Scuola e lavoro sommerso, oggi l’insegnante è più impiegato che docente

Altro che pomeriggi liberi e tre mesi di ferie: il carico di lavoro degli insegnanti è ben più gravoso – e non retribuito. Le testimonianze dei docenti, di Marcello Pacifico (presidente ANIEF) e Giuseppe Raiola (presidente SGB Scuola).

Gli insegnanti sono dei privilegiati che lavorano solo 18 ore a settimana e hanno tre mesi di vacanza. Dietro il luogo comune ci sono le vite di 684.000 docenti, che dalla scuola dell’infanzia fino alle superiori prendono per mano le nuove generazioni per traghettarle verso l’età adulta.

In Italia, secondo il contratto nazionale di lavoro, un docente lavora 945 ore l’anno nella scuola dell’infanzia, 744 ore annuali alla primaria e 608 ore alla secondaria di primo e secondo grado, per 45 settimane. Le attività extra didattiche dei docenti regolamentate dal contratto riguardano le 40 ore previste per le attività  collegiali e le altre 40 per la partecipazione ai consigli di classe e attività collegate.

Un confronto con gli altri Paesi europei rivela lievi differenze nel carico di lavoro degli insegnanti, tra l’Italia e gli altri Stati.

In Francia si lavora 900 ore alla scuola dell’infanzia e alla primaria, e 720 alla secondaria di primo e secondo grado; numeri quasi in linea con quelli dell’Italia. Così come quelli dell’Olanda: 940 ore all’infanzia e alla primaria, 720 ore alla secondaria di primo e secondo grado. In Germania si lavora di più solo nella scuola dell’infanzia: 1.755 ore, 691 alla primaria e 641 alla secondaria di primo grado; 610 ore alle superiori. Solo in Grecia gli insegnanti sono impegnati peri meno ore che in Italia: 675 ore alla scuola dell’infanzia e primaria, 590 alla secondaria di primo o secondo grado. Negli Stati Uniti gli insegnanti lavorano molto di più che in Europa: 1.011 ore alla scuola dell’infanzia, 1.004 alla scuola primaria, 966 alla secondaria inferiore e superiore.

Sono questi i numeri contenuti nel rapporto OCSE sull’istruzione uscito a inizio ottobre. In realtà, secondo un recente studio dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, le ore di lavoro medie del docente italiano ammontano a 36 ore settimanali per chi ha un contratto da 18 ore alla secondaria inferiore e superiore. Il lavoro sommerso secondo questo studio, che ha coinvolto 166 insegnanti scelti come campione rappresentativo in diverse zone d’Italia, è il doppio di quello riconosciuto dal contratto. Alle stesse conclusioni giunge uno studio del Trentino-Alto Adige di due anni fa, che ha coinvolto oltre 5.000 docenti: l’orario medio di lavoro è di 36 ore, in linea con quello del pubblico impiego. Ore non riconosciute, che in busta paga dovrebbero valere 17 euro e 50 l’ora, per un guadagno aggiuntivo di 315 euro settimanali.

Sotto la superficie del pregiudizio ci sono le vite delle persone.

Tutte le toppe della scuola: “Altro che pomeriggi liberi, svolgiamo almeno il doppio delle ore”

“Lavoro in una scuola primaria in provincia di Bologna”, racconta Silvia, giovane maestra di area scientifica. “Tutte le settimane abbiamo una riunione il lunedì pomeriggio che dovrebbe comprendere due ore di programmazione, ma di fatto restiamo a scuola fino alle sette di sera, e anche il giovedì di solito c’è un’altra riunione. A casa prepariamo il materiale per le lezioni e facciamo la preparazione delle verifiche e la correzione dei compiti. Le ore libere che restano sono davvero poche. Il lunedì, di fatto, durante la programmazione si fa tutt’altro: si ricevono i genitori, si preparano i documenti necessari all’anno scolastico. Dei due pomeriggi liberi che dovrebbero rimanere, in realtà, il tempo viene sottratto dalle altre attività didattiche”.

