Trovare lavoro a Bologna non è questione di fede

L’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi: “Con il progetto ‘Insieme per il lavoro’ curia e comune reinseriscono nel lavoro persone fragili partendo dai loro bisogni”. L’assessore al lavoro del Comune di Bologna Marco Lombardo: “Non servono altri soldi pubblici: va ribaltata la proporzione tra politiche passive e attive del lavoro”.

Che cosa pensa delle politiche legate al lavoro in quest’ultimo periodo?

“Le sfide principali oggi sono due. La prima riguarda i posti di lavoro che si contraggono insieme a tutte quelle aziende che non hanno la possibilità di sopravvivere con i ristori. La seconda è la stabilità e l’uscita dal precariato, che è un problema che ci portiamo avanti da troppo tempo. Su questo aspetto investe ‘Insieme per il lavoro’, che non mira a creare stage e tirocini, ma prova a dare soluzioni stabili.”

La domanda è politica. La risposta è religiosa.

Perché queste parole sono di un uomo di chiesa: le ha pronunciate l’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, che da tempo si occupa dei temi del lavoro. Dopo che la curia della città ha ereditato la Faac (importantissima azienda bolognese che fornisce soluzioni per l’automazione e il controllo degli accessi), l’arcivescovo Zuppi ha deciso di destinare una parte degli utili dell’azienda a un progetto che servisse a dare lavoro ai penultimi, a quelli che rischiano di scivolare nella povertà.

“Oggi dobbiamo temere non solo la povertà, ma l’impoverimento ulteriore, perché anche quelli che ieri stavano al primo e al secondo piano ora si ritrovano per terra, e lì bisogna intervenire. Servono bonus reali agli imprenditori in modo che possano ricreare lavoro e alimentare la vera ricostruzione. Per uscire dall’opportunismo e andare verso la costruzione duratura, la concertazione deve diventare metodo, lo sforzo deve essere collettivo.”

E la strada solida l’arcivescovo Zuppi (che a Bologna tutti chiamano “Don Matteo” per il suo modo di stare vicino alle persone) sembra averla trovata, perché il progetto “Insieme per il lavoro”, partito dalla curia nel 2017 coinvolgendo il Comune di Bologna, la città metropolitana, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni che raggruppano le attività di impresa (Confindustria, CNA e alleanza delle cooperative), oggi sta ottenendo ottimi risultati.

“Insieme per il lavoro” individua il target delle persone fragili (ad esempio chi ha una certa età e anche molta esperienza ma è fuori dal mercato da molto tempo, o anche i giovani che non riescono a fare il primo passo nel mondo del lavoro) e partendo dai bisogni specifici delle persone e delle imprese avvia inserimenti lavorativi.

“Insieme per il lavoro”, un progetto di reinserimento lavorativo locale che funziona meglio di quelli nazionali

Il dato più eclatante me lo fornisce l’assessore al lavoro del Comune di Bologna, Marco Lombardo.

“Oggi il progetto ha una percentuale di successo del 30%, con un costo medio di 6.000 € per inserimento lavorativo; a livello nazionale è più difficile fare una stima precisa sui dati, ma è verosimile pensare che il tasso di successo nei centri per l’impiego in Italia sia inferiore al 3% a fronte di un costo medio per inserimento lavorativo superiore ai 33.000 €.”

Ovviamente il campione preso in considerazione da “Insieme per il lavoro” è molto più piccolo e i dati a livello nazionale sono difficili da verificare, perché le varie istituzioni preposte hanno risposto in maniera vaga alle mie richieste di verifica. L’Anpal mi ha inviato un link a un manuale composto da centinaia di pagine, dicendo che probabilmente i dati che cercavo erano lì dentro. L’Istat ha risposto che non avevano informazioni sulle persone seguite dai centri per l’impiego, e l’Agenzia Lavoro Emilia-Romagna mi ha scritto “non ci sono le condizioni per evadere la sua richiesta”.

Quindi, sulla base dei dati che riusciamo a valutare in questo momento, lo scarto è evidentissimo e dovrebbe dare lo spunto per ripensare le politiche attive a livello nazionale.

