Altro che grano, è crisi idrica. Mario Tozzi: “Stiamo sottocoltivando, le monocolture bevono troppo”

Il commento a SenzaFiltro del geologo e ricercatore del CNR su crisi idrica e desertificazione, che dal Nord minaccia di espandersi al Centro Italia, con effetti devastanti sull’agricoltura.

Prima le speculazioni sui fertilizzanti (iniziate, secondo i dati Coldiretti, molto prima della guerra in Ucraina), poi il blocco del grano e infine la siccità. L’estate del 2022 sarà ricordata soprattutto per i problemi dell’agricoltura e i rincari sulle merci, in primis il grano e i cereali in generale.

Se evitare una guerra di due Paesi lontani non è così semplice, e lottare contro la speculazione internazionale è complesso, almeno sulla siccità qualcosa si poteva fare, adottando accorgimenti che ci permettessero di non impoverire le nostre campagne.

«Bisogna comprare la terra, perché non ne fanno più». Il vecchio Serafino Ferruzzi lo diceva ai figli e al cognato (che a dire il vero non lo ascoltò troppo e preferì le sirene della finanza). Non avrebbe immaginato, il ravennate commerciante di sementi poi fondatore un impero, che non era proprio così. Perché in Italia il 40% dei terreni italiani è diventato sterile, cioè non si può più coltivare. A spiegarlo è Mario Tozzi, geologo, ricercatore al CNR e divulgatore scientifico. Ma quel che è più grave è che quel terreno non potrà essere recuperato per l’agricoltura.

Desertificazione Italia, a rischio chiusura un’azienda agricola su dieci

Con una parola che fa paura si definisce questo fenomeno come desertificazione, e l’Italia oggi c’è dentro in pieno. Un ruolo fondamentale in questo processo lo svolge la mancanza d’acqua che ha caratterizzato la primavera del 2022 e l’inizio dell’estate, e che sta creando danni pesanti all’agricoltura italiana.

Danni che si riflettono sui cittadini e sulle loro tasche, perché la penuria di risorse idriche causa anche un incremento dei prezzi al consumo, come denunciato dalla Coldiretti, che chiede all’Unione europea sostegno per l’agricoltura.

«Fra siccità e caro materie prime legato alla guerra in Ucraina – sottolinea la Coldiretti – più di un’azienda agricola su dieci (11%) rischia di chiudere ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione, secondo le elaborazioni del CREA. Una tempesta perfetta che si è abbattuta sulle aziende agricole con aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio».

La siccità diventa quindi l’ennesimo problema che si somma alla guerra e ai rincari dei fertilizzanti. «Alla mancanza di forniture si aggiungono le difficoltà determinate dai forti rincari dei prezzi che sono balzati – continua la Coldiretti – da un +150% a oltre +200%, con l’urea che è passata da 350 euro a 1.150 euro a tonnellata (+228%)».

La riduzione dei raccolti dovuta alla siccità – sono diversi gli agricoltori che stanno denunciando una produttività di molto inferiore – sarà il colpo di grazia anche per i consumatori, che vedranno presto i rincari sulle merci. Perché il combinato disposto tra meno prodotti a causa dei terreni arsi e improduttivi e maggiori costi di produzione rischia di far impennare i prezzi.

Mario Tozzi: «Monocolture e mais bevono troppo. Bisogna diversificare»

Il problema quest’anno ha toccato in maniera pesante le Regioni che di solito sono al riparo da queste difficoltà, cioè Lombardia e Piemonte, attraversate dal Po, dal quale un altro esperto di agricoltura nel XIX secolo – il conte Camillo Benso di Cavour – seppe trarre un’efficiente rete irrigua. Ancora prima, tra una guerra e l’altra, furono gli Sforza a creare la rete dei navigli, chiamando addirittura Leonardo Da Vinci come consulente. Oggi anche quelle prestigiose opere del passato, che hanno retto le sorti dell’agricoltura in Pianura Padana, servono a ben poco, come può vedere chiunque attraversi la piana, che poche volte è stata arsa come in questo periodo, con le colture che faticano e la terra che si rompe in alcuni punti.

Come due Regioni storicamente all’avanguardia in quanto a rete idrica siano arrivate a questo punto è complesso da capire. «L’allarme su Piemonte e Lombardia – dice Mario Tozzi – parte dall’uso sconsiderato della risorsa acqua che è stato fatto per una serie di colture massicce, come il kiwi e il mais, che ne bevono parecchia. In particolare il problema è concentrato sul mais, che assorbe grandi riserve idriche. È per questo che ci si dovrebbe concentrare meno sulla monocoltura, che è caratterizzante di molte zone del Nord Italia».

Nord che nel corso degli ultimi anni ha visto diminuire gli ettari di terreno che vengono coltivati, nonostante con lo scoppio della guerra in Ucraina il Governo abbia deciso di dare il permesso di aumentare le coltivazioni. Ma se la terra non c’è più non è facile da fare, e alla base di questo impoverimento ci sono i nostri comportamenti, che nonostante abbiano impoverito il terreno non hanno nemmeno risolto il problema alimentare.