“Anche se lavoriamo su cinque giorni, persino le ore di contemporaneità con l’altro docente, che io svolgo in un giorno settimanale in cui sono a scuola per sei ore che dovrebbero servire per il potenziamento o per dedicarsi agli alunni con difficoltà, sono utilizzate di fatto per coprire gli insegnanti assenti. I supplenti sono l’ultima scelta che si fa, è molto difficile che siano chiamati.”

Quello che accade in Emilia-Romagna accade in tantissime scuole d’Italia, conferma Silvia: “Abbiamo spalmato le ore di contemporaneità con la presenza simultanea di due insegnanti su una intera settimana, in modo che ciascuno riesca a coprire uno o due insegnanti che mancano. Di fatto queste ore, che dovrebbero essere dedicate agli alunni, sono utilizzate per fare supplenze”.

“Durante la programmazione, che sarebbe funzionale allo svolgimento dell’attività didattica è sempre la burocrazia a prendere il sopravvento. Un insegnante deve svolgere questo ruolo di documentazione per i propri alunni, la preparazione dei PEI e dei PDP (Piano Educativo Individualizzato e Piano Didattico Personalizzato per gli alunni con difficoltà di apprendimento, N.d.R.), se referente del progetto deve preparare le schede di progetto, anche le schede per gli esperti che vengono a scuola. Un aspetto – spiega la maestra – che si ripercuote anche sul sostegno: ad esempio, per un bambino certificato che ha avuto un cambio di diversi insegnanti in cinque anni, per il PEI si fa un lavoro collegiale, perché noi insegnanti lo conosciamo meglio della nuova docente di sostegno. L’attenzione richiesta dall’insegnamento con i bambini più piccoli, poi, è altissima. Mentre siamo con loro non possiamo preparare materiale o correggere i compiti, l’attenzione deve essere massima per la vigilanza.”

“Spero che ci sia un maggiore riconoscimento per questo lavoro sommerso. Di fatto svolgiamo almeno il doppio delle ore, che non sono riconosciute nemmeno a livello formale. Siamo lasciate sole, servirebbero più persone sul sostegno; a volte ci sono casi con bambini certificati gravi e i supplenti per il sostegno non arrivano oppure non sono coperti per tutte le ore, quindi questi bambini non ricevono sufficiente attenzione.”

Per gli insegnanti più ruoli non vuol dire più soldi

Il quadro si complica ulteriormente per chi si trova a fare il coordinatore di classe, figura che alle elementari non è retribuita. Come testimonia Elisabetta, un passato da maestra elementare, ora approdata alle medie come docente di lettere.

“Ho avuto il ruolo di coordinatrice di classe alle elementari, quando c’era l’assemblea di classe. È un lavoro non pagato. Nella primaria la coordinatrice serve per avere un contatto maggiore con i genitori: se ci sono lamentele le riporta a tutto il corpo docente, se c’è qualcosa che deve essere cambiato lo fa presente, partecipa alle riunioni d’istituto e riferisce agli altri docenti.”

“Alle medie fare la coordinatrice di classe rappresenta un lavoro più gravoso: le assemblee avvengono molto più spesso dalle elementari, con i professori e il dirigente scolastico, la coordinatrice effettua la presentazione della classe, invia le mail e le comunicazioni agli altri docenti, deve fare il verbale di ogni assemblea; se ci sono problematiche viene chiamata in causa. Alle medie però ha un ruolo remunerato, anche se con cifre e abbastanza esigue.”

“Sull’andamento della classe, se ci sono problematiche, riferisce agli altri insegnanti. Ad esempio, in una delle mie classi ci sono quattro ragazzi con PDP e due PEI: il coordinatore, che appunto ha spiegato tutte le problematiche ai nuovi insegnanti, ha anche il ruolo di mediatore e contatto con i genitori per l’organizzazione della gita e delle uscite didattiche, quindi un lavoro ulteriore rispetto a quello delle attività funzionali all’insegnamento”.

La retribuzione di un coordinatore è di circa 17,50 euro l’ora per un massimo di 25 ore annue.

Marcello Pacifico, presidente ANIEF: “Il monte ore di lavoro degli insegnanti è sconosciuto”

Di questo problema non c’è piena consapevolezza nell’opinione pubblica. Lo conferma Marcello Pacifico, presidente ANIEF (Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori).

