Una delle questioni più dibattute in ambito manageriale ed imprenditoriale è capire cosa influenza maggiormente le prestazioni ed i risultati di una azienda; per anni si è pensato che il ” prodotto” fosse il cuore di ogni azienda, poi sono arrivati i “servizi” e quindi si è pensato che la giusta combinazione di “prodotti e […]
L’Industry 4.0 senza persone è un meccanismo perfetto con le lancette al contrario
Parlare di Industria 4.0 senza mettere i piedi nel “gemba”, come dicono i signori della lean, non avrebbe dato alcun valore aggiunto ad un numero interamente dedicato a questo tema. Il gemba ovvero la fonte, il posto dove succedono le cose, in questo caso non poteva che essere Toyota, l’azienda che prima fra tutte non solo ha teorizzato e […]
Parlare di Industria 4.0 senza mettere i piedi nel “gemba”, come dicono i signori della lean, non avrebbe dato alcun valore aggiunto ad un numero interamente dedicato a questo tema. Il gemba ovvero la fonte, il posto dove succedono le cose, in questo caso non poteva che essere Toyota, l’azienda che prima fra tutte non solo ha teorizzato e messo in pratica un sistema che è una vera e propria filosofia collaborativa adottata oggi in migliaia di aziende in tutto il mondo – il pensiero snello – ma probabilmente è oggi l’unico interlocutore con cui concretamente si può parlare di automazione dei processi poiché la trasformazione digitale sembra essere parte integrante dei processi di Toyota da oltre 30 anni.
Salito in macchina, faccio il numero di Maurizio Mazzieri, Deputy Managing Director di Toyota Material Handling Italia, profondo conoscitore di processi industriali che condivide con me almeno un paio di caratteristiche: va dritto al punto senza troppi sconti ed è in macchina anche lui.
Maurizio, riesci a dirmi qualcosa di concreto su questo termine Industria 4.0?
Industria 4.0 è una buzzword inventata da Siemens che ha teorizzato questo sistema. Termine ripreso dalla Merkel su cui la Germania ha puntato e punta molto e da cui l’Italia ha preso a sua volta ispirazione al punto che il Governo ha stanziato una cifra molto importante a sostegno di questo cambiamento. Mi viene purtroppo da dire, avendo letto il piano Calenda, che è evidente che questi incentivi stanziati vadano a supporto di investimenti che in parte non mi sembrano così innovativi ma anzi sono dei passaggi normali che ogni azienda che professa un cambiamento è tenuta a fare.
Chi saranno dunque i beneficiari di questi incentivi?
Questa è la domanda chiave. Ma soprattutto sulla base di cosa si misurerà il livello di innovazione di un’impresa? Da quanti robot impianta fra le linee di produzione? Dove sono i riferimenti per capire se un’industria è diventata 4.0? Mi sembra che più che una prospettiva di innovazione stiamo importando degli slogan ottimi per i dibattiti nei convegni: l’industry 4.0, la fabbrica intelligente. Abbiamo preso come esempio la Germania, ma tuttavia anche lì non abbiamo dei riferimenti concreti: nessuno ha analizzato processi, chi ha potuto studiare quali vantaggi si siano ottenuti attraverso l’utilizzo della robotica o in quale applicazioni sono quei sistemi cognitivi – collaborativi fra uomo e robot? Io non ho potuto leggere alcuna case history che mi illustri queste cose né tantomeno analisi su quali benefici si possano avere nel turn over, nell’EBIT o nella soddisfazione del cliente. Quindi al momento possiamo dire che ci stiamo solo innamorando di una parola d’ordine di cui non si è visto ancora niente di concreto.
Qual è dunque, secondo te, la vera chiave dell’innovazione in azienda?
Stiamo parlando di un’economia della conoscenza. La vera innovazione teorizzata dall’Industry4.0 sta nell’impulso che la robotica può dare ai processi, ma il concetto nuovo è che non sono più i robot che imparano dall’uomo, ma sono gli uomini che imparano dai robot e io questo impulso non lo vedo nel piano così come proposto.
Si parla molto di automazione e di perdita di posti di lavoro. Quanto l’Industria 4.0 inciderà sull’impiego?
