Non dimentichiamoci dell’Africa anche per il coronavirus

Siamo in Uganda, un Paese meraviglioso situato all’equatore, confinante a nord con il martoriato e poverissimo Sud Sudan, a ovest con il gigantesco Congo Kinshasa, a sud con Ruanda e Tanzania e a est con il Kenya – senza dimenticare, a sud, il grande lago Victoria dove nasce il Nilo. Il primo italiano a visitarla […]

Siamo in Uganda, un Paese meraviglioso situato all’equatore, confinante a nord con il martoriato e poverissimo Sud Sudan, a ovest con il gigantesco Congo Kinshasa, a sud con Ruanda e Tanzania e a est con il Kenya – senza dimenticare, a sud, il grande lago Victoria dove nasce il Nilo. Il primo italiano a visitarla è stato il Duca degli Abruzzi, noto esploratore e scalatore, che diede il nome della regina Margherita alla cima più alta del Paese (la terza più alta in Africa), dove ancora oggi si può trovare un ghiacciaio a 5.100 mt s.l.m.

L’Uganda è ricca di materie prime e ha un’enorme capacità agricola. Dopo una guerra che l’ha vista piombare in un deficit del 1000% intorno gli anni 2004, si è stabilita a una media del 6-7%; oggi è leader nella produzione di caffè e banane, tè e cotone, cereali. Il petrolio è la nuova forza economica, in continua crescita: 87 pozzi sono in funzione e altri ancora se ne attendono. Sale il numero delle infrastrutture da costruire per un Paese che ha un alto numero di laureati, con grande capacità di crescita grazie agli investimenti privati stranieri.

Il turismo è un’altra forza motrice del Paese. Numerosi i parchi – si stima che il 50% dei gorilla a livello mondiale sia su questo territorio – che grazie ai laghi e montagne offrono esperienze uniche da vivere; migliaia gli hotel e le strutture ricettive. Dal punto di vista della salute i farmaci vengono al 90% importati da India, Kenya, Cina, Danimarca e Olanda. Aids, tubercolosi e malaria sono le principali cause di morte con il 50 % dei malati; l’Uganda rientra nei Paesi più aiutati per questo tipo di malattie. In particolare, per l’Aids, con il contributo delle grandi organizzazioni mondiali, è stata il primo Paese in Africa ad aprire centri per i test HIV. La battaglia continua, ma le forze sanitarie sono ben preparate.

Lavoro presso Africa Mission Cooperazione e Sviluppo, una ONG italiana che è qui dal 1972, prima come sostegno a una missione nel nord dell’Uganda, e poi in seguito come ONG su un territorio più vasto attraverso centinaia di progetti per la costruzione di pozzi di acqua potabile, per servizi sociosanitari, per il settore agricolo-zootecnico, per il settore emergenza umanitaria, per il diritto allo studio e alla formazione professionale.

Dal nostro ufficio di Kampala, la capitale, mi occupo degli acquisti per questi progetti e la manutenzione delle nostre sedi operative del nord, che sono a Moroto, Adjumani e Alito. Per me è la seconda esperienza in Africa: ho abitato per cinque anni in Camerun portando avanti progetti sociosanitari con il Movimento dei Focolari.

Veniamo adesso a quello che sta succedendo in Uganda.

 

Foto scattata precedentemente all’emergenza Covid-19

Il COVID-19 si diffonde in Africa: le reazioni delle autorità locali

Come ormai in tutto il mondo il COVID-19 è arrivato in questo Paese, un aereo dopo l’altro. Sono molte le persone che viaggiano per lavoro o per piacere attraverso scali e destinazioni come Dubai, Londra, New York, Milano, senza dimenticare le centinaia di cinesi presenti sul territorio ugandese. Dunque, eccoci anche noi in emergenza coronavirus.

Da quando si è capito che l’epidemia stava invadendo l’Europa, verso il 27 febbraio hanno cominciato a circolare notizie ufficiali che il governo ugandese metterà in quarantena obbligata, o sotto controllo domiciliare, o in strutture ad hoc, chi proviene dai Paesi classificati come classe 1 (come Cina, Italia, Corea, Giappone, Iran). Invece i viaggiatori da altri Paesi potevano ancora muoversi senza obblighi di quarantena, ma in tutto questo non bisogna dimenticare le centinaia di ugandesi che hanno fatto la quarantena di 14 giorni presso il loro domicilio (non sappiamo ancora, ad oggi, cosa sarà successo in quei frangenti di vita famigliare).

Il 28 febbraio è arrivato un amico di un collega all’aeroporto di Entebbe. Solo a lui e ai cinesi hanno misurato la febbre e registrato tutti i riferimenti: nome, telefono e destinazione. Poi li hanno lasciati andare via. Il 4 marzo il Kenya ha chiuso i voli dall’Italia e l’Uganda messo sotto isolamento per 14 giorni tutti i passeggeri da Cina, Italia, Corea, Giappone e Iran, sotto un controllo giornaliero del ministro della Salute.

