“La mia passione per la boxe? È riduttivo definirla passione, è molto di più, è la mia vita. La boxe mi ha insegnato a essere la persona che sono, aperta e rispettosa”.
Mi imbatto nella storia di Ali Kaja, 43 anni, bolognese. La boxe c’è sempre, anche quando lui sembra metterla da parte. Mi sembra la persona giusta per parlare di passioni sportive che diventano un lavoro. Figlio d’arte – il padre era il pugile professionista Abdulwahed Ali Kaja, immigrato da Bengasi negli anni Settanta – Ali si allena in palestra fin da piccolissimo, e nel 2000 diventa campione italiano superleggeri. Nel 2003, dopo una sconfitta per squalifica, decide di mollare.
“Avevo 23 anni, ero molto stanco e stressato. Facevo pugilato fin dall’adolescenza, non avevo mai fatto nient’altro. Alla prima scusa buona, ho mollato. Stavo facendo un corso per manager del settore alberghiero. Mi sono detto: me la sono sempre cavata a livello sportivo, posso cavarmela anche nel mondo del lavoro, facendo la gavetta”.
Ali Kaja lavora nel settore alberghiero per 15 anni. Dice che l’esperienza da sportivo di alto livello gli è servita molto per il lavoro fuori dal ring. Nella mezz’ora in cui parliamo al telefono, parla di “lavoro” solo quando si riferisce all’impiego in hotel, mai per raccontare l’impegno attuale all’ASD Bononia Boxe Academy di Bologna, dove allena ragazzini e ragazzine a incassare i colpi della vita, a non abbattersi e a rialzarsi subito. Da quando è entrato alla Bononia Boxe, nel 2018, le cose sono cambiate in meglio: ha costruito un direttivo che condivide i suoi valori, è riuscito a ripianare gran parte dei debiti, ad abbassare di molto l’età media degli iscritti.
“Stiamo diventando un punto di riferimento a livello regionale e italiano, grazie anche ai messaggi che condividiamo sui social (Ali è molto seguito su TikTok, N.d.R.). La palestra è la mia seconda casa, ci vado anche di domenica. Quando sono arrivato l’età media degli iscritti era di 40 anni, oggi è sotto i 18 anni. Lavoriamo con ragazzini e ragazzine di tutte le età e di tutte le etnie, in palestra si respira un clima di rispetto, lealtà, condivisione. Qui ci si può confidare con un amico o un allenatore anche su cose che non riguardano il pugilato. Non si tratta solo di fare sport, si tratta di fare attività sociale attraverso lo sport”.
Credo di sapere già la risposta, ma glielo chiedo lo stesso: fai un lavoro che ami e non lavorerai nemmeno un giorno nella tua vita. È davvero così? “È vero, verissimo! Infatti dico sempre che, da quando ho smesso di lavorare in hotel, per me è come essere in pensione. Oggi posso organizzare la mia giornata come preferisco, stare con i ragazzi, studiare, costruire reti di persone, formarmi”.
La spinta a mollare il lavoro in hotel gliel’ha data la lettura di un libro, dice: Il cigno nero di Nassim Nicholas Taleb, pubblicato da ilSaggiatore, e poi anche Giocati dal caso e Il letto di Procuste, dello stesso autore. “Mi hanno spinto a reimpossessarmi della mia vita. Mi sono iscritto a Statistica, ho dato Analisi 1, mi dividevo tra l’università e la palestra. A volte, quando sei dentro il mondo del lavoro, la tua strada ti sembra segnata. Non è così”.
Mi racconta che la boxe è uno sport duro, di contatto, totalizzante. È curioso che torni questo aggettivo, ma nella sua accezione più positiva. “È uno sport che ti prende tutta la giornata, non solo quando sei in palestra. Anche quando sei fuori, devi pensare al peso, al riposo, al recupero. O fai pugilato o lavori. Dai miei ragazzi imparo ogni giorno qualcosa. Sono sinceri, senza secondi fini, meno programmati degli adulti. Non cambierei mai le scelte che ho fatto, non tornerei mai a lavorare”.
Eppure stai facendo proprio un gran bel lavoro, Ali.