondo. Come sceglierlo?

L’affidabilità della casa editrice; la professionalità degli autori; la qualità del lavoro; la precisione delle informazioni e la bellezza di disegni e immagini, in grado di attirare l’attenzione dei bambini più piccoli e avvicinarli alla lettura: questi sono solo alcuni dei criteri che mi elenca una maestra di altri tempi, lontani. Ben diversa la modalità suggerita da una start-up nata un paio di anni fa: Scelgo Libro, un aggregatore di libri di testo divisi per classe e materia, aiuta gli insegnanti a conoscere e valutare le novità editoriali grazie soprattutto alle recensioni e alle opinioni dei colleghi. E poiché di cultura si ha sempre fame (o almeno così ci piace pensare), è stato definito un “TripAdvisor dei libri scolastici”. All’interno del sistema scolastico, in cui tutto è deciso, definito e indicato a livello ministeriale, c’è l’anomala ma sana discrezionalità lasciata ai docenti di scegliere i libri di testo, e quindi di scegliere come insegnare.

In questo ambito di discrezionalità trova spazio ad esempio Bulloni, un libro pensato per i giovani lettori tra gli 8 e gli 11 anni, Round Robin Editrice. Gli autori, lo scrittore Giacomo Pucci e l’illustratore Valerio Chiola, trattano il tema del bullismo rovesciandone lo stereotipo, nella convinzione che ai bambini si possa e si debba parlare della realtà senza scivolare nei luoghi comuni. E così i due, zaino in spalla, girano per le scuole romane e propongono il loro progetto: i diritti dei primi due volumi della serie sono stati acquistati alla casa editrice spagnola El Cep i la Nansa Edicions e sono pubblicati in catalano e castigliano, distribuiti in Spagna e Sudamerica.

 

Che cosa fa un promotore editoriale: intervista ad Alessandro Carta

A parlarmene è Alessandro Carta, già presidente e ora consigliere di ANARPE, l’Associazione nazionale di riferimento per agenti, rappresentanti e promotori editoriali, nata nel 1951 per tutelarne la professionalità e rappresentare la categoria, all’interno della filiera e con gli organismi esterni. Scopo principale dell’Associazione, alla quale aderiscono 1.200 operatori editoriali scolastici, è “tutelare (…) la promozione del libro e l’importanza della lettura come patrimonio culturale da preservare e difendere”. Insomma, i rappresentanti editoriali come novelli cavalieri a difesa della lettura e della cultura, pronti a tirar fuori l’Indice in caso di minaccia.

Tra i tanti mestieri di cui si compone il variegato mondo dell’editoria, scolastica nel nostro caso, quello dei promotori è perlopiù sconosciuto, ma in grado di incidere in maniera positiva o negativa sulla formazione dei bambini di ieri e di oggi, classe dirigenziale del presente e del futuro.

 

Alessandro Carta, consigliere di Anarpe

 

Parliamo della discrezionalità dei docenti nella scelta del libro di testo. È positiva?

Assolutamente sì: la scelta del libro rappresenta un momento di libertà. Il docente ha uno spazio di intervento più adeguato alla sua personalità e noi abbiamo la possibilità di lavorare anche sulla base delle competenze del docente. Il livello della didattica in Italia è comunque molto buono: abbiamo molti strumenti di qualità anche grazie agli editori, che offrono tante opportunità didattiche e nuove modalità di insegnamento e apprendimento, in considerazione del nuovo mondo in cui vivono i ragazzi.

Durante The Publishing Fair si è parlato molto del ruolo degli insegnanti e si è detto, non tanto tra le righe, che spesso dedicano poco tempo e poca attenzione alla scelta del libro. Lei che riscontri ha in merito?

Dipende dalle persone. Opero nel settore da 36 anni, ho sempre fatto il mestiere del promotore editoriale nella scuola. Il rapporto che abbiamo con i docenti è abbastanza continuativo: non si esaurisce in un singolo momento, ma siamo in contatto quasi tutto l’anno. Al di là di quando esce una novità editoriale, noi conosciamo le esigenze didattiche, l’ambiente scolastico, la tipologia degli studenti, e insieme ai docenti siamo in grado di fare delle valutazioni sui bisogni e sulle esigenze didattiche.

Siete un po’ nel mezzo tra la scuola e la casa editrice.

Sì, siamo l’anello di collegamento tra corpo docente ed editore, e per questo siamo anche in grado di fornire degli elementi alla casa editrice su cosa funziona e cosa non funziona.

La didattica è migliorata con l’introduzione del libro digitale?

