Manifattura ignorante

Guardatevi attorno: tra le cinque persone più vicine a voi, una sarà sicuramente un artigiano. L’artigianato è una realtà che fa parte della nostra vita. Da piccolo ero felice quando entravo nella tipografia di mio zio e comporre con i caratteri mobili era più di un semplice gioco. Quelle dieci lire maturate dall’aver trovato un […]

Guardatevi attorno: tra le cinque persone più vicine a voi, una sarà sicuramente un artigiano.

L’artigianato è una realtà che fa parte della nostra vita. Da piccolo ero felice quando entravo nella tipografia di mio zio e comporre con i caratteri mobili era più di un semplice gioco. Quelle dieci lire maturate dall’aver trovato un refuso leggendo il testo da destra a sinistra valevano molto di più del valore ricevuto in cambio. L’odore dell’inchiostro, l’avere a disposizione tantissima carta dove scarabocchiare, i caratteri di piombo, il rumore ciclico della pedalina, riaffiorano in me ogni volta che entro in una tipografia. E mi catapultano nel passato.

Quello che succede oggi entrando in una tipografia, come in altre categorie artigianali, mi rattrista non poco. Non dovrebbe esistere silenzio, dentro una tipografia. La mancanza di rumore della macchina tipografica in azione ti fa capire che qualcosa non sta funzionando. La loro scusante è sempre la crisi, o la concorrenza. E tra i concorrenti più temuti c’è Internet, che con i grandi service dai costi di produzione molto bassi, raggiungibili da qualsiasi privato o azienda, ha messo diverse categorie artigianali con le spalle al muro.

Problemi da artigiano

La concorrenza su Internet non è l’unico problema che deve affrontare il nostro artigiano. Ce n’è uno molto più grave che rischia di far morire i fautori del vero Made in Italy, quello fatto con la testa, le mani e il cuore. Tante piccole aziende, che forniscono manufatti e accessori di alto livello al mondo della moda, della meccanica, del food e a migliaia di brand riconosciuti a livello mondiale rischiano di chiudere per mancanza di ricambio generazionale.

I titolari di azienda, possibilmente di seconda o terza generazione, si sono accorti che quando ricorrevano a un avvocato o a un medico specialista dovevano pagare al professionista delle cifre esorbitanti in base al loro parametro tempo/soldi/guadagno. Inoltre quelle categorie “privilegiate” lavoravano a orari ben precisi, su appuntamento, con sabati e domeniche dedicate al relax, cosa che loro non riuscivano mai ad avere: le loro visioni di lavoro, bottega e famiglia si mescolavano in un unico calderone dove il tempo per i figli o per le vacanze era sempre destinato alla realizzazione di un’urgenza o di un’immancabile emergenza.

Da questi e altri stimoli si instaura una sorta di convinzione che spinge i loro figli a perseguire uno studio destinato a farli diventare dei dottori; a evitare di vivere una vita fatta di stenti, di domeniche passate al laboratorio, come la loro. Il primo step è quello di far iscrivere i propri figli al liceo invece che agli istituti professionali in cui loro si erano formati. Questa decisione, moltiplicata per centinaia di migliaia di ragazzi, porta ad avere una crisi degli istituti tecnici.

Questo segmento della scuola superiore che sforna geometri, ragionieri e periti nei campi di meccanica, elettronica, trasporti, chimica e tessile, ha perso quasi 120mila studenti, 117.122 ragazzi per la precisione, toccando nel 2016/2017 il minimo storico: appena 821.078 alunni. I numeri del passato erano ben diversi: a fine anni ’90 gli studenti iscritti “al tecnico” si attestavano intorno al milione, ed erano tutti portati a usare le mani e le tecnologie per creare qualcosa. Siamo sempre il secondo Paese manifatturiero d’Europa, il settimo nel mondo. Erano questi i giovani che affrontavano il mondo del lavoro con idee nuove.

L’assenza di formazione pratica

Quindi il nostro “anziano” artigiano ha fatto iscrivere il figlio a una scuola che lo allontana sempre di più da quel laboratorio dove da piccolino girava con il triciclo e con il quale ha un legame fisiologico. E dopo dieci anni di studio quel bambino ha finito le superiori, si è pure laureato ed è entrato anche lui nel mondo dei laureati senza lavoro.

Abbiamo forzato questi giovani a fare qualcosa che non gli apparteneva. Soprattutto abbiamo lasciato andare alla deriva gli istituti tecnici, che hanno perso di credibilità spostando il focus verso una formazione dove manca la manualità, il piacere di creare cose all’origine del Made in Italy, una derivazione del nostro DNA di artisti e creatori.

Un ulteriore peso che grava sulla situazione attuale è la mancanza di formazione nei laboratori. Pensare che tutto rimanga immutato, come in una bottega medioevale, li ha portati a perdere clienti su clienti, che si spostavano verso altri fornitori in grado di rispondere al cambiamento tecnologico e culturale. Le associazioni di categoria come CNA o Confartigianato stanno cercando di ovviare a questo gap, ma con poco successo, in quanto solo la categoria giovani imprenditori riesce a percepire bene che oltre il saper fare serve un buon far sapere: strategie di marketing associate a un buon uso della rete.

L’artigiano tecnologico

La separazione del lavoro manuale da quello accademico e scientifico è il più grande errore che sia avvenuto in Italia negli ultimi dieci anni. Abbiamo denigrato ciò che ci ha reso unici e adesso ci stiamo accorgendo di aver sbagliato. L’artigiano tecnologico è la soluzione per un possibile rilancio economico: cultura del fare, della Rete e soprattutto nelle connessioni.

I nuovi atelier creativi, spazi destinati alle scuole elementari e medie con tecnologie digitali, coding e laboratori manuali, serviranno ad avvicinare la nuova generazione ai nuovi modi per fare e per creare. Nell’attesa che queste nuove leve diventino operative possiamo agire cercando di avvicinare i figli – a volte medici, altre avvocati, molte altre disoccupati – a riprendere in mano il lavoro del padre, con i loro occhi, le loro conoscenze, la loro contemporaneità.

Una sorta di “padre in meglio”, quindi. Si tratta di dare una doppia possibilità all’esperienza artigianale integrandola al digitale; far sì che la mano callosa dell’artigiano italiano incontri il mouse, e si associ alla giovane, brillante e innovativa tecnologia. Insieme, mano e mouse, daranno vita all’artigiano tecnologico, un misto di competenze, tecnologie, creatività, arte e storytelling. Elementi indispensabili per le aziende artigianali del futuro.

 

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