“Per prima cosa si deve sfatare nell’opinione pubblica il fatto che stipendi degli insegnanti comprendono tutto ciò che svolgono, cioè una serie di mansioni che in realtà non sono conteggiate nel compenso finale, che riguarda solo il presunto orario lavorativo di 18 e 24 ore a seconda del livello di scuola; altrimenti ci sarebbero stipendi esagerati. Esiste un monte ore di lavoro sconosciuto, gli insegnanti non sono valorizzati dal punto di vista degli stipendi. Anche dopo quarant’anni chi lavora come docente non ha una retribuzione allineata all’inflazione. Per queste mansioni accessorie non c’è nessun ristoro, nemmeno in sede di contrattazione d’istituto. Nel cosiddetto salario accessorio, alle funzioni di coordinamento sono riconosciute risorse esigue. L’insegnante svolge una serie di attività non corrispondenti al lavoro effettivamente retribuito”.

Pacifico propone che siano stanziate risorse ad hoc: “Prima di tutto, in sede di bilancio nazionale, anziché premiare un insegnante su otto per la sua formazione – come prevede l’attuazione del PNRR – si dovrebbero usare queste risorse per acclarare le attività funzionali all’insegnamento, al di là della lezione frontale. Bisogna affermare, in sede di contrattazione, che per valorizzare il lavoro di tutti gli insegnanti chi ha responsabilità diverse e maggiori va retribuito con risorse apposite, che vanno inserite nella legge di bilancio; risorse ad hoc per la valorizzazione delle attività funzionali all’insegnamento”.

“Prima di tutto vanno allineati gli stipendi all’inflazione: spesso un insegnante svolge attività sommersa per un tempo pari o superiore a quella in classe, quindi deve essere riconosciuto negli stipendi. Ci deve essere una presa di posizione, del riconoscimento del ruolo del docente. Ora abbiamo il ministero dell’Istruzione e del merito: speriamo che chi lavora nella scuola meriti l’attenzione di chi ci governa, riguardo al riconoscimento della funzione docente”.

Giuseppe Raiola, presidente SGB Scuola: “Troppi incarichi aggiuntivi. La categoria degli insegnanti si sta passivizzando”

Ha le idee chiare Giuseppe Raiola, presidente nazionale del sindacato SGB (Sindacato Generale di Base) Scuola:

“Siamo impegnati da anni in una serie di campagne di sensibilizzazione per invitare i colleghi a non accettare incarichi aggiuntivi. È stato scaricato tutto sugli insegnanti, c’è una burocratizzazione della figura del docente; il tempo libero dovrebbe essere ritagliato per le attività didattiche. Inoltre c’è stato un taglio delle segreterie a partire da Gelmini e Tremonti, nel 2008 sono stati tagliati 8 miliardi alla scuola: le segreterie hanno subito migliaia di tagli di personale, da questo consegue l’aumento della burocrazia.”

“L’insegnante è più un impiegato che un docente. Non si riescono a contare le ore effettive di servizio svolte da un docente, non esiste uno studio univoco sul territorio nazionale. L’orario di lavoro svolto non corrisponde all’orario di lezione: ad esempio negli istituti superiori professionali si svolgono numerosi consigli di classe per provvedimenti disciplinari. Abbiamo notizie di colleghi che stanno a scuola tutti i pomeriggi. Anche per il riconoscimento degli alunni con bisogni educativi speciali e disturbi specifici di apprendimento senza la certificazione della legge 104, non ci sono funzioni di sistema, tutto ricade sui consigli di classe.”

Raiola denuncia una fuga degli insegnanti dal tempo pieno: “Nella scuola c’è un boom di richieste di part-time, eppure si tratta di un orario leggermente inferiore rispetto ad altre posizioni della pubblica amministrazione, con lo stipendio basso perché non si riesce a conciliare con la vita privata. Un altro obbligo riguarda l’INVALSI (prove per la valutazione del sistema educativo e di formazione, N.d.R.): fino a quindici anni fa non c’era, è diventato un requisito per prendere parte all’esame di maturità ed è l’ennesima cosa da seguire con la produzione di altra documentazione. Lo stesso vale per il PTCO (Percorsi Trasversali per le Competenze e l’Orientamento, N.d.R.), l’ex alternanza scuola lavoro. L’unica cosa di cui ha parlato il responsabile dell’istruzione di Fratelli d’Italia, in un’intervista, è di abolire i test INVALSI”.

