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Minori e social, se i genitori violano la dignità dei figli. 10-13 anni l’età più a rischio
Condividere con superficialità le foto dei figli minori è un pericolo e può costituire reato. Intervistiamo l’esperto della Polizia Postale Rocco Nardulli: “Postare certe foto è follia, la rete non dimentica”.
Se foste su un palco, di fronte a un pubblico di migliaia di persone, scendereste a distribuire la foto del volto dei vostri bambini – mentre dormono, sono in costume al mare, a pochi mesi di vita – a ogni singolo estraneo di questa estesa platea? La risposta sarebbe probabilmente orientata più sul “no”, eppure la realtà che si affaccia dalla maggior parte di telefonini e computer ci testimonia – purtroppo – tanti “sì”.
La divulgazione delle foto dei bambini sui social è senza dubbio un tema scomodo perché tocca corde incandescenti e spesso date per scontate. L’argomento da un lato infastidisce quegli adulti che, privi di adeguata consapevolezza sui possibili e gravi rischi come pedopornografia e cyberbullismo, divulgano senza remore foto e video con protagonisti figli e nipoti – intendiamo sempre con volto visibile e quindi identità riconoscibile – sui social tra cui Facebook, Instagram, WhatsApp, YouTube, LinkedIn e via dicendo.
A maggio 2022 è stato pubblicato il dossier L’abuso sessuale online in danno di minori a cura del Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online (C.N.C.P.O.) del Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma, con la collaborazione di Save the Children. Il dato inquietante è che la fascia di età più colpita è quella preadolescenziale, con un’età compresa tra i 10 e i 13 anni, registrando nel 2021 306 vittime di adescamento online, quasi il 60% di tutti i 531 minori approcciati sul web da adescatori online. Ricordiamo che a questa età non sarebbe nemmeno consentito l’accesso ai social network.
Il tema coinvolge non da ultimo l’aspetto aberrante della mercificazione dell’immagine dei bambini e delle bambine, sfruttata per ottenere consensi e anche vendere un prodotto senza preoccuparsi del fatto che un bambino sia una persona da rispettare.
Un fenomeno, questo, che cozza con la tutela dei diritti dei e delle minorenni, non da ultimo il rispetto della loro dignità, e che riguarda non solo il fronte dei cosiddetti e delle cosiddette influencer, ma anche quello di persone che non fanno parte di quest’ambito e che utilizzano l’immagine dei “propri” bambini per calamitare l’attenzione e ottenere consensi, arrivando al cosiddetto sharenting, ossia la documentazione da parte dei genitori della vita dei figli sui social.
Ci addentriamo nel tema intercettando alcuni nodi centrali, confrontandoci anche con un esperto della Polizia Postale.
Pubblicazione di foto dei minori, “sempre un rischio”. La sentenza del Tribunale di Mantova
Esisterebbero modalità di condivisione delle foto che tutelano i bambini e la loro riservatezza, evitando ad esempio di mostrarne il volto o coprendolo e tralasciando tutte le situazioni che non garantiscono la privacy, ma ci sono persone che su questo argomento continuano a fare orecchie da mercante.
“Mettere le foto in rete è un rischio”: risale al 2016 l’appello della Polizia Postale pubblicato sulla pagina Una vita da social e indirizzato ai genitori che con leggerezza pubblicano sui social foto dei propri figli minorenni se non bambini, persino molto piccoli. In quell’anno si diffondeva la “sfida delle mamme”, stile catena di Sant’Antonio, nel postare le foto dei propri bambini come segno di orgoglio.
Il tema è nel frattempo entrato a passo spedito anche nelle aule di tribunale. Un caso emblematico è quello che risale al 2017 e che coinvolge il Tribunale di Mantova, che ha puntato in maniera incisiva i riflettori sull’argomento della reputazione digitale dei minorenni arrivando a stabilire il divieto di pubblicazione sui social di immagini dei minori anche se entrambi i genitori sono d’accordo nel farlo. Le coppie che si dovessero affidare al tribunale in questione per affrontare l’affidamento dei figli dovranno infatti sottoscrivere un impegno che implica il non pubblicare le loro foto sui social network, rimuovendo quelle eventualmente già pubblicate. Tra i riferimenti normativi richiamati dal caso c’è anche la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia nel 1991, oltre alla questione della riservatezza.
Riportiamo la nota del giudice: “L’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini”. Viene anche citato il rischio di “materiale pedopornografico da far circolare tra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia”.
