Dimmi come litighi e ti dirò chi sei. (E se la soluzione fosse la mediazione?)

Se quando litigate con qualcuno pensate che la colpa sia dell’altro e che voi siate solo le vittime e che un tribunale risolverà il vostro problema in modo giusto, con tempi brevi e costi a carico del colpevole, forse vivete in una favola. O vi fidate delle favole che vi hanno raccontato, senza realizzare che […]

Se quando litigate con qualcuno pensate che la colpa sia dell’altro e che voi siate solo le vittime e che un tribunale risolverà il vostro problema in modo giusto, con tempi brevi e costi a carico del colpevole, forse vivete in una favola. O vi fidate delle favole che vi hanno raccontato, senza realizzare che solo di racconti si trattava. La realtà è un altra cosa.

La differenza tra la teoria e la pratica è drammatica in ogni ambito e quello della gestione dei conflitti non può fare eccezione. Un processo civile dura anni, attribuisce torti e ragioni con sistemi che sono solo l’evoluzione di sistemi più o meno formali, sganciati dalla vita delle persone.

Eppure il desiderio di “fargliela pagare” è troppo forte e senza un consiglio disinteressato è facile finire nella lavatrice monoprogramma che lava allo stesso modo tutte le questioni senza dividere i capi delicati da quelli resistenti, i bianchi dai colorati. Trovarsi con un maglione scolorito e infeltrito è molto più che una mera possibilità.

Per cosa poi?

In apparenza il conflitto sembra un qualcosa che attiene ad un pugno o una montagna di euro da dare o da ricevere (e senza certezza che il credito venga davvero pagato).

Ma basterebbe grattare un po’ la superficie per scoprire che il vero problema è la sua riduzione in termini economici. Senza considerare che il conflitto come fenomeno fisico è del tutto indipendente dall’esito di una qualsiasi sentenza.

Proviamo allora a guardare sotto l’aspetto esteriore: cosa significa realmente trascinare in tribunale un fornitore chiedendo 500.000 euro per un asserito danno?

Prima di una mossa del genere andrebbero valutati attentamente i rischi e i costi indiretti; gli effetti sulla relazione commerciale, il tempo-uomo di tutti coloro che saranno coinvolti in una procedura che durerà anni (per reperire documenti, rendere testimonianza, effettuare ricerche in archivio etc.) la perdita di chances e le reali probabilità di vittoria.

E se la somma riconosciuta fosse notevolmente inferiore, quei costi sarebbero ancora giustificati?

Chiedete al vostro avvocato un preventivo scritto non solo dei suoi costi, ma anche di quelli dell’avversario e poi comparateli con le probabilità di tutti gli esiti possibili che vi fornirà sempre per iscritto (ed ammesso che lo faccia). Lo 0,25 di probabilità di ottenere 500.000 equivalgono – matematicamente, ma non emotivamente – a 125.000 e bastano un paio di cose che vanno storte in tribunale per giungere ad un simile risultato. Ma temo che un avvocato che metta nero su bianco la probabilità degli esiti sia molto più raro di una mosca bianca.

Morale della favola: il gioco è rischioso ma il professionista non sa dirvi quanto: se siete giocatori di poker anche in azienda non c’è problema; se il gioco per voi è solo uno svago e non una filosofia imprenditoriale, cercate un’altra soluzione.

La prima è un reale, effettivo e disincantato esame di coscienza: si proprio quello che vi raccomandava talvolta la nonna.

Ogni conflitto richiede almeno due litiganti: che ve ne rendiate conto o meno, siete parte e quindi con-causa di esso. Se proprio non riuscite a farvene una ragione, cambiate gli occhiali con i quali osservate la realtà. Come scriveva Manzoni “la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro”: questa felice e saggia intuizione è ormai confermata da qualche decennio di studi sul conflitto.

E questo è davvero il colmo: spendete una vita a scuola, per una laurea, una specializzazione, vi riempite di contenuti, ma non ricevete altrettanti insegnamenti in tema di negoziazione. Eppure negoziamo tutti, ogni giorno, più volte al giorno.

La vita è un grande, continuo, negoziato.

