Pensiero stipendi: è l’Italia il solo Paese in cui diminuiscono

I lavoratori dipendenti perdono potere di acquisto e gli autonomi faticano ad andare avanti: un terzo degli avvocati ha considerato la possibilità di abbandonare la professione. Il quadro delle retribuzioni in Italia lascia poco spazio ai dubbi.

Tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese OCSE in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: –2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7% della Germania e al +31,1% della Francia. Lo ricorda il cinquantacinquesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, pubblicato alla fine dello scorso anno, mentre quello di quest’anno, uscito qualche giorno fa, denuncia come “l’impennata dei prezzi dell’energia, propagatasi velocemente anche agli altri tipi di beni (alimentari, spese per la casa, trasporti, ecc.), sta comportando una perdita netta del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti”.

Ma se i lavoratori subordinati non se la passano bene, c’è da dire che neanche gli autonomi si trovano in una situazione migliore, secondo il documento Lavoro, professionalità, rappresentanze del cinquantaseiesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del nostro Paese.

“Nel 2021 il mercato del lavoro italiano conta 22,5 milioni di occupati, per la maggior parte dipendenti (17,6 milioni). Il numero dei lavoratori indipendenti scende da 5,2 milioni nel 2019 a 4,9 milioni nel 2021: -6,4%. La contrazione maggiore si rileva soprattutto per i lavoratori in proprio, che registrano una flessione del 9,8%, mentre tra il 2019 e il 2021 gli imprenditori vedono la loro quota aumentare del 6,6%. I liberi professionisti (1,4 milioni nel 2021) sono diminuiti dal 2019 dell’1,8%. Secondo un’indagine del Censis, un terzo degli avvocati ha considerato l’ipotesi di abbandonare la professione (32,8%), soprattutto per i costi eccessivi che l’attività comporta cui non corrisponde una ricompensa economica adeguata (63,7%) e per il calo della clientela nel corso degli anni (13,8%).”

Stipendi, soffrono i dipendenti e gli autonomi: la flat tax non risolverà i problemi delle partite IVA

Non basta innalzare la soglia per le partite IVA con la tanto sbandierata flat tax, portandola a 85.000 euro: molte partite IVA vivono nella stessa condizione degli avvocati, con un’attività che comporta costi eccessivi a cui non corrisponde una ricompensa economica adeguata. E qui il paradosso continua: se da una parte i dipendenti vedono erodere il peso specifico del proprio stipendio dall’inflazione e dal caro energia, per le piccole partite IVA che provano a crearsi uno stipendio con la loro attività professionale il rischio di basso riconoscimento economico è ancora più alto se si aggiungono, appunto, anche la possibilità di non vedersi pagate le spettanze dovute (lo chiamiamo “rischio d’impresa”?) e l’impossibilità di vedersi riconosciuti elementi basilari di civiltà come l’istituto della malattia. Questo porta il lavoratore autonomo a non fermarsi mai, neanche da malato, per non perdere cliente e pagamento.

Che il mondo del lavoro non sia più quello degli anni Settanta se ne stanno accorgendo un po’ tutti. A partire da Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, che di recente ha affermato: “Bisogna fare una lotta senza quartiere alla precarietà. Penso al nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori, dove non hai diritto perché sei assunto a tempo indeterminato, ma i diritti ce li hai perché sei una persona che lavora. Vale anche per le partite IVA e per il lavoro autonomo”. 

Quando si parla di precarietà e ne parla anche e soprattutto dal punto di vista retributivo: contratti a chiamata, voucher (appena reintrodotti), prestazioni occasionali, finte partite IVA in realtà con un unico committente (quindi da assumere come subordinato); senza contare le partite IVA povere che devono combattere per arrivare a 1.000 euro mensili con un fatturato annuo sotto la soglia di povertà – se non addirittura chi non arriva neppure a fatturare 8.000 euro annui, finendo nella no tax area.

Anche la ministra del Lavoro, Marina Calderone ha dichiarato di recente la sua attenzione nei confronti dei lavoratori autonomi durante l’audizione davanti alla X Commissione del Senato: “Con la pandemia si sono persi 456.000 lavoratori autonomi, professionisti che hanno chiuso l’attività: per questo il Governo dà attenzione al lavoro autonomo e ritiene necessario individuare azioni di sostegno. Abbiamo fatto delle scelte convocando il tavolo sul lavoro autonomo che necessitava di essere riattivato, nel momento in cui la componente del lavoro autonomo ha tanto sofferto per il COVID-19”.

Fondata sul lavoro: la politica deve farsene garante

Non è uno scontro tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, ma è una battaglia di civiltà per il giusto riconoscimento economico dell’attività professionale, pensando in particolar modo alle figure professionali come i freelance che lavorano a intermittenza, spesso con remunerazioni modeste e altrettanto modesti diritti sociali. Lavorare gratis o senza essere pagati il giusto non è mai legittimo: il lavoro produce ricchezza e valore e questo deve essere sempre riconosciuto.

La frenata del Paese è poi confermata dall’andamento del PIL dell’Italia: cresciuto del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni Settanta, del 26,9% negli anni Ottanta, del 17,3% negli anni Novanta, poi del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio e dello 0,9% nel decennio pre-pandemia, prima di crollare dell’8,9% nel 2020. 

In questo scenario di caro bollette, inflazione e di un’economia in caduta libera, pensare a come aumentare gli stipendi dei lavoratori dipendenti da una parte e a come aiutare i lavoratori autonomi dall’altra è una sfida cui non possiamo più sottrarci. Nel nostro Paese il lavoro ha seguito un dibattito sterile e troppe volte stucchevole, senza rendersi conto di quanto il mondo stesse cambiando, e che per gestirne la complessità non bastano più soluzioni semplicistiche, ma una vera riforma sistemica.

La politica deve provare a capire in profondità tutte le innumerevoli sfaccettature del mondo del lavoro e farsi garante del suo riconoscimento sotto forma di giusto e congruo corrispettivo per qualsiasi sua tipologia: dal rider al muratore, dal grafico freelance al dipendente pubblico e privato.

Perché l’Italia torni a essere una Repubblica fondata sul lavoro, là dove oggi la parola merito, tornata in auge in questi ultimi tempi, non ha alcun diritto di cittadinanza.

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