Rocco Nardulli, vicequestore della Polizia di Stato: “Diverse norme tutelano i minori dalla pubblicazione di foto. Responsabilità sempre dei genitori”
In particolare, sul tema della pubblicazione di foto di minorenni sui social ci confrontiamo con Rocco Nardulli, vicequestore della Polizia di Stato e dirigente del settore prevenzione generale e reati contro la persona del compartimento Polizia Postale delle comunicazioni della Lombardia.
“Partirò da ciò che ho potuto osservare in questi sette anni di lavoro nell’ambito”, premette. E sottolinea: “Innanzitutto va ricordato che ognuno di noi, adulti compresi, può contare sulla tutela, da parte della legge, della propria immagine. Nel nostro sistema giuridico ci sono due norme che tutelano l’immagine e la riservatezza: l’articolo 10 del Codice civile e la legge 633/1941 sul diritto d’autore (l’articolo di riferimento è il 96), che precede internet di svariati decenni. In questo caso è necessario il consenso della persona ritratta in foto o ripresa in video, altrimenti non può essere divulgata o messa in commercio. Se queste norme vengono violate si può ricorrere al giudice e richiedere il risarcimento del danno”.
Focalizzandoci sull’ambito minorenni, Nardulli evidenzia: “Ci sono svariate norme che tutelano i minori e l’infanzia in particolare, tra cui convenzioni internazionali come quella di New York sui diritti del fanciullo e quella di Nizza del 2000. Non dimentichiamo il GDPR europeo, che afferma che i minori meritano una protezione specifica e forzata sui dati personali proprio perché loro non possono essere consapevoli dei rischi ai quali vanno incontro. È così stato raccomandato agli Stati membri di individuare nei 16 anni l’età in cui il ragazzo o la ragazza può prestare il consenso digitale per pubblicazione della propria immagine, o pubblicarla lui o lei direttamente. L’Italia ha deciso che questa età dovesse essere 14 anni, diventata il grande spartiacque per vari aspetti”.
“Il genitore ha la piena responsabilità di ciò che pubblica”, prosegue Nardulli. “Cito un esempio personale: se pubblico una foto dei miei figli che muovono i primi passi devo essere consapevole che ci sono modalità per filtrare la visione selezionando solo le persone con cui desidero condividerla, come amici e parenti”. E aggiunge: “Noi come Polizia Postale non demonizziamo la rete in toto. Se fossimo così spaventati che le foto possano finire in mani sbagliate ci comporteremmo come chi evita di usare l’auto per paura di fare un incidente”.
Eppure dal canto nostro usare l’auto è spesso una necessità; pubblicare una foto sui social no, e se noi giornalisti dobbiamo seguire deontologicamente tutte le accortezze a tutela dell’immagine dei minorenni ci chiediamo perché non debbano farlo i genitori. Ma andiamo avanti.
“Mai riscontrati incidenti per chi è stato accorto. Il problema più diffuso? Il cyberbullismo”
Quando si parla di social si pensa raramente a WhatsApp e a eventuali rischi: non mancano esempi di genitori o nonni che utilizzano foto di bambini, anche in costume, come profilo, e foto di neonati nell’aggiornamento.
“Anche per questo mezzo è fondamentale conoscere le opzioni di visione dell’aggiornamento del proprio stato”, evidenzia Nardulli. “Una di queste è la reciprocità di presenza di numeri telefonici nelle rispettive rubriche; la seconda è quella di consentire la visione a tutti i contatti tranne quelli che si vuole escludere; la terza consente di far vedere il contenuto solo a specifiche persone selezionate”.
Il tema dei filtri resta importante per evitare la sovraesposizione delle immagini dei minorenni, ma forse da quanto osserviamo il problema non è tanto la loro scarsa conoscenza, quanto piuttosto la leggerezza nel ritenere che semplici contatti di cui si conosce solo il nome o la professione siano traducibili in persone conosciute, e quindi affidabili.
Chiediamo a Rocco Nardulli se dal suo osservatorio abbia la percezione che vi sia una diffusa mancanza di consapevolezza sui possibili rischi correlata a una conoscenza insufficiente dei mezzi utilizzati. “Le segnalazioni di problematiche che riceviamo non traducono la realtà nella sua totalità”, chiosa. “Posso comunque dire che di sicuro c’è gente che pubblica foto di minori con estrema superficialità; non riesco invece a confermare che queste persone siano la maggior parte o la minoranza, perché non ho gli strumenti per farlo”.
