“Se Vieste è Gazzé a Sanremo, Gallipoli è una rock star in rehab”

“Malvage sirene, qualcuno le ha viste portare nel fondo Cristalda in catene E quando le urla raggiunsero il cielo Lui impazzì davvero provando a salvarla Perché più non c’era e quell’ira accecante lo fermò per sempre E così la gente lo ammira da allora Gigante di bianco calcare che aspetta tuttora il suo amore rapito […]

“Malvage sirene, qualcuno le ha viste

portare nel fondo Cristalda in catene

E quando le urla raggiunsero il cielo

Lui impazzì davvero provando a salvarla

Perché più non c’era e quell’ira accecante lo fermò per sempre

E così la gente lo ammira da allora

Gigante di bianco calcare che aspetta tuttora il suo amore rapito

E mai più tornato

Ma io ti aspetterò

Fosse anche per cent’anni aspetterò…”

È il febbraio 2018 quando, sul palco del teatro Ariston di Sanremo, Massimiliano “Max” Gazzè si fa largo tra i canti di amori persi e ritrovati. Ne racconta uno antico, che affonda in una storia popolare, solido come lo scoglio che di esso è manifesto visibile.

È La leggenda di Cristalda e Pizzomunno, la traduzione in forma di canzone di una credenza che racconta un amore diviso, quello tra il bel pescatore Pizzomunno e la sua Cristalda, spezzato dalla gelosia delle sirene rifiutate dall’uomo, che in un raptus hanno trascinato la donna amata-odiata in fondo al mare. La “storia” narra che Pizzomunno, preso dallo sconforto, sia rimasto pietrificato: uno scoglio, bianco, fermo in attesa della bella Cristalda. L’attesa è rotta ogni cento anni, quando Cristalda torna dagli abissi per raggiungere il suo giovane amante e rivivere per una notte sola, il 15 agosto, il loro antico amore.

“Una musica può fare”: marketing turistico, per esempio

Il “Pizzomunno” è da sempre un monolite in pietra calcarea di 25 metri, simbolo di Vieste, la regina incontrastata del Gargano, nella Puglia che degrada a mare. La leggenda diventata canzone di Gazzè è il messaggio più efficace per la località garganica, a scorrere i dati del turismo pugliese del 2018, presentati alla Bit di Milano: “Tra le destinazioni Vieste si conferma la principale meta del turismo balneare con 1,9 milioni di presenze nel 2018”.

Oltre l’effetto Sanremo, ovviamente, c’è di più: “Il Gargano con Vieste e Peschici è dagli anni Settanta il first mover dell’accoglienza pugliese”, dice, con un tecnicismo da marketing turistico, Luca Scandale, Responsabile del Piano strategico del turismo Puglia365.

First mover”, nel marketing, significa chi per primo introduce un prodotto, un servizio o una tecnologia nel mercato. Tradotto: il turismo balneare di massa in Puglia ha una matrice garganica. La spiegazione è nei numeri: “Il Gargano – prosegue Scandale – ha una primazia per quello che riguarda la disponibilità di posti letto nei campeggi e nei villaggi, rispetto, per esempio, al Salento. È necessario, però, riqualificare le strutture e ripensare l’offerta turistica”.

 

L’ascesa e la caduta della rockstar Gallipoli

Il successo dei numeri di Vieste – che sorpresa non è, per gli addetti ai lavori – in verità viene percepito come il riscatto della penisola garganica, dopo anni di “dominio” nell’immaginario collettivo dell’altra penisola pugliese più a sud, quella salentina. Qui la parabola del “successo come un uragano che lascia i cocci a terra”, ha un nome preciso: Gallipoli.

L’Ibiza del Sud Italia ha vissuto per 15 anni come una rock star turistica: crescita, dominio, successo, eccesso, caduta. Le precisazioni doverose riguardano innanzitutto il finale: non è morta, per fortuna. “Cerca un turismo maturo, più ragionato”, precisa Scandale.

Il punto di non ritorno ha una data precisa: l’estate del 2014, quella dei balconi affittati come dormitori improvvisati, della “galleria degli orrori” tra sporcizia e sesso disinibito.

Il sipario sugli anni “allegri e folli” è poi arrivato con due provvedimenti che hanno riguardato i due “templi” della movida salentina, il parco Gondar e la discoteca Le Cave. Il primo, 30.000 metri quadri di divertimentificio con ospiti internazionali, è stato chiuso per contestazioni su presunti abusi edilizi. La seconda, la discoteca Le Cave, ha ceduto sotto i sigilli voluti dal Comune perché la struttura “può ospitare un bar, non una discoteca”.

“Non potevamo far finta di nulla”, aveva tuonato il giorno dopo il sindaco gallipolino Stefano Minerva, alzando poi la posta in palio: “Abbiamo fatto e continuiamo forse a far paura a molte delle mete turistiche a cui abbiamo sottratto flussi turistici importanti, e lo dico senza peli sulla lingua. Questo porta anche i grossi potentati che gestiscono la stampa nazionale e i media a costruire una campagna ad hoc per penalizzarci”. Insomma per il primo cittadino è “fango gratuito a danno del brand”.

 

La discesa del brand Salento, la riscoperta del marchio Puglia

Il brand, in questo caso, è una proprietà transitiva: se Gallipoli è la “perla del Salento” e il Salento è il marchio più forte del turismo pugliese, allora Gallipoli “è il motore della Puglia”; quindi, in una delle regioni a più alta crescita d’Italia, Gallipoli è “sinonimo di successo e divertimento”: da qui l’Ibiza salentina. “Nei primi anni 2000 – ammette il responsabile di Puglia365, Scandale – il brand Salento era più forte del marchio Puglia. Oggi non è più così”. Quindi? “Gallipoli sta mutando pelle, puntando su un turismo diverso”.

Seguendo la metafora della festa, nell’ex capitale dei party sullo Ionio, è come se Gallipoli fosse a fine festeggiamenti; a quel momento in cui, smaltita la sbronza, ci si ritrova infreddoliti, magari in spiaggia, a desiderare un latte di mandorla e un pasticciotto, nella tradizione locale.

 

“AAA cercasi cantautore per leggenda Malladrone

E forse non è un caso che la leggenda gallipolina più nota sia quella del “Malladrone”, una statua lignea raffigurante Misma, il cattivo ladrone, che “non si pentì dei suoi misfatti davanti a Gesù Cristo”. L’opera di Vespasiano Genuino, posta nella chiesa di san Francesco D’Assisi, solleva da sempre credenze e misteri per il ghigno di Misma, apparso a lume di candela alla vista di Gabriele D’Annunzio, che lo definì di“orrida bellezza”. Per gli abitanti è la materializzazione della tentazione e del demonio, “evidente” nelle vesti del Malladrone “che si logorano in continuazione”. E poco importa se la deteriorazione delle stoffe derivi dall’esposizione alla salsedine della parete su cui poggia la statua.

Così, abituata per secoli a condannare il peccato, Gallipoli ne è finita schiacciata. E oggi, “tutti peccatori”, ci si riscopre più umani, meno macchine da divertimento. Aspettando un nuovo Gazzé che possa finalmente dare voce al “Malladrone”.

 

 

Foto di copertina, Michael Avory

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