Il metodo di “Insieme per il lavoro” ha creato occupazione anche nella pandemia

“Bisogna partire dalla consapevolezza – prosegue l’assessore Lombardo – che il lavoro non viene creato dal pubblico; ma il pubblico può, attraverso la collaborazione con le imprese e le organizzazioni sindacali, favorire gli inserimenti lavorativi sul territorio, partendo dai bisogni delle imprese e dai bisogni delle persone. Può sembrare banale, ma è così.”

“In Italia spendiamo 19 miliardi di euro per le politiche passive e 2 miliardi per le politiche attive sul lavoro. Dobbiamo ribaltare la proporzione. Non servono altri soldi pubblici, semmai c’è bisogno di risparmiare, rivoluzionando il metodo delle politiche attive per il lavoro. Dal mio punto di vista è il reddito da lavoro a rendere le persone libere e indipendenti, non il reddito di cittadinanza. Le persone che si rivolgono a ‘Insieme per il lavoro’ chiedono di lavorare, di liberare le loro potenzialità, di avere un posto dignitoso nella società, prima ancora che avere un reddito.”

L’assessore non mette in dubbio il fatto che sia giusto che ci siano sostegni al reddito, nel momento in cui le persone non hanno il lavoro, ma il problema del reddito di cittadinanza è il passaggio dal “dare” un contributo a “trovare” un lavoro.

“Se non coinvolgi le imprese, se non fai una formazione mirata al collocamento, non darai mai la possibilità reale alle persone di reinserirsi”, spiega Lombardo. “Insieme per il lavoro” ha infatti lavorato sul coinvolgimento diretto delle imprese del territorio (più di cento nel board), facendo una formazione mirata ai posti di lavoro disponibili in quel momento, e il risultato è che anche nell’anno della pandemia gli inserimenti sono aumentati.

“L’effetto della pandemia – continua Lombardo – su ‘Insieme per il lavoro’ si è visto più che altro nell’irregolarità del flusso delle domande, non nei risultati. Il flusso è stato discontinuo (da marzo ad agosto il numero di domande è dimezzato), ma a conti fatti nel 2020 abbiamo avuto 354 inserimenti lavorativi contro i 313 del 2019. Bisogna dire che questi risultati sono anche il frutto di quello che è stato fatto negli anni precedenti, quindi il vero banco di prova sarà il 2021, ma a prescindere da questo il sistema produttivo del territorio si sta dimostrando responsabile nei confronti di questi profili fragili. Le imprese hanno colto l’utilità del progetto: bisogna andare oltre il tema della responsabilità sociale, per costruire una filiera del valore”.

“Insieme per il lavoro”, prevenire è meglio che curare: assistenza anche a chi rischia di perdere l’occupazione

Il comune e la città metropolitana di Bologna in quattro anni hanno investito 2,3 milioni. L’Arcidiocesi ne ha investiti 3.3. Il totale degli investimenti (circa 5,5 milioni di euro) ha prodotto 1.000 inserimenti lavorativi. E l’inserimento poche volte si è tradotto in stage o tirocini, perché il progetto si focalizza soprattutto sull’assunzione (il 60% a tempo determinato, il 14% a tempo indeterminato). Ma queste non sono le uniche modalità di collocamento, perché il programma lavora anche sull’auto-impiego.

A “Insieme per il lavoro” si può presentare la propria idea che, se giudicata valida, viene strutturata in un business plan e a quel punto viene erogato un credito sociale per realizzarla. Il contributo non è un prestito bancario, ma un credito che deve essere restituito solo nel momento in cui l’attività è aperta e produce utili. “Insieme per il lavoro” fa insomma da garante nei confronti dei richiedenti perché ottengano l’erogazione del credito. Il progetto ha adottato nel 2019 un bilancio di genere, e con questo metodo di lavoro nel 2020 le donne inserite sono state più degli uomini, il 54%. Anche questo è un risultato in controtendenza.

“Inoltre – prosegue Lombardo – nel nuovo protocollo firmato poche settimane fa abbiamo inserito un nuovo obiettivo per far fronte all’emergenza sociale causata dalla pandemia: oltre alle persone fragili entreranno nel target di ‘Insieme per il lavoro’ anche le persone che hanno perso o rischiano di perdere il posto di lavoro a causa della pandemia. Perché dover aspettare a intervenire quando ormai il danno è fatto? Bisogna agire prima, senza aspettare la scadenza dei termini del divieto di licenziamento o della CIG COVID-19.”