I numeri latitano, ma – sempre dal vostro osservatorio lavorativo – potete dirci se i problemi segnalati di solito derivano da una scarsa conoscenza dei mezzi, o eventuali incidenti capitano anche a chi è stato accorto? “Fino ad oggi non mi è mai capitato un caso di incidente da parte di persone che erano state accorte nell’utilizzo dei social network”. Riguardo al problema rilevato più di frequente, invece risponde: “Sicuramente foto pubblicate che diventano oggetto di scherno portando a derive di cyberbullismo. Dobbiamo stare molto attenti anche a questo aspetto, si possono scatenare gravi ripercussioni, come ci ha insegnato la cronaca”.
Rischio pedopornografia, le indicazioni della Polizia Postale
Sul rischio temuto della pedopornografia afferma: “Come polizia facciamo un lavoro di infiltrazione nelle comunità dei pedofili e osserviamo ciò che succede per cristallizzare i reati”. Pur non avendo intercettato casi di fotomontaggio limitatamente al contesto regionale di riferimento, come ci rivela Nardulli, la guardia va tenuta molto alta.
La soluzione sarebbe semplice, e secondo noi a portata di mano: la massima accortezza eviterebbe determinati rischi e anche di appesantire il lavoro di chi opera nella Polizia Postale, ma è una proposta che per diverse persone cade nel vuoto. Per chi proprio non volesse rinunciare alla pubblicazione di foto dei propri figli e nipoti, Nardulli ribadisce alcune indicazioni cardine.
“La fotografia consegnata a un pubblico limitato di conoscenti è un conto; se invece pubblico una foto dando a chiunque la possibilità di vederla, e nel caso salvarla, è un altro conto”, specifica. “Occorre evitare di pubblicare e condividere foto di bambini in costume o peggio ancora senza vestiti, magari mentre fanno il bagnetto, perché la pedofilia è un possibile rischio. Postare la foto di un bambino nudo la considero una follia”.
E ancora: “Sconsiglio infine di pubblicare foto se non si conoscono bene i mezzi e prima di tutto i diritti e i doveri, le impostazioni sulla privacy e i possibili rischi. Rispettare la dignità del bambino resta fondamentale, perché un giorno quel bambino, cresciuto, potrebbe provare fastidio. Teniamo presente che la rete non dimentica, mai”.
Le narrazioni falsate e le foto di minori sui social: “Emulazione di persone famose, che lo fanno per marketing”
Se pensiamo alla filmografia a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, quando ancora i social non avevano fatto il loro avvento, pellicole pur differenti tra loro per stile e genere come One Hour Photo e il premiatissimo The Truman Show ci raccontavano i timori e le derive di una possibile invasione nella sfera della vita privata, e della mercificazione di un’esistenza che diviene narrazione falsata e anche tossica proprio quando impacchettata come reality. Ora è il contrario: non mostrare o non postare viene spesso tradotto come non aver vissuto l’esperienza, tanto che l’esibizione diventa motivo di orgoglio, e persino conferma e approvazione, per adulti e adolescenti.
I social si sono così tramutati in vetrine di narrazioni falsate dove non è raro lo scollamento tra vissuto reale e situazioni costruite. Il fine è voler far credere di essere come ci si mostra. Le stesse immagini dei bambini vengono usate come coccarde per coprire e lenire insicurezze, e il caro prezzo di questa giostra sono proprio loro a pagarlo.
Rispetto a quest’ultimo punto di riflessione, che riguarda la strumentalizzazione delle immagini dei piccoli, Nardulli ci spiega: “Per il lavoro che svolgo so per certo che ci sono persone famose che hanno deciso di pubblicare tutta la loro vita, compresa quella dei figli, con finalità di business: ebbene, anche dietro la foto che appare più spontanea, quello che definiremmo il cosiddetto ‘scatto rubato’, c’è in realtà uno studio fatto da professionisti per fini di marketing, come confermato da loro stessi. Le persone famose fanno di queste pubblicazioni un motivo di business, ma determinano anche un effetto di emulazione da parte di altre persone che ingenuamente mettono a repentaglio la loro privacy”.
Ci chiediamo se magari tra dieci o anche vent’anni, guardando a questo periodo, certe dinamiche saranno non più applaudite, bensì riconosciute per quello che sono. Tornando all’incipit: sareste invece d’accordo a far distribuire una vostra foto senza che vi chiedessero come vi fa sentire, senza che nessuno si preoccupasse o si ponesse il dubbio di ciò che desiderate o meno?
A ognuno la sua risposta. Quel che è certo è che bambini e bambine sono persone da rispettare, e che la tutela è un dovere da portare avanti ogni giorno.
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