Esistono due ricerche in questa direzione sul modello dell’Industry 4.0 che hanno dati piuttosto discordanti ma un minimo comune denominatore: la perdita di posti di lavoro riguarderà quelle attività a basso valore aggiunto.
Io non sono per niente d’accordo su quanti ipotizzano una minaccia, ad esempio, nell’area delle vendite. Posso capire un calo di intervento umano nell’area della produzione o delle operations, dove sicuramente le macchine possono incidere fortemente sui lavori a basso valore o su quelli di precisione, ma non vedo come potrebbero incidere sulle attività di vendita. Si parla di un milione di posti di lavoro entro 20 anni ma bisogna capire prima di tutto quale e quanto impiego si preveda nella robotica. Ad oggi non sappiamo se questa punterà verso il cyber virtual system, questo scambio fra virtuale e reale, o sull’analisi dei Big Data, o sull’Internet of Things. Sinceramente oggi non conosco nessuna azienda italiana e non mi risulta nemmeno europea che lavori su tutte queste cose. E’ tuttavia inevitabile che in futuro ci sia un’interconnessione uomo – robot, fermo restando che rispetto a 50 anni fa oltre a fare dell’handling i robot oggi possono anche vedere, tuttavia ancora non capiscono la semantica del linguaggio. Pertanto è ancora necessario un apporto umano non indifferente.
Faccio un esempio: è come un navigatore satellitare su cui io posso digitare un indirizzo, o la longitudine e latitudine o un punto d’interesse. Ma se gli chiedo: vai all’angolo e fermati al semaforo dopo la gelateria e parcheggia, lui non mi capisce. Di conseguenza io non credo alla sostituzione dell’uomo con il robot, ma credo alla collaborazione dell’uomo col robot e l’impiego industriale nei lavori ripetitivi a basso contenuto cognitivo. Mi preoccuperei di più se facessi il casellante che non se facessi l’area manager o il direttore commerciale.
Come fa l’uomo ad imparare dal robot?
Esistono delle simulazioni sui movimenti più efficienti che un robot antropomorfo può fare che l’uomo può applicare su una linea di assemblaggio per avere gli utensili posizionati in maniera più razionale. Un esempio semplice, ma credibile.
Sembra che dal tuo punto di vista siano più importanti le Risorse Umane che le macchine per fare Industria 4.0
Ancora oggi, a distanza di 36 anni da quando Womack e Johnson hanno pubblicato la loro ricerca nel celebre libro Toyota, la macchina che ha cambiato il mondo tutti coloro che oggi visitano uno stabilimento si stupiscono di quella che viene definita l’automazione frugale di Toyota. Ci sono stabilimenti in Giappone che lavorano senza ERP poiché l’armonizzazione dei processi è talmente perfetta che non hanno bisogno di un supporto informatico. Rispetto all’automazione spinta, crediamo in un concetto diverso: quello dell’autonomazione dell’individuo (Jidoka). Alla fine è cruciale lo sviluppo delle risorse umane e rispetto a grossi investimenti che si fanno, mi chiedo quanto le risorse umane delle aziende siano preparate all’utilizzo di questi sistemi.
Partiamo dall’apice delle cose. A livello nazionale c’è una grossa carenza nel management. Un management che si è fatto trovare impreparato ad affrontare la crisi, un management che fa fatica a dirigere. Un domani che un’azienda si trovasse a dover gestire Big Data o anche solo avesse molte più informazioni rispetto a quante ne abbiamo adesso, queste aiuteranno a decidere meglio o renderanno ancora più difficile un processo di scelta? Le scuole stanno preparando i nuovi professionisti di domani per andare ad approcciare queste nuove tecnologie?
L’ industria 4.0 riguarderà dunque solo lauree tecnologiche e profili tecnici?
Mi ispiro da sempre a due modelli: uno evidentemente quello Toyota in cui Hitozukuri (l’arte di formare le persone) venga prima di Monozukuri (l’arte di fare bene le cose), ma l’altro modello a cui mi ispiro è quello Olivettiano. Di conseguenza, credo dunque che da una parte ci sia bisogno di ingegneri e lauree tecniche, ma credo che nelle azienda vadano rafforzati gli uffici HR. Non parlo di uffici paghe e stipendi, ma un ufficio presidiato anche da psicologi e filosofi (ho amici che portano in azienda ogni mese filosofi e psicologi per parlare con i dipendenti e col management) in cui la Risorsa Umana resta all’interno di ogni processo.