“In occasione delle prove INVALSI – racconta Raiola – alla primaria c’è una forte adesione allo sciopero per la correzione e la somministrazione delle prove. I docenti non ne possono più perché si svolge tutto in formato cartaceo e porta via tempo, oltre al fatto di somministrare prove di valutazione ai bambini per schedarli in una fase prematura. La massiccia adesione allo sciopero la dice lunga sul malessere che c’è nella scuola.”

Raiola sottolinea che certe mansioni impiegatizie non sono attinenti alla funzione del docente: “Tutti questi adempimenti formali, oltre a svilire e demansionare la professione docente, assorbono energia e fatica fisica. Un altro aspetto riguarda i dirigenti scolastici: ci sono nuovi dirigenti che hanno interiorizzato questo nuovo corso e aggiungono adempimenti aggiuntivi in anticipo sulla normativa ancora da approvare. Siamo stati più volte costretti a fare ricorsi e richieste di chiarimenti. Non c’è una mobilitazione forte, siamo in una fase di passivizzazione della categoria, ma quando la gente scende in piazza qualcosa si riesce a fermare”.

“In Italia ci sono oltre 8.000 scuole e le condizioni sono diverse in varie zone d’Italia”, specifica Raiola. “In Emilia-Romagna c’è il rapporto del numero di alunni per classe rispetto agli insegnanti più alto d’Italia, la media è di 27. Al Sud ci sono classi meno numerose, ma c’è il problema della dispersione scolastica. Ci vorrebbero maggiori investimenti e semplificazione delle procedure. La sempre maggiore burocrazia è un cavillo per controllare il mondo scolastico ed evitare il rischio di dissenso”.

“Se le ore di lavoro sommerso a scuola fossero riconosciute, la retribuzione dei docenti raddoppierebbe”

In futuro ci potrebbe essere la tendenza ad agganciare ai risultati delle prove INVALSI lo stipendio dei docenti, aggiunge il sindacalista: “Si registra la tendenza ad agganciare la retribuzione del docente alla prova INVALSI, in modo da controllare il docente per valutarne il merito. Si fa un uso strumentale delle parole di Don Milani, è in atto un processo di aziendalizzazione della scuola che viene fatto passare per scuola aperta, inclusiva e democratica”.

“È difficile quantificare il lavoro sommerso a scuola. Il contratto collettivo nazionale di lavoro prevede 17,50 € per ogni ora di lavoro in più non relativo all’insegnamento e 35 € per le ore d’insegnamento. Se le ore di lavoro sommerso fossero riconosciute la retribuzione dei docenti sarebbe raddoppiata, quindi c’è tutto l’interesse a tenerlo nascosto. Da trent’anni i giornali come un disco rotto ribadiscono che in estate i docenti non lavorano. C’è il rifiuto di approfondire e porsi il problema, scavare in profondità. L’articolo 28 del contratto 2007 per la funzione docente prevede adempimenti obbligatori che però non sono quantificati. Ed è grave prevedere obblighi senza quantificazione temporale.”

“È giusto effettuare tutte le attività come la preparazione delle lezioni, la correzione dei compiti e delle verifiche, ma poi il legislatore ha aggiunto altri obblighi come il PTCO o l’INVALSI, e anche la formazione docenti è un aggravio piuttosto che una risorsa. Solo una parte dell’orario di lavoro del docente è palese, una scelta contrattuale avallata dai sindacati, che sono responsabili di questo lavoro sommerso perché hanno accettato il contratto collettivo nazionale. L’articolo 36 della costituzione dice che non si deve lavorare gratis, ma è un discorso che fa comodo a tutti: il lavoro sommerso giustifica il costo basso degli stipendi e il disimpegno verso la professione docente”.

Leggi gli altri articoli a tema Scuola.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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Photo credits: lexpress.fr

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