“Per questo il Comune di Bologna ha inserito una risorsa straordinaria di un milione di euro, all’interno del Fondo Sociale di Comunità. Faremo due call ad hoc, chiedendo a chi si occupa di inserimenti lavorativi di focalizzarsi sull’occupazione femminile (tutti sappiamo che la maggior parte delle persone che hanno perso e che rischiano di perdere il posto di lavoro, a causa della pandemia, sono donne) e sul lavoro digitale, inteso come digitalizzazione del processo di inserimento e come nuovi posti di lavoro creati da piattaforme digitali che rispettano i diritti dei lavoratori. La prima call è uscita la scorsa settimana e la seconda uscirà entro fine aprile”.

Formare oggi per lavorare domani: “Non lasciare indietro nessuno produce valore per tutti”

Inoltre il comune ha già investito 250.000 € sulla piattaforma digitale di retraining dei lavoratori che si chiama “Study in Action”, promossa da Confindustria, per consentire l’accesso alla formazione digitale, per le posizioni che già oggi risultano scoperte, a tutti i beneficiari di “Insieme per il lavoro”. 

“In questo modo l’Academy fatta dalla grande impresa – prosegue Lombardo – può essere utilizzata anche dalla piccola impresa, che è la struttura produttiva portante del nostro territorio. Praticamente il comune ha comprato la possibilità di accedere alla formazione digitale permanente, sia per le competenze tecniche in senso stretto che per le soft skill, anche ai beneficiari di ‘Insieme per il lavoro’, in modo da consentire l’erogazione di corsi digitali gratuiti a 18.000 persone in un anno, per tre anni (quindi a 54.000 persone in totale). Un accesso alla formazione digitale di qualità, al prezzo di una pizza da Altero”.

In effetti, questo è il momento di fare formazione: prima che si perdano i posti di lavoro. Dopo, non solo si perderebbe tempo, ma costerebbe molto di più. L’assessore è chiaro su questo punto: “Questo è il momento di dare risposte, più che fare promesse. Che in questo momento storico molto difficile la preoccupazione più grande dopo la salute sia il lavoro, lo abbiamo capito. È pur vero che non in tutti i territori si può replicare lo stesso modello: le iniziative della curia, delle imprese, il livello di responsabilità e la volontà di cooperare non sono le stesse in tutte regioni d’Italia. Però attenzione che questo non diventi un alibi; se questo progetto (metodo) funziona qui, potrebbe funzionare anche altrove. La Regione Emilia-Romagna l’ha capito e ha aderito al progetto. Spero lo capiscano anche altre regioni”.

“Bisogna rivoluzionare il modello delle politiche attive e partire dalle offerte di lavoro; poi ognuno troverà la sua strada, ma le persone fragili non sono scarti e non vanno lasciate alla mercé del mercato, perché il rischio è che ne vengano definitivamente escluse. Se porti il sistema produttivo a capire che non lasciare indietro nessuno produce valore per tutti, stai già costruendo il modello.”

Anche l’arcivescovo Zuppi ne è convinto, e in conclusione della nostra chiacchierata ci tiene a specificare che “i progetti che funzionano hanno sempre una componente strettamente locale, ma il locale e l’universale si arricchiscono a vicenda. Il laboratorio bolognese ha una tradizione importante che è la volontà di lavorare insieme e di integrare componenti diverse. La bellezza del progetto è che davvero è insieme: la curia, i sindacati, la Confindustria, l’artigianato, il comune e la regione stanno cercando insieme di dotarsi di strumenti. Nel locale poi si ritrova il dialetto indispensabile per capirsi”.

Questa crisi avrà un’ampiezza storica, e forse il peggio deve ancora arrivare, ma ci sono già state altre crisi economiche in questo secolo e ci sono stati altri interventi importanti della chiesa a favore del lavoro. Faremo tesoro di queste esperienze nei territori che ne hanno bisogno perché, come dice Papa Francesco, ‘peggio ancora della pandemia sarebbe sciupare le possibilità e le occasioni che ci vengono offerte’. Il lavoro è una delle chiavi fondamentali per guardare al futuro, ed è una sfida che non possiamo permetterci di perdere. Dobbiamo fare il possibile e l’impossibile, ma insieme se ne esce, di questo sono sicuro”.

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