Ordine dei giornalisti: è il momento di liberalizzare?

La nascita dell’Ordine professionale risale ai primi del Novecento. Si tratta di un’istituzione di autogoverno di una professione riconosciuta dalla legge che garantisce la qualità delle attività degli iscritti, subordinata al rispetto di un codice deontologico e a un’adeguata formazione. In Italia gli ordini sono enti pubblici autonomi sottoposti per legge alla vigilanza del Ministero di Grazia e […]

La nascita dell’Ordine professionale risale ai primi del Novecento. Si tratta di un’istituzione di autogoverno di una professione riconosciuta dalla legge che garantisce la qualità delle attività degli iscritti, subordinata al rispetto di un codice deontologico e a un’adeguata formazione. In Italia gli ordini sono enti pubblici autonomi sottoposti per legge alla vigilanza del Ministero di Grazia e Giustizia, quindi del Governo.

L’Ordine dei Giornalisti, tra tutti gli altri, si propone come baluardo della libera informazione, uno dei canoni per misurare l’evoluzione di una società civile.

Ordine dei Giornalisti, a chi giova?

Se il 26 aprile 2017 i maggiori quotidiani hanno titolato “Libertà di stampa, Italia sale al 52esimo posto” non c’è da stare allegri, e forse un bilancio qualcuno lo dovrebbe fare, almeno per una volta. Certo è che lungo il continuum tra la tutela dell’informazione e la tutela degli iscritti di zone d’ombra ce ne sono diverse. “I giornalisti – scrive Reporters sans Frontières nella sua classifica annuale sulla libertà di stampa – subiscono pressioni da parte dei politici e optano sempre più per l’autocensura“.

Il rapporto cita anche il ddl diffamazione, ancora fermo al Senato, che nelle intenzioni dovrebbe portare all’effettiva cancellazione del carcere per i giornalisti e all’introduzione di sanzioni pecuniarie efficaci per chi fa ricorso alle “querele temerarie”.
Ancora, vengono citati i minimi salariali, la vergogna delle pseudo testate online che retribuiscono un “tot a click” e quelle che reclutano i giovani con la “carota” del praticantato.

Vogliamo parlare della tutela dell’identità dei reporter, sempre più spesso minacciati dalla criminalità organizzata? Da Roberto Saviano alla cronista di Repubblica Federica Angeli, un mare di temerari sono costretti a vivere sotto scorta – o almeno lo sono i più fortunati. Allora è anche pensabile una sorta di liberalizzazione. Ancor più che oggi le notizie le fanno, e più velocemente, gli utenti su Facebook o YouReporter, con il cellulare; poi il mercato decide tra la mercificazione di una foto o un articolo di qualità. Come peraltro già avviene in diverse realtà civili nel mondo, più in alto nella classifica di Reporters sans Frontières. E senza la subordinazione a un ordine professionale.

L’opinione di un giornalista non iscritto all’Ordine: intervista a Carlo Marino

Carlo Marino (1961) ha svolto la sua attività prevalentemente nel campo delle relazioni internazionali, con le Nazioni Unite, il Parlamento Europeo e la Pubblica Amministrazione. Giornalista accreditato in Germania, oltre che scrittore e blogger, si occupa di politica, di arte e cultura.

È lecita la provocazione? Perché, italiano e residente in Italia, non si è iscritto all’Ordine?

Sono europeo oltre che italiano, e l’Europa mi consente di fare il giornalista facendo a meno dell’Ordine.

Lei che è attivo in campo giornalistico a livello internazionale, mi sa dire in breve come è regolamentata l’attività giornalistica in ambito europeo?

Oltre a una cosiddetta via colta, percorsa attraverso corsi universitari di laurea in giornalismo o simili, l’accesso alla professione continua ad avvenire nella gran parte dei paesi UE anche sul campo. Per strada, come diceva Indro Montanelli a chi volesse fare il giornalista: “si compri un bel paio di scarpe comode, per cominciare”. Ad ogni modo è prassi presentarsi a un editore, proporre la propria esperienza, il proprio curriculum, mettere in luce la propria passione per il mestiere, e si entra nel mondo dell’informazione. Fa eccezione, almeno parzialmente il caso francese. Negli ultimi vent’anni, la maggioranza di chi lavora nelle redazioni è uscita da una delle grandi scuole francesi di giornalismo, ha fatto un praticantato biennale retribuito e dunque ha la carte d’identité professionnelle des journalistes. Che non è un ordine professionale.

Lei che scrive per testate tedesche, in cosa si differenzia l’essere giornalista in Germania piuttosto che essere iscritto all’Ordine dei Giornalisti in Italia?

