Tirocinio o tiro a segno?

Qual è il titolo di giornale che leggete più di frequente? È probabile che politica e calcio la facciano da padroni, ma se andate nelle pagine di cultura e lavoro il tema più dibattuto al momento è “il lavoro del futuro”. Tutti gli analisti indicano che nei prossimi dieci anni, in particolare nei Paesi industrializzati, […]

Qual è il titolo di giornale che leggete più di frequente? È probabile che politica e calcio la facciano da padroni, ma se andate nelle pagine di cultura e lavoro il tema più dibattuto al momento è “il lavoro del futuro”. Tutti gli analisti indicano che nei prossimi dieci anni, in particolare nei Paesi industrializzati, la maggioranza dei lavori spariranno e saranno sostituiti da figure con altre professionalità e specializzazioni.

Dato quasi per scontato che in Italia la scuola non è in grado di seguire la velocità del cambiamento (anche se ci sono per fortuna eccezioni che fanno sperare), quali strumenti hanno le imprese per preparare i giovani? Negli anni per rispondere alla domanda le aziende hanno utilizzato molteplici metodi a seconda delle opportunità che offriva la legislazione, ma uno strumento ha transitato indenne, pur con qualche modifica, ogni riforma e cambiamento: lo stage.

 

Tirocini e stage, la via maestra per le assunzioni

Prima di andare nel dettaglio del concetto permettetemi una digressione. Esiste una bellissima parola italiana, che è tirocinio, e che ricorda come l’apprendimento fatto attraverso l’esperienza sia da sempre il metodo principale utilizzato in ogni ambito formativo, dal militare (da cui prende il nome) allo sportivo, fino appunto al mondo del lavoro, di cui le antiche botteghe d’arte sono il più fulgido esempio.

Negli anni, durante la mia esperienza come organizzatore di Job Fair, ho visto utilizzare il tirocinio in ogni maniera possibile, in generale differenziando tra PMI e grande azienda. Se le PMI hanno spesso proseguito lo stile delle botteghe d’arte, in cui il periodo di permanenza della “nuova figura” in azienda viene utilizzato per attività operative e per valutarne competenze e capacità, nelle grandi aziende gli approcci hanno metodi e risultati molto diversi. I dati che in quindici anni abbiamo raccolto sono stati eloquenti: nelle piccole aziende che partecipavano alla fiera l’85% circa degli assunti era passato da uno stage, di durata variabile quasi mai inferiore a tre mesi.

In linea generale, però, molte delle esperienze di tirocinio si caratterizzano per una linea comune: l’assenza di un piano e progetto condiviso e di obiettivi da raggiungere. Sì, ok, a livello burocratico se si usano forme di supporto regionali o statali si è costretti a compilare moduli su moduli in cui si indicano obiettivi, tutor, metodi e altro. Nella realtà, invece, si naviga a vista a seconda delle situazioni, e soprattutto a seconda di come le persone nell’ufficio di destinazione accolgono il nuovo venuto.

Sono molti gli elementi necessari a costruire uno stage che sia produttivo per entrambe le parti coinvolte – la famosa situazione win-win. Un tirocinio ben svolto consente prima di tutto un risparmio importante in termini economici, di tempo e di risorse per l’azienda, che può ridurre le selezioni e i rischi attraverso un processo di conoscenza approfondito del tirocinante. Dall’altro lato per il candidato è un’opportunità unica di mettersi in mostra (se vuole sfruttarla, beninteso) e di apprendere quei processi e metodi che a scuola sono impossibili da trasmettere.

Percorriamo insieme alcuni dei concetti chiave di un tirocinio di successo.

 

La job description

Il lavoro, anche quello di un tirocinante, necessita sempre di una direzione, e questo è particolarmente vero per studenti o neo diplomati/laureati che non hanno altre esperienze precedenti.

Definiamo obiettivi da raggiungere e metodi per la misurazione dei risultati. Stabiliamo regolari incontri di valutazione in cui dare al tirocinante l’opportunità di comprendere come migliorare le sue performance, e anche esprimere eventuali perplessità. Assegnate progetti che tengano il tirocinante sempre impegnato, per farlo sentire coinvolto.

 

Il tutor

Noto anche come mentor, è molto di moda, specialmente nel mondo delle startup. In realtà è una figura che esiste da sempre, ma che spesso viene intesa come chi deve dare i compiti al tirocinante. Il tutor deve trasmettere i valori dell’azienda, guidare il candidato verso gli obiettivi e le idee in cui deve credere. Ha un ruolo chiave nel coinvolgere e nel motivare il tirocinante.

Il tutor deve curare la motivazione del tirocinante mostrando apprezzamenti per il lavoro che viene svolto, elargendo suggerimenti per il suo miglioramento, e anche dando costante disponibilità per domande e dubbi.

 

Il ruolo

Solo fotocopie. Quante volte si sente dire dai candidati nei colloqui che la loro ultima esperienza di stage si è svolta nel fare fotocopie (per fortuna ormai in disuso) o fare caffè (che invece in disuso non va mai)? Riporto ciò che ho sempre detto alle aziende: lo stagista si prende se è necessario, e non per migliorare la propria percezione di responsabilità sociale. Nel ruolo rientrano compiti e obiettivi visti in precedenza. Occorre definire il rapporto con i colleghi, che cosa possono e non possono chiedere, che cosa spetta al tirocinante e che cosa ci si aspetta da lui. Inoltre è necessario verificare periodicamente, se non quotidianamente, che ci sia un effettivo coinvolgimento nel lavoro aziendale e che ci sia un reale apprendimento.

 

La compensazione

Un tirocinio ideale deve prevedere una retribuzione. Anche in questo caso i dati parlano chiaro. I tirocini remunerati hanno il 90% in più di probabilità di successo. Ritengo che le ragioni siamo semplici: per il tirocinante è uno stimolo all’impegno e un riconoscimento del proprio lavoro; per l’azienda è una motivazione a utilizzare il candidato per lavori che producono benefici reali, con quindi maggiore possibilità di valutazione delle competenze e capacità.

 

Restare in contatto

Questa, per esperienza, è l’attività in assoluto meno gestita dalle aziende. Un buon tirocinio, che ha quindi prodotto risultati sia per l’azienda che per il tirocinante, deve portare a un rapporto che non si esaurisce con il termine dello stage. È necessario comprendere che ogni relazione creata ha prospettive inattese: un tirocinante in futuro può aprire porte inaspettate, o può essere un candidato ideale per un ruolo stabile.

In sintesi, la realizzazione di un tirocinio ideale comporta lo sviluppo di un progetto vero e proprio in cui creare un piano di formazione e crescita. Solo in questo modo riusciremo a far sì che sia proficuo (anche in termini economici) per l’azienda. Se alcune aziende hanno compreso l’importanza di inserire il tirocinio all’interno della gestione risorse umane, diventando poi veri casi di studio e facendo quindi azione indiretta di marketing, lo stesso non si può dire per la globalità del tessuto imprenditoriale italiano.

Il tirocinio, infatti, rientra spesso in quella scarsa valutazione della formazione che viene fatta nelle aziende, per cui solo ciò che è obbligatorio per legge viene considerato un’opzione per corsi e aggiornamenti. Si perde così un’opportunità per dare nuova linfa sia alle aziende che alle future generazioni. I ragazzi affronteranno grandissimi cambiamenti nella tipologia dei lavori che si troveranno a svolgere, e necessitano di fare quell’esperienza nella risoluzione dei problemi e nella gestione delle relazioni che solo la pratica quotidiana e il confronto formativo possono dare.

Foto di copertina di Vince Fleming su Unsplash

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