«In questo momento – dice Tozzi – rispetto agli anni Sessanta noi stiamo sottocoltivando, e comunque continuare con le tradizionali colture come il mais, che assorbono molta acqua, non aiuta. Dobbiamo tornare alle colture naturali per diversificare. Abbiamo problemi anche con l’allevamento, perché tra l’altro richiede molto spazio e oggi ce n’è sempre di meno.»

La soluzione potrebbe essere un cambio di paradigma che rivoluzioni in modo completo l’agricoltura. «Ci sono – continua Tozzi – delle interessanti esperienze neo-rurali, dove si sceglie di diminuire il territorio coltivato del 10% e metterci il bosco selvaggio. In questo modo si riesce a conservare l’umidità e ad abbattere i parassiti; si produce di più e si contribuisce alla riduzione di pesticidi. Non si separa più l’agricoltura dell’allevamento. Ma in futuro si dovrà cominciare a puntare sulla manutenzione, sulla conservazione dell’acqua piovana nei mesi invernali e anche sulla sensibilizzazione all’uso della cosiddetta acqua occulta. Ma in generale bisogna imparare a diversificare. Basti pensare al fatto che oggi si consumano solo determinati tipi di pesce e altri non si trovano nemmeno più in commercio».

In Piemonte sono corsi subito (o quasi) ai ripari, razionando l’acqua, e in Lombardia è arrivata l’ordinanza regionale. È iniziata poi la solita ridda di vademecum su come risparmiare da parte delle amministrazioni comunali, che spesso in tempi non sospetti hanno sottovalutato il problema dell’acqua, oggi diventato quello della produzione cerealicola. Che la situazione fosse drammatica, però, si era capito almeno da aprile, quando le autorità d’ambito e gli esperti di settore lo stavano già denunciando. Alla base del problema, secondo l’Osservatorio ANBI sulle risorse idriche, c’era il “combinato disposto” tra la siccità peggiore in anni recenti e le temperature superiori addirittura al 2003, che rimane un anno record.

Il dato più allarmante in Pianura Padana è la risalita del cuneo salino, che sta marciando verso i trenta chilometri all’interno della piana a Ferrara. La carenza d’acqua ha una ricaduta anche a livello politico, soprattutto sui rapporti che coinvolgono la gestione delle acque del Lago Maggiore con la Svizzera e quella del fiume Isonzo con la Slovenia.

La crisi idrica contagia il Centro Italia

Ma le ricadute e i problemi principali continuano a riguardare l’agricoltura. Il problema è iniziato al Nord, ma si sta espandendo in tutta Italia.

I grandi bacini del Nord sono ai livelli minimi: i laghi di Como (13,5% di riempimento) e d’Iseo sono ormai vicini al record negativo, già più volte superato invece dal Lago Maggiore, oggi riempito al 20%. L’anno scorso, già caratterizzato al Nord da una sempre più ricorrente siccità, i bacini settentrionali erano in questo periodo ancora oltre il 90% del riempimento, e la neve sui monti era abbondante ben oltre la media.

«Dal Nord Italia – spiega l’ultimo report di ANBI – la crisi idrica sta ampliandosi giorno dopo giorno al Centro Italia, dove l’epicentro sta caratterizzandosi nel Lazio: grave è la situazione nel territorio dei Castelli Romani, dove i due laghi vulcanici, non avendo immissari naturali, dipendono principalmente dagli apporti pluviali, calati localmente di oltre il 75%, segnando il dato peggiore da inizio secolo. Sulla Regione, e in generale lungo la fascia tirrenica centro-settentrionale, l’indice SPI (Standardized Precipitation Index) fotografa una situazione peggiore di quella del siccitosissimo 2017, impattando negativamente anche sulle disponibilità d’acqua in falda. Continuano a calare vistosamente anche fiumi e bacini laziali: l’Aniene ha portata dimezzata, il Tevere è ai livelli minimi in anni recenti, il Sacco è sempre più a secco; il livello del lago di Nemi precipita a -1,88 metri (l’anno scorso era a +1,6 metri) e anche il lago di Bracciano registra un’ulteriore decrescita. Marcato è il calo di precipitazioni sul Lazio: il record negativo è di Ladispoli (solo 83 mm caduti dall’inizio del 2022, quando la media si aggira su 300 mm), ma anche a Roma si registrano cali del 63%, che sfiorano il 100% a maggio sull’Agro Pontino.»

Gli stessi problemi li hanno fiumi come il Po, il Tanaro e la Dora Baltea in Piemonte, e l’Adda, il Serio e l’Oglio in Lombardia. Proprio queste zone negli ultimi anni sono state toccate in particolare dalla desertificazione: quella climatica, che spacca il terreno e arde le colture, alla quale minaccia di aggiungersi il deserto di una politica che ancora una volta si fa cogliere impreparata nonostante gli allarmi siano stati diramati ormai da anni.

Leggi gli altri articoli a tema Grano.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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