Professioni del Web: quando classificare serve a normalizzare

“Mi spieghi esattamente che lavoro fai, perché io ancora non credo di averlo capito?”. “Aiuto le aziende ad utilizzare Internet per raggiungere i propri obiettivi”. “Mmm…” “Ok. Faccio siti”. La scenetta descritta qui sopra è affare quotidiano per chi lavora sul o grazie al Web e magari non si occupa nello specifico di “fare siti”. […]

“Mi spieghi esattamente che lavoro fai, perché io ancora non credo di averlo capito?”.
“Aiuto le aziende ad utilizzare Internet per raggiungere i propri obiettivi”.
“Mmm…”
“Ok. Faccio siti”.

La scenetta descritta qui sopra è affare quotidiano per chi lavora sul o grazie al Web e magari non si occupa nello specifico di “fare siti”. È d’altronde fisiologico che un settore talmente dinamico da evolversi praticamente ogni giorno sia per antonomasia molto difficile da classificare secondo tradizionali canoni statici. Il fatto poi che la Rete sia in sostanza una perfetta convergenza di “codici” informatici ed umanistici rende il tutto ancora più complesso.

Eppure c’è chi uno sforzo in questo senso, anche nel nostro paese, lo ha fatto.

IWA Italy, associazione internazionale di professionisti del Web riconosciuta come realtà di standardizzazione dal CEN, attraverso il progetto Web Skills Profiles si è posta lo scopo esplicito di “supportare il corretto riconoscimento delle professionalità elencate come “profili professionali per il Web” da parte degli attori che agiscono sul mercato nel settore degli skill ICT” ed ha prodotto una lista di 26 profili professionali operanti sul Web.

Nella lista, oltre i più “classici” mestieri di Community Manager, Content Specialist, UX Designer e Search Enginge Expert, spiccano nuove professioni legate a fenomeni emergenti quali i Big Data (il Data Scientist) e la realtà aumentata (Augmented Reality Expert).

Il grande problema che emerge da una classificazione di questo tipo “orientata agli strumenti” è la sua concreta applicabilità: in realtà molti dei professionisti del Web si troverebbero di fatto a fare 4 o 5 dei mestieri in lista alla volta. E nello stesso tempo qualcuno comunque resterebbe al di fuori di ogni classificazione.

Il rompicapo ha provato a risolverlo un altro professionista italiano del Web, Giulio Xhaet, che ha approcciato la questione lasciandosi alle spalle gli strumenti e concentrandosi su un orientamento per talenti ed attitudini.

Tale approccio lo ha condotto alla definizione di otto “nuove” professioni del Web, tutte classificate secondo sulla base di 4 categorie attitudinali: capacità di lavorare in real-time, visione integrata online-offline, capacità di creare progetti e strategie che portino gli utenti a co-creare contenuti su piattaforme multicanale, e di gestire l’overload costante di informazioni e contenuti filtrandoli e curandoli.

Ognuno dei professionisti eccelle poi grazie ad uno o più talenti specifici che lo vanno a categorizzare all’interno di una delle 8 professioni (tra cui si mescolano i più “classici” Community Manager, Search Engine Optimizer e Web Analyst, ed i “nuovi” E-Reputation Manager e Transmedia Web Editor).

Anche l’ottimo progetto di Xhaet risulta di difficile applicazione pratica all’interno di un panorama così poco omogeneo come quello del Web oggi.

Si pensi infatti a come le dimensioni dell’azienda e quindi il numero di dipendenti e la possibilità di avere una divisione interna che si occupi di Web piuttosto che fare ricorso all’outsourcing, possano cambiare le carte in tavola: in una piccola o piccolissima azienda c’è magari una unica figura, che sostenuta a livello consulenziale – quando va bene – dall’esterno fa tutto, mentre in una grande azienda si hanno competenze interne specifiche (il Community Manager è diverso dal Web Analyst che è diverso dal Digital Strategist, ecc.).

Da questo punto di vista, a mio parere, si può pensare di procedere ad una macro suddivisione che identifichi la sfera primaria di competenza del professionista in questione (disegno, scrittura, programmazione, gestione) per poi scendere nel dettaglio delle mansioni, tenendo sempre presente che l’aumento di specificità del lavoro sarà spesso direttamente proporzionale all’aumentare delle dimensioni del’azienda.

 

professioni del web

Più l’azienda è grande più ci sarà la tendenza ad andare verso la periferia dello schema proposto, evitando sovrapposizione di mansioni, e viceversa, più l’azienda è piccola più le professioni tenderanno a sovrapporsi in maniera fluida e la medesima risorsa umana dividerà il suo tempo nelle diverse specifiche professionalità che dovrà riuscire a ricoprire simultaneamente.

Da quanto affrontato nell’articolo si evincono chiaramente le difficoltà che stanno alla base di una classificazione statica delle professioni del Web. Per questo motivo, un ipotetico albo, paventato più o meno seriamente anche dalle istituzioni e da qualche associazione di categoria, non sembra poter essere una soluzione proponibile.

Eppure resta l’enorme necessità di fare cultura rispetto ad una serie di professioni che stanno incidendo in misura sempre maggiore sull’economia del paese. Non tanto per il gusto di classificare o per costruire barriere professionali all’ingresso (quelli bravi verranno comunque fuori mentre i furbetti finiranno comunque per fare poca strada!), quanto per la necessità di favorire la fisiologica creazione di “anticorpi” che un settore così giovane e sempre più appetibile deve costruirsi per rendersi meno vulnerabile. E finalmente… normalizzarsi.

Ché d’altronde l’impresa eccezionale è essere normale.

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