Si lavora per vivere, non per morire

Ho ancora davanti agli occhi le immagini del collega direttore del personale di Air France assalito fisicamente dai propri dipendenti in sciopero mentre tenta di scavalcare una staccionata con la camicia strappata. Nella mia aspettativa l’episodio avrebbe dovuto suscitare sdegno e condanna da parte di tutti indistintamente ma, nei giorni immediatamente successivi alla diffusione delle […]

Ho ancora davanti agli occhi le immagini del collega direttore del personale di Air France assalito fisicamente dai propri dipendenti in sciopero mentre tenta di scavalcare una staccionata con la camicia strappata.

Nella mia aspettativa l’episodio avrebbe dovuto suscitare sdegno e condanna da parte di tutti indistintamente ma, nei giorni immediatamente successivi alla diffusione delle immagini, nelle aziende e nei bar ho sentito commenti molto diversi tra loro: alle auspicate espressioni di solidarietà per una persona che in fondo faceva solo il proprio lavoro si univano pareri più discutibili che culminavano in citazioni di cliché di basso profilo, partendo dal classico “Ben gli sta!” per culminare con la considerazione “nel lauto stipendio che percepisce sono inclusi i rischi del mestiere”, come se si potesse definire una cifra adatta a giustificare e remunerare un rischio così estremo.

Mettere a repentaglio la propria vita solo per fare il proprio lavoro è qualcosa che non può essere concepibile in una società che si definisce civile. È il risvolto più crudo e cruento di una crisi che sta generando violenza e rancore in ambienti nei quali la solidarietà ed il lavoro di tutti sono elementi indispensabili per la creazione di un domani migliore dove il lavoro continui a nobilitare l’uomo e l’obiettivo non sia solo la ricerca di un capro espiatorio al quale imputare tutti i problemi che le aziende e la società stanno attraversando.

In realtà chiunque digiti su un motore di ricerca le parole chiave, riceve una inquietante lista di informazioni che richiamano a fatti di cronaca del recente passato e non solo.

Nel 2014 a Carrara è stato arrestato un ventottenne per aver cercato di uccidere a coltellate l’ex capo del personale della ditta in cui lavorava. L’uomo gli attribuiva il fatto di essere stato licenziato ed aveva pertanto reso la vita impossibile al dirigente ed alla sua compagna con continue minacce e appostamenti.

In India nel 2012 il direttore del personale dello stabilimento di Maruti-Suzuki aveva appena annunciato la chiusura del sito produttivo in seguito alla crisi quando la riunione si è rapidamente trasformata in una vera e propria rivolta con un assalto all’arma bianca ai dirigenti del plant. L’episodio si concluse tragicamente con molti feriti e la morte del capo del personale, arso vivo nella sala riunioni.

Nel 1990 a Catania veniva ucciso il direttore del personale dell’Acciaieria Megara, importante industria catanese. La sua colpa era stata quella di gestire con rigore e professionalità i controlli sui lavoratori e sulle attività aziendali, anche dell’indotto. Seguirono minacce telefoniche e intimidazioni sino al tragico agguato mafioso mentre a bordo della sua auto rientrava a casa dopo una giornata di lavoro.

Nel 1980 il direttore del personale della Marelli di Sesto San Giovanni si trovava in metropolitana per recarsi al lavoro quando fu ucciso da due terroristi appartenenti a un commando della colonna milanese delle Brigate Rosse che gli spararono due colpi di pistola alla testa a bruciapelo.

Si potrebbe continuare quasi all’infinito.

Ma allora che cosa è cambiato rispetto al passato? Storicamente quel capro espiatorio è stato il Capo del Personale, troppo spesso visto come il boia del Terrore che azionava la ghigliottina di Robespierriana memoria. Questa immagine fa quasi rimpiangere le definizioni superficiali attribuite alla funzione da chi ne ha conoscenza limitata: il classico “fa le paghe” e l’evergreen “assume-licenzia-punisce”. Va detto però che, a differenza del boia dell’immaginario collettivo, questo non ha un cappuccio ma ci mette la faccia.

Ma è anche una crisi di valori che attraversa la nostra società, in questo caso aiutata dall’evoluzione tecnologica: la possibilità di ricevere informazioni in tempo reale ha avuto ed ha tuttora un fortissimo impatto e mentre le notizie vengono velocemente “bruciate” ed assimilate sono subito sostituite da altre nuove. Ne deriva che non c’è più spazio né tempo per la condanna o la riprovazione o la discussione e per poter, al limite, cambiare opinione, da sempre considerata una virtù dei saggi.

Non sarà quindi una sorpresa nel prossimo futuro ascoltare la proposta di soluzione del problema tramite un addendum all’attuale polizza assicurativa sulla vita prevista nel contratto nazionale dirigenti che preveda un premio aggiuntivo per morte violenta.

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