Per essere giornalista in Germania si deve scrivere in tedesco o in inglese. Ad ogni modo, la Germania si presenta oggi come una sorta di newspaper country, con i suoi 334 giornali e 1.529 edizioni locali, per un totale di 21 milioni di copie che ogni giorno raggiungono i lettori. In vetta alla classifica si collocano i settimanali (circa sei milioni di copie) e i giornali domenicali. Dunque il mercato tedesco dei giornali è il primo in Europa e il quinto a livello mondiale in termini di diffusione. Quello che conta ancora di più è che questi giornali non sono solo venduti, ma vengono anche letti, se il 73,7% delle persone sopra i 14 anni (cioè circa 47,9 milioni di persone) legge regolarmente un giornale. Esistono poi circa 300 canali radio, di cui 60 pubblici. Nel 2007 la legge Teledienstegesetz ha regolamento anche il giornalismo online. Senza la necessità di un ordine professionale.

Come è strutturata la sua attività e che tutele giornalistiche avete rispetto a noi italiani, iscritti all’Ordine?

Per quanto mi riguarda io sono un freelance corrispondente estero. Comunque, a prescindere dal percorso formativo, in Germania, una volta che l’aspirante giornalista si trova a contrattare con un editore ha sostanzialmente tre tipi di possibilità di esercitare la sua professione. L’editore può̀ proporre un contratto come dipendente fisso, cioè a tempo indeterminato, cosa che avviene sempre più di rado, perché altre forme di collaborazione sembrano più libere e più vantaggiose. Esistono, come è ovvio i freelance e poi esiste un terzo tipo di contratto, che può essere spiegato come un ibrido tra i primi due e prende il nome di Fester Freier, cioè “libero-fisso”. In tutti i casi la libertà di stampa è tutelata e l’autore giornalista si assume personalmente la responsabilità di verificare i fatti e diffondere la verità.
Bisogna poi considerare che il giornalista in Germania è considerato alla stessa stregua di un artista, cioè ha la stessa cassa mutua e pensionistica, dove lo Stato versa la metà dei contributi. Lo Stato tedesco in questo modo tutela soprattutto i giornalisti cosiddetti liberi-fissi. La creazione di questa Cassa – Künstlersozialkasse – nel 1975 (dunque durante il cancellierato di H. Schmidt) fu molto contrastata dagli editori e solo dagli anni ’80 cominciò a funzionare pienamente. Sostanzialmente consente a giornalisti e artisti di poter accedere alla cassa malattia dei privati. Il giornalista iscritto versa la metà della contribuzione, il restante viene versato dallo stato federale e dal Land. In definitiva è importante essere iscritto a uno dei sindacati che tutelano i giornalisti e pagarsi un’assicurazione privata.

Una valutazione comparativa fra regime tedesco e quello italiano?

Mentre in Italia esiste l’Ordine, unico e diviso per venti regioni, tutore dell’attività della stampa, in Germania esistono associazioni di giornalisti, che sono private, ma finanziate dallo Stato. Ma andiamo con ordine. In Germania si contano circa 73.000 giornalisti nel 2016: si rilevano un totale di 26.000 freelance, 13.500 impiegati nelle testate di quotidiani o nell’informazione televisiva, 9.000 nei periodici e free-press, 9.000 nelle radio, 7.000 negli uffici stampa, 4.000 nel comparto online e 1.000 nelle agenzie, cui si aggiungono 3.000 giornalisti “volontari”: non significa che costoro lavorano senza compenso, ma che aderiscono al Volontariat, che è il loro modo di chiamare la pratica giornalistica (anche se non c’è un esame finale: dura due anni ed è un inserimento retribuito). I freelance tedeschi, pur essendo numerosi e la loro popolazione in aumento, vivono in un mondo sconosciuto agli italiani privi di contratto. La maggior parte dei giornalisti tedeschi sono iscritti al Deutscher Journalisten-Verband, la federazione dei giornalisti tedeschi, cioè un’associazione professionale che esiste da oltre 50 anni. La sua struttura funziona attraverso sette membri del consiglio esecutivo federale che cooperano da vicino con l’ufficio federale. Pertanto il governo centrale dell’associazione comprende 16 associazioni statali autonome, garantendo così una vasta gamma di servizi regionalizzati negli stati federali. Il DJV rappresenta sia gli interessi dei freelance sia quelli dei giornalisti a tempo indeterminato. Tutti gli argomenti vengono dibattuti in seno a speciali comitati, da quello “giovani”, a quello “Europa” o “fotogiornalismo”, da “freelance” a “stampa quotidiana”, e così via. Per me l’associazione e l’associazionismo sono la base della democrazia.
L’Ordine mi dà un’idea di chiuso e provinciale…

 

Photo Credits © mpclemens / CC BY-SA 2.0 (via Flickr)

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