Natalia Bayona, Organizzazione Mondiale del Turismo: “La sfida è creare lavoro ad alto valore aggiunto”

In un contesto globale in cui il turismo genera un impatto pari al 10% dell’occupazione (11,2% in UE), le previsioni di flessione ipotizzate dagli studi di settore fanno ipotizzare una perdita di circa il 30% dei posti di lavoro degli ambiti connessi all’industria turistica, in maniera diretta o indiretta (sistema ricettivo, ristorazione, agenzie viaggi, trasporti, […]

In un contesto globale in cui il turismo genera un impatto pari al 10% dell’occupazione (11,2% in UE), le previsioni di flessione ipotizzate dagli studi di settore fanno ipotizzare una perdita di circa il 30% dei posti di lavoro degli ambiti connessi all’industria turistica, in maniera diretta o indiretta (sistema ricettivo, ristorazione, agenzie viaggi, trasporti, manutenzione e servizi, attività ricreative, istituti culturali, industria creativa).

Contestualmente, la flessione delle presenze turistiche comporta un significativo impoverimento dei bilanci comunali, in molti casi fortemente supportati dalla riscossione delle tasse di soggiorno. Ma è a livello di impatto sociale più ampio che il rallentamento del motore turistico rischia di frenare processi di inclusione professionale e di diversificazione della partecipazione delle comunità alle opportunità derivanti dalla mobilità internazionale. Occorre analizzare le criticità che ci troviamo ad affrontare oggi e individuare soluzioni capaci di portare innovazione vera, al di fuori degli schemi della solita retorica.

Per affrontare l’argomento abbiamo deciso di parlarne con Natalia Bayona, a capo della Strategia per l’Innovazione e la Trasformazione Digitale dell’Organizzazione Mondiale del Turismo. Nel suo profilo professionale, oltre al coinvolgimento come European Digital Leader per il World Economic Forum, spiccano dieci anni di esperienza in ProColombia, Agenzia nazionale di promozione turistica del governo colombiano, in cui ha preso parte all’ideazione della campagna di rebranding Colombia. The only risk is wanting to stay, che ha contribuito a cambiare radicalmente la percezione globale delle destinazioni colombiane. Al di fuori della retorica comoda delle strategie a tavolino, Natalia sa bene cosa significhi applicare l’innovazione in un mercato turistico rallentato dalla paura, strettamente connesso a necessità fondamentali di sicurezza, da garantire e da far percepire.

Capiamo con lei come il COVID-19 influenzerà il futuro del turismo.

Natalia Bayona, coordinatrice della strategia per l’Innovazione e la Trasformazione Digitale dell’Organizzazione Mondiale del Turismo

 

Il turismo è un motore economico di portata globale: si tratta di un’industria diffusa, inclusiva, declinabile in base alle caratteristiche di ogni territorio. In un momento in cui la retorica vuole il mondo stravolto dalla pandemia, cos’è avvenuto nel settore turistico?

Per capire come trattare il tema del turismo oggi dobbiamo innanzitutto cercare di capire in che contesto vivevamo prima. Il turismo era il settore in crescita per eccellenza, con 10 anni di trend positivo senza rallentamenti e 1,5 miliardi di turisti in movimento ogni anno, destinati ad aumentare. Era il settore più rilevante, non solo dal punto di vista dell’attrattività rispetto agli investimenti, ma anche per la capacità di generare posti di lavoro. Dobbiamo ricordare che il turismo è forse il settore dell’economia che impiega, a livello internazionale, il maggior numero di giovani e donne. La competitività nel settore è da sempre fortemente orientata alla diversificazione e necessariamente fondata sul talento e sulla capacità di creare offerte innovative, capaci di valorizzare il potenziale di un territorio. È un settore dell’economia che favorisce molto la diversificazione e investe sul talento, favorendo la valorizzazione di donne e giovani. Questo è il contesto in cui ci stavamo muovendo prima, che già stava affrontando grandi sfide. Quando un settore cresce così rapidamente sicuramente presenta criticità, che vanno gestite. Però la situazione che ci troviamo ad affrontare oggi è la stessa che ci trovavamo ad affrontare prima.

Ora che tutti i punti di riferimento sembrano rimescolati dal contesto, quali sono i temi prioritari da prendere in considerazione?

La prima sfida è il recupero della fiducia, che si può conseguire solo attraverso l’implementazione di strategie per comunicare una condizione di sicurezza. Il tema, però, non è privo di precedenti. Ogni volta che si verifica un terremoto o un disastro naturale, ogni volta che si verifica una crisi sanitaria, si mette in atto una strategia di resilienza anche comunicativa, per riattivare l’attenzione positiva verso una destinazione e rigenerare l’industria turistica. La particolarità, ora, è che il 100% del mondo si è fermato e le frontiere sono state chiuse a livello globale, un caso senza precedenti nella storia.