Il 7 marzo il ministro della Salute ha chiesto a sette Paesi oltre ai già citati (tranne il Giappone; incluse Francia, Germania e Spagna) di considerare la possibilità di posporre tutti i viaggi non essenziali, e che per tutti quelli che sarebbero arrivati in Uganda sarebbero stati obbligatori 14 giorni di quarantena anche in assenza di sintomi di COVID-19; per tutti gli altri Paesi sarebbero stati effettuati screening di routine dall’arrivo. L’11 marzo sono arrivate dal ministro della Salute indicazioni chiare e precise per se stessi e i famigliari su come stare in quarantena.

Il 13 marzo il primo caso positivo a Nairobi, Kenya: uno studente arrivato da New York attraverso Londra. Il 16 marzo primo caso in Tanzania: una donna di 46 anni arrivata dal Belgio. Il 20 marzo Brussels Airlines ha chiuso i voli con Uganda. Il 18 Marzo l’Uganda ha deciso di chiudere tutte le scuole per un mese; sospese anche tutte le funzioni religiose (il nostro è un Paese con la presenza di tutte le chiese, cristiane e musulmane, oltre a una grande maggioranza di sette arrivate dall’America). Tutti sospesi i meeting pubblici, proibiti i viaggi verso i Paesi infetti. Chi arrivava nel Paese – perché alcune compagnie stavano ancora volando – doveva sostenere a proprie spese la quarantena di 14 giorni presso hotel indicati dal governo. Cosa interessante, anche i matrimoni sono stati colpiti: si obbliga la partecipazione a sole cinque persone. I posti di lavoro rimangono aperti, ma solo se adottano tutte le precauzioni: infrarossi per febbre, disinfettanti e quant’altro. Funerali solo con poche persone; disco bar e nightclub chiusi per un mese; i mercati possono rimanere aperti, ma solo per il cibo; i mezzi di trasporto pubblici, bus da 15 persone (matatu), possono circolare solo se usano le dovute precauzioni, così come le moto taxi a chiamata (boda). Intanto nell’aeroporto la lista dei Paesi in categoria 1 è aumentata fino a raggiungere i 31.

 

Primi casi di coronavirus in Uganda, al via la serrata. I commercianti si accampano accanto alle bancarelle

Il 22 marzo ecco il primo caso positivo all’aeroporto di Entebbe, un ugandese arrivato da Dubai. Tre giorni dopo i casi sono saliti a otto. Ci si accorge che Dubai non era nella lista dei Paesi da evitare, e questo ha permesso al virus di entrare senza controllo.

Riassumendo, ad oggi la task force governativa contro il virus ha trovato – seguendo solo i viaggiatori in quarantena – un totale di 52 casi positivi, su un totale di test effettuati superiore a 3100,  ma non è stato possibile contattare alcuni passeggeri che provenivano da Dubai.

Il Presidente della Repubblica continua dare indicazioni, come la sospensione di tutti i trasporti pubblici dal 26 aprile, chiedendo di restare a casa, mentre chi ha un’auto privata può viaggiare per lavoro ma solo con tre persone. Le moto taxi possono trasportare solo cibo, nessun passeggero e nessun altro tipo di materiale. Gli aeroporti e tutti i confini sono chiusi: non si può entrare né uscire. Alcune ambasciate incominciano a organizzare dei voli autorizzati a portare via dal Paese i loro cittadini: fanno cosi americani, italiani, spagnoli, inglesi e tedeschi.

Dal 1 aprile sono state date nuove disposizioni: in auto solo una persona ma con autorizzazione, che deve essere richiesta negli uffici governativi, sospesi per 14 giorni come per i trasporti pubblici. Aerei bloccati per 32 giorni. Chiusi i grandi magazzini di materiale di costruzione; le imprese che stanno lavorando possono farlo finché hanno materiali, poi devono chiudere. Rimangono aperti i mercati cittadini, spazi enormi, ma molto densi di bancarelle: viene chiesto ai lavoratori di dormire nelle vicinanze per evitare spostamenti; chi non può sta a casa. È diventata famosa una donna fotografata con una tenda vicino alla sua bancarella, che come la maggior parte non ha mezzi privati; l’alternativa è rimanere a casa, e così diverse attività stanno chiudendo. Rimangono aperti i grandi supermercati e gli store di agraria e sementi.

 

Ospedali privati in crisi: medici al lavoro in bicicletta. E il cibo non è distribuito a tutti i poveri

Le banche possono far lavorare gli impiegati, ma ai clienti viene chiesto di stare a casa e usare i servizi online. Vengono incentivati i trasporti in moto per le consegne a domicilio di cibo. Gli ospedali che riescono rimangono aperti; ad avere particolari difficoltà sono quelli privati, perché gli operatori non hanno mezzi per muoversi, dunque alcuni reparti incominciano a chiudere o limitare gli orari. Ad esempio, in una clinica in cui lavorano miei conoscenti i lavoratori sono ridotti da 60 a circa 20, con apertura solo dalle 8 alle 17, e la notte un medico di guardia con due infermieri. Abbiamo fornito una bicicletta al medico che lavora di notte perché abita a circa due ore a piedi.