Oggi non c’è più solo il libro cartaceo, c’è anche quello digitale, ci sono le piattaforme, e così via. Si tratta di un vero e proprio progetto editoriale, più complesso e più vasto. Negli ultimi anni, soprattutto negli ultimi dieci, si è sviluppata un’attività collaterale di formazione: con il supporto delle case editrici e degli autori si fanno attività di formazione nei confronti degli inseganti, utili anche per via dei tanti cambiamenti didattici. Cerchiamo di fornire un maggiore supporto alla scuola.

Ma quindi questo rapporto con gli insegnanti com’è?

L’estensione del rapporto è articolata. Non si limita solo all’aspetto della presentazione del prodotto in quel momento specifico, ma va considerato nell’insieme delle componenti per tutta la durata dell’anno scolastico. È un rapporto bilaterale, di scambio, tra l’editore e l’insegnante, tramite la figura del rappresentante. In questo modo è anche possibile cogliere una tendenza nuova del corpo docente e segnalarla alla casa editrice: è anche così che nascono nuovi prodotti.

Un esempio?

Un editore che ha una produzione storica di materiali vari (video, saggistica) può metterli in una piattaforma a disposizione del docente e dell’alunno: si possono fare cose che prima non erano pensabili e senza costi aggiuntivi per la scuola e per le famiglie. È un’evoluzione molto positiva. Mi verrebbe da dire che oggi c’è quasi fin troppo! Lo studente può approfondire la conoscenza a costo zero e l’insegnante può avere sempre nuovi stimoli.

Quanto pesa la formazione oggi?
Tutto ciò richiede formazione, continuamente, ad esempio per le modalità su come somministrare i contenuti. Noi la facciamo, ma dovrebbe essere istituzionalizzata un po’ di più: lo Stato la fa, ma solo parzialmente. La situazione è un po’ migliorata, con i 500 euro a disposizione del docente, ma comunque serve altra formazione: andrebbe implementata, canalizzata con più efficacia, quasi messa d’obbligo.

Il docente ha voglia di formarsi?

Il docente ha voglia se si offre formazione di qualità. Se ne trae arricchimento e miglioramento lo fa volentieri, altrimenti mancano gli stimoli. I docenti italiani mediamente sono preparati e bisogna offrire loro del valore, della qualità. Il trattamento economico e il peso sociale sono fattori di motivazione e per l’insegnante non sono positivi. Il peso sociale aumenta se trasmetti qualità; la qualità la raggiungi anche continuando a formarti ed evolverti. Ma è un discorso valido un po’ per tutte le professioni.

È possibile descrivere una giornata tipo di un rappresentante editoriale?

Diciamo che iniziamo al mattino prestissimo: dalle 7.30 siamo già a scuola e dialoghiamo con i primi docenti che arrivano presentando i nostri progetti. Andiamo avanti tra i buchi e i cambi d’ora, sempre nella sala docente, per presentare i prodotti. Lasciamo dei campioni (che possono essere saggi, demo digitali, accessi online). Il pomeriggio poi, normalmente, si raccolgono le idee del lavoro svolto e da svolgere e prepariamo i materiali per il giorno dopo. Altre volte lo usiamo per fare formazione. Mediamente con due scuole al giorno la giornata si conclude.

E il profilo di un insegnante tipo, invece?

Qua possiamo farlo per fasce. Il docente della primaria è tendenzialmente molto motivato, ha a che fare con i bambini che sono molto aperti, sensibili, sollecitabili. La fase più critica è la secondaria di primo grado: lo studente, con l’adolescenza, è in una fascia di età più complessa e si presentano più problematiche. Quindi i ragazzi sono più difficili e gli insegnanti più demotivati, demoralizzati. Alle superiori si torna a un modello di attenzione abbastanza alto e i docenti sono nuovamente abbastanza motivati, salvo alcuni ambiti scolastici, ad esempio gli istituti professionali, dove si registra più difficoltà a seguire.

Che cosa serve secondo lei per migliorare il settore?

Secondo me la cosa importante è che il legislatore non cambi ancora le regole. In questi ultimi anni siamo passati dal sonno totale a un risveglio problematico, con cambi eccessivi. Rimaniamo un po’ tutti destabilizzati da queste continue riforme. L’approccio istituzionale è che ogni ministro vuole lasciare un segno, mentre ci vorrebbe più continuità per la scuola, una visione di almeno dieci anni. Anche questo demotiva.

 

 

Foto di copertina by Element5 Digital on Unsplash

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