La seconda sfida è l’innovazione, che caratterizza ormai da anni il settore turistico, ma che il COVID-19 ha fortemente accelerato. Ora possiamo dare un nuovo significato e un nuovo valore agli strumenti informativi, alle pagine web, alla formazione online, all’uso dei dati per la pianificazione strategica, al coinvolgimento degli utenti e dei clienti potenziali. Oggi più che mai serve che il tessuto innovativo (le startup) potenzi la collaborazione con le grandi imprese del turismo, per accelerare il processo di innovazione reale e per garantire l’introduzione della tecnologia in maniera efficiente anche nel tessuto più consolidato e tendenzialmente più conservativo. Le startup devono guidare la rivoluzione digitale nell’interazione con il turista potenziale.

La terza sfida è, oggi più che mai, quella della sostenibilità. Le destinazioni turistiche ormai da tempo stavano cercando di definire nuove strategie per la gestione del carico di presenze e delle conseguenze da esse derivanti: nelle grandi città europee i cittadini avevano manifestato espressamente atteggiamenti di crescente ostilità verso i turisti; si cominciavano a rilevare effetti importanti dal punto di vista dell’impatto ambientale, per la presenza di rifiuti o per l’alterazione degli ecosistemi. Cosa vogliamo che diventi il turismo? Dal mio punto di vista un turismo più educato, più sostenibile, che includa le comunità locali, che coinvolga i cittadini, che sia un modello più omogeneo. Serve lavorare alla creazione di nuove offerte turistiche, per differenziare le destinazioni e le tipologie dei prodotti, identificare nicchie di mercato che probabilmente non avevamo valorizzato in passato.

La quarta sfida è la creazione di lavoro ad alto valore aggiunto per promuovere il turismo data driven: data scientist che possano analizzare dati aggregati per elaborare modelli, per profilare i turisti, per fare previsioni sui flussi turistici o sui trend comportamentali e di consumo, per comprendere la complessità delle informazioni e favorire i processi di decision making a livello di politiche e di strategie per il turismo. La pandemia ci sta lasciando qualcosa di positivo.

L’industria del turismo è stata caratterizzata da fenomeni di massificazione, ma la gestione dei flussi torna al centro del dibattito per esigenze di distanziamento e per il rispetto delle misure di contenimento del contagio.

Se rivestissi un ruolo di leadership pubblica, con responsabilità di pianificazione in materia turistica, immaginerei una strategia strutturata in tre fasi:

  1. lanciare campagne di comunicazione per dimostrare che la destinazione è sicura, con il coinvolgimento della comunità interessata (cittadini, turisti e operatori). Parlare quindi non solo di destination marketing, ma di uso della tecnologia per favorire l’analisi integrata dei dati, per garantire il coinvolgimento diretto e proattivo degli stakeholder, per mantenere i turisti in una condizione di sicurezza;
  2. attivare politiche di rilancio del comparto turistico, con misure di supporto economico o di alleggerimento fiscale. Assicurarsi che il rallentamento del turismo non indebolisca la filiera, provocando perdite di posti lavoro e assottigliando la capacità di reazione del settore. In casi come l’Italia serve tutelare interi ecosistemi territoriali;
  3. creazione di alleanze pubblico-private: la campagna di promozione o riattivazione del turismo deve essere coordinata, a livello locale e sovralocale, per garantire la coerenza e l’efficacia di strategie estese di rilancio territoriale.

Si sta parlando molto di turismo di prossimità. La riduzione del raggio di spostamento del turismo rappresenta un rischio o un’opportunità?

Il turismo di prossimità non sarà una minaccia. È uno dei pochi settori capace di reggere le onde d’urto della contingenza anche più grave. Il turismo impiega già dalla base (dalla guida turistica al fruttivendolo, dall’artigiano al traduttore) fino al grande imprenditore (dalla compagnia aerea alla catena di hotel). Se ci riflettiamo, stiamo parlando di un settore profondamente umano in cui la tecnologia rimarrà uno strumento, senza poter mai acquisire un ruolo sostitutivo. Dopo mesi di lockdown, il desiderio di muoversi rappresenterà, a livello locale e internazionale, il primo attivatore della domanda.

Quale credi che sia il messaggio più importante per gli stakeholder pubblici e privati?

Uscire dagli schemi tradizionali che hanno caratterizzato questo settore negli ultimi decenni: la responsabilità di riattivare il turismo è di tutti. Un contesto come quello italiano, con un’attrattività così forte, deve assumersi la responsabilità di favorire l’integrazione pubblico-privata. Come UNWTO lo crediamo e lo promuoviamo fermamente: è giunta l’ora di lavorare tutti insieme, a livello globale, perché questo cambiamento renda il turismo un motore di crescita condivisa per tutti, anche per i cittadini.

 

 

Photo by NASA on Unsplash

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