Vietati gli assembramenti di più di cinque persone. Abolito qualsiasi tipo di meeting, chiusi bar, i matrimoni non si fanno e viene messo il coprifuoco dalle 7 di sera alle 6.30 del mattino. Le tasse non si pagheranno per 14 giorni. I trasporti e cargo continuano a viaggiare, e rimangono attivi i servizi per luce acqua. Le imprese incominciano a sentire il danno economico nel settore delle costruzioni, che per una città come Kampala, in continua crescita, vuol dire milioni di euro. Anche la nostra ONG è ferma, in questo momento, almeno per quanto riguarda tutto ciò che non è agricoltura e acqua. Tutto il lavoro si riduce, se non addirittura si ferma, per proteggere le persone coinvolte e adempiere alle direttive del governo. Fortunatamente proprio pochi giorni fa avevamo appena terminato un progetto di riabilitazione e manutenzione di 150 vecchi pozzi di acqua potabile.

In questi giorni si sta vedendo la distribuzione del cibo alle famiglie povere: la priorità viene data a orfanotrofi, ospedali e alle migliaia di persone che vivono nelle baracche (slum), con una quota di zucchero, latte, 6 kg di mais e 3 kg di fagioli per ogni membro della famiglia – questo solo in due aree di Kampala metropoli, le altre sono considerate autosufficienti. Ho visto le foto dei camion con il cibo da distribuire, e come sempre le foto rituali dei ministri di turno con i sacchi di fagioli, circondati da telecamere e macchine fotografiche. Una ONG ugandese di avvocati CBTP, che lavora con il governo per la difesa del giusto salario e dell’equità fiscale, stima una cifra di 7 milioni di persone che a causa del COVID-19 saranno in stato di necessità, ma solo 1.5 milioni saranno aiutate da questa distribuzione di cibo.

Si tratta in buona parte degli invisibili, cioè di quelli di cui si parla poco, o solo quando serve a qualcuno. Sono i rifugiati politici e di guerra, che sono tanti anche a Kampala; i carcerati affollati nelle prigioni (sembra che 2.000 saranno presto liberati, ma per andare dove?); le prostitute e i tanti bambini e giovani donne provenienti dal nord dell’Uganda, che vendono ogni cosa per la strada.

 

La gestione dell’emergenza del governo ugandese

Resta il fatto che non sappiamo quanto durerà questa quarantena e quali conseguenze ne deriveranno.

Si racconta sui giornali che alcuni sospetti positivi sono scappati da ospedali o hotel durante la quarantena. Molte notizie sono vere, come quella di alcuni cinesi che, scappati dopo dieci giorni di quarantena, vengono arrestati dalle forze di polizia al confine con il Congo, insieme a due locali che guidavano il mezzo su cui viaggiavano. Sempre tra le notizie: un prete cattolico è stato arrestato per aver celebrato messa, e così altri due sacerdoti di altre chiese dal 22 marzo al 1 aprile; due operai durante il divieto sui trasporti sono stati feriti, una volta fermati dalla polizia, perché in due sulla moto. Non si è ancora capita la verità, ma i due sono in ospedale per ferite da arma da fuoco. Oggi si è compreso che un’auto abilitata a circolare per un ospedale può caricare due persone oltre all’autista, e quindi ci si organizza per andare a prendere il personale, dove è possibile, con un servizio taxi privato.

Ogni quattro giorni abbiamo una diretta TV del presidente che aggiorna sulla situazione attuale, e a volte aggiunge o corregge direttive da seguire. Impossibile non parlare dei suoi discorsi. Dopo averlo ascoltato diverse volte ormai mi viene da pensare a un nonno saggio che parla con figli e nipoti, istruendoli su ogni cosa anche con storie di vita vissuta, o qualunque cosa possa catturare la loro attenzione. Un esempio: quando durante la guerra si trovava nella giungla, a ogni rumore si faceva subito silenzio per ascoltare bene da che parte venisse il nemico per capire in quanti fossero; così si deve fare ora con questo nuovo avversario.

Oggi, riferendosi a chi parla in modo dissennato, dice di stare attenti e non giocare con il fuoco, e chiede a tutti di avere pazienza perché mai come in questo momento è molto importante essere sani, sicuri e salvi. Poi chiede scusa personalmente per gli eccessi di violenza usati dai militari nei confronti di persone – anche medici – fermate perché prive degli adesivi adeguati sull’auto, cosa alla quale, dice, il governo sta provvedendo. Con tutti i suoi limiti, dunque, questo governo sta davvero facendo il massimo in suo possesso per garantire sicurezza, rispetto e protezione, le materie prime che servono di più in un momento come questo.

Sento, come dicono in tanti, che non potremo più essere gli stessi. Il COVID-19 ci dovrà cambiare in qualche modo, e spero in meglio: nei rapporti tra vicini di casa, in famiglia, tra colleghi, spero possiamo scoprire che, sebbene differenti in colore, culture e Paesi di provenienza, siamo parte di un tutto. Mi auguro che questa emergenza dia vita a un mondo più unito, dove scopriremo che anche il rapporto con il dolore e la sofferenza gioca un ruolo importante nella nostra breve vita.

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