Certo per negoziare bene bisogna essere in due. E questo non è un problema da poco. Quando si negozia con qualcuno si vive un’esperienza di perenne equilibrio precario: dare fiducia a chi non la merita è tanto rischioso quanto rifiutarla a chi, invece, se la merita. Se in più nel vostro cervello permane sullo sfondo l’idea che un eventuale comportamento sleale o illegale della parte con cui negoziate sarà prontamente sanzionato dalla macchina della giustizia, tendete a non approfondire la questione oggi: state solo congelando un possibile problema. Delegando ad altri (avvocati e magistrati) la sua gestione – che non è sinonimo di risoluzione – state perdendo il controllo della vostra azienda.

Provate allora ad anticipare il problema: ad esempio spendere i pochi spiccioli che occorrono per effettuare una visura camerale ed ottenere – almeno – informazioni ufficiali sulla parte con la quale state negoziando è molto più conveniente che scoprire domani che essa non era così solida come pensavate. Apprenderlo dopo aver ottenuto una sentenza virtuale ed un pignoramento negativo, significa aggiungere il danno alla beffa, giacché l’avvocati, giudici e ufficiali giudiziari non lavorano gratis.

La parola magica è, allora, “consenso informato” sempre su carta e più possibile dettagliato: se non lo ottenete, cercate un altro professionista; se non ne trovate, avrete comunque ricevuto una risposta assai importante… (Per la cronaca: l’art. 9, comma 4 del D.L: 1/2012, prevede che ” Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico […] . In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.”)

Proviamo ora a volgere lo sguardo in un’altra direzione: nei locali di un reparto cardiologico potete trovare informazioni sulle diverse operazioni al cuore: potete così scoprire che un certo intervento ha un 5% di mortalità: vi concentrate sul 95% che ce la fa ed andate sotto i ferri, senza considerate che solo il fato deciderà se collocarvi nel cluster dei fortunati o in quello degli sfigati, però almeno qualcuno vi ha dato un numero oggettivo: quello che nasce dalla statistica.

Nell’ambito dei conflitti e delle procedure giudiziarie questo approccio – almeno in Italia – non c’è, anche se i big data potrebbero essere di grande aiuto per decidere se usufruire di un sistema che “governa quasi 5 milioni di procedure. Negli U.S.A. sono nate start up per rendere servizi in tal senso e scopire magari che in una certa contea determinate domande giudiziarie vengono accolte nel 25% dei casi, in altre contee, invece, nel 57% (The science of legal basic su TEDx; Can Big Data Win Your Next Court Case? A lawyer’s startup is mining the court system for its data).

Sempre oltreoceano, da oltre 40 anni si usa la mediazione come strumento di negoziazione avanzata. Un terzo neutrale, privo di potere decisorio e stimato dalle parti, si inserisce nel processo di comunicazione dei liganti separando i messaggi negativi da quelli positivi ed aggirando il problema dell’asimmetria informativa: attraverso delle sessioni riservate e separate prima con una parte e poi con l’altra, il mediatore riesce, infatti ad ottenere, con il vincolo del segreto professionale, molte più informazioni di quelle che le parti sarebbero disposte a scambiarsi se fossero l’una di fronte all’altra, per motivi di orgoglio, ma anche di strategia. Al nemico infatti non si può confidare che le proprie polveri sono bagnate o quali sono gli interessi più intimi, perché signficherebbe mettersi a nudo senza nessuna garanzia che l’altro faccia lo stesso: confidarsi col mediatore, invece, consente ad un terzo e solo a lui, di capire i reali interessi di entrambi ed elaborare soluzioni creativi e soddisfacenti.

Non si tratta di applicare la legge, ma di generare accordi basati sulle priorità dei litiganti.

In Italia, la mediazione è stata introdotta come obbligatoria nel 2010 in lacune materie e stenta ancora oggi a dimostrare il suo vero valore: gli avvocati depositano pochissime istanze di mediazione volontaria: potrebbero fare molto di più, per i propri clienti e per il Paese, ma non lo fanno.

Bensinteso, anche questa potrebbe essere una favola: a parità di novelle, scegliete almeno consapevolmente.

Come ricorda Nassim Taleb, il mondo è ingiusto e la soluzione ideale non sempre esiste. Facciamocene una ragione. E decidiamo di conseguenza, nel nostro vero interesse.

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