Sembrerebbe invece che il vero cambiamento dell’Industria4.0 avvenga attraverso l’automazione e il digitale.
Ti faccio un esempio per capire quanto questo sia profondamente errato. Di Toyota si sa tutto, dal 1990 in poi c’è una letteratura sterminata; Toyota non ha mai nascosto niente a nessuno, nemmeno ai competitor. Tuttavia nel 2009 è stata pubblicata una ricerca (Anand, Ward, Tatikonda, Schilling) che dice che il 70% delle aziende statunitensi che hanno provato a utilizzare il Toyota Production System non hanno ottenuto risultati, ma forse ancora di più illuminante che solo il 20% delle aziende giapponesi applicano il TPS.
Eppure non si può dire che non abbiano la conoscenza; i processi sono tutti disponibili. Nè si può dire che non abbiamo risorse economiche; sono tutte aziende molto profittevoli e spesso multinazionali. La verità è che non hanno le Risorse Umane per sostenere il cambiamento. Non può esistere Smart Factory, l’Industria 4.0, la fabbrica intelligente o come la vogliamo chiamare se prima non si passa attraverso la Lean Factory. E ti accorgi che non c’è Lean Factory quando in azienda ti presentano il Lean Manager o il Responsabile dell’Attività Kaizen. Quella è la certificazione che l’azienda non è lean, perché per essere tale si deve essere lean dalla reception al presidente fino al consiglio di amministrazione.
E’ un processo trasversale in cui tutti devono crederci e si sforzano di mettere in atto i precetti che sono alla base dei processi di cambiamento altrimenti diventa una lean da parata e io temo fortemente che se non si formano le risorse umane sia tecniche che quelle di management necessarie, si faranno investimenti che resteranno fini a se stessi. Utilizzeremo fasi di processo senza una reale armonizzazione e un reale miglioramento. Non è vero che il successo di Toyota deriva dal lavorare con poche scorte e individuare gli sprechi. Deriva dal fatto che ogni mattina ci sono milioni di collaboratori che vanno in azienda per pensare a risolvere i problemi e a migliorare. Questo si può fare anche in un sistema di collaborazione con i robot. Per forza di cose questo impatterà sul mondo del lavoro, ma se pensiamo di utilizzare i robot come utilizziamo un frigorifero o una lavatrice sostituiremo qualche posto di lavoro, probabilmente avremo delle isole di efficienza, ma non misureremo un reale cambiamento. Questo è il vero limite di pensare l’Industry4.0 in questo modo.
Come si pensa dunque di riuscire ad allineare un Paese intero senza una cultura adeguata a questi processi?
Infatti, questo piano è a mio avviso insostenibile. Il nostro processo di miglioramento e di cambiamento è stato reso noto da Womack e Jones ma è nato quando Sakichi Toyota nel 1918, definì il suo modello imprenditoriale come basato sull’analisi continua dei processi, degli errori e del miglioramento continuo. Un processo di lungo termine che si costruisce giorno dopo giorno attraverso la formazione, la cultura aziendale, la trasformazione tecnologica. Dunque io definisco Toyota non un processo 2.0, 3.0, 4.0 ma un ecosistema aziendale dove le inter-relazioni e domani anche quelle fra uomo e robot sono in continuo divenire, in continuo cambiamento. Questo piano è come un maestro orologiaio che costruisce un meccanismo perfetto ma che poi potrebbe far andare le lancette al contrario. Sarebbe comunque un meccanismo perfetto ma quello che realizza non servirebbe a migliorare la qualità del processo. Quindi io credo che i meccanismi debbano evolvere e devono essere misurati sulla catena del valore. Non per niente sotto la lean production c’è la lean thinking. Io credo che i ricercatori più attenti traducano il TPS non solo come Toyota Production System ma anche come Thinking People System, ovvero il sistema delle persone che pensano. Per questo non credo assolutamente che la robotica possa sostituire un vero e proprio sistema cognitivo.
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