Traditi dalle multinazionali

Tutto è iniziato con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno con la legge 646 del 1950. Avrebbe dovuto finanziare lo sviluppo dell’Italia meridionale con la realizzazione di opere pubbliche e di iniziative industriali, allo scopo di colmare il divario con l’Italia settentrionale. Oltre alle regioni del Sud Italia beneficiarono di questo istituto anche Ascoli Piceno […]

Tutto è iniziato con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno con la legge 646 del 1950. Avrebbe dovuto finanziare lo sviluppo dell’Italia meridionale con la realizzazione di opere pubbliche e di iniziative industriali, allo scopo di colmare il divario con l’Italia settentrionale.

Oltre alle regioni del Sud Italia beneficiarono di questo istituto anche Ascoli Piceno e alcuni comuni limitrofi, che divennero immediatamente molto appetibili per le grandi imprese del Nord Italia e per quelle società estere che cercavano di insediarsi sul territorio italiano.

Agli occhi di tutti apparve come la grande opportunità del territorio piceno, foriera di crescita e ricchezza. Alcuni decenni dopo, però, si è rivelata una cartina tornasole del mancato sviluppo.

Di questo argomento abbiamo voluto parlarne con il prof. Gian Luca Gregori, prorettore dell’Università Politecnica delle Marche e punto di riferimento degli aspetti economici e sociali del nostro territorio.

 

 

L’arrivo delle grandi imprese nazionali ed estere è frutto della Cassa del Mezzogiorno (Casmez)?

Le politiche di sviluppo dei governi del periodo avevano individuato in questo ente pubblico la possibilità di ridurre il divario economico e sociale del Meridione nei confronti delle regioni del Nord industrializzato. La possibilità di ottenere finanziamenti a fondo perduto a tassi fortemente agevolati e sgravi fiscali molto consistenti diede il via all’insediamento sul nostro territorio di molte grandi aziende, quali l’Elettrocarbonium SpA, la Cartiera di Ascoli del Gruppo Mondadori, Carlo Erba SpA, la Manuli SpA, la Ceat SpA, lo stabilimento Barilla, la giapponese YKK, etc. L’effetto immediato che si ebbe fu il miglioramento della situazione occupazionale con l’assunzione di tantissimi giovani. Il lavoro offerto era di tipo operaio e al massimo tecnico-produttivo, con retribuzioni soddisfacenti e sicure.

Appunto, lavoro offerto di tipo operaio che cosa significava?

Ha significato in modo prevalente la mancata crescita di figure apicali e la mancata creazione di un management locale a vantaggio di manager provenienti dalla casa madre, e al ricorso di professionisti anch’essi di riferimento del top management. Inoltre si è assistito a uno scarso sviluppo imprenditoriale locale principalmente per, diciamo così, l’assuefazione al fatto che il lavoro esisteva, e non era necessario realizzare aziende e studi complessi e di grande respiro. Almeno in una fase iniziale, allora, si è creato un indotto rivolto al servizio delle multinazionali, che prevedeva incarichi o commesse di lungo periodo; ciò non sempre ha promosso processi di internazionalizzazione.

Le produzioni diversificate che cosa hanno prodotto?

La diversità delle aziende presenti (si andava dalla produzione di silicio, carta, prodotti farmaceutici, prodotti alimentari…) non ha dato luogo alla nascita di nessun distretto industriale, con la conseguente mancata integrazione tra le aziende stesse e il tessuto sociale circostante. Forse l’unica vera forza, in quel periodo, e con la “testa tutta del territorio”, era il settore delle costruzioni. Alcune famiglie imprenditoriali locali negli anni ’70-’80-’90 hanno portato lo sviluppo edilizio non solo a livello territoriale ma anche nazionale. Poi anche queste imprese, chi per mancato ricambio generazionale chi per difficoltà di mercato, hanno segnato il passo con un ulteriore impoverimento del territorio.

Qual è stato il ruolo degli enti locali e delle “autorità” negli anni dello sviluppo e del successivo spopolamento?

Si può rilevare un atteggiamento piuttosto passivo, sia nel non considerare in modo efficace le esigenze delle aziende presenti nell’area, sia nel rispondere tardivamente ai “primi segnali di possibile fuga”; in altri termini, era dato piuttosto per scontato che “tutto continuasse nello stesso modo e che le multinazionali non avrebbero abbandonato il territorio”. Al contrario si poteva, con una buona dose di ragionevolezza, prevedere che la fine dei vantaggi fiscali e i nuovi vantaggi di costo che la distribuzione internazionale del lavoro aveva determinato avrebbe favorito un processo in accelerazione di fuoriuscita dal territorio di queste imprese. Questa situazione poteva essere quantomeno rallentata, ad esempio favorendo la nascita e lo sviluppo nel Piceno di centri di ricerca, di corsi di dottorato di ricerca, promuovendo una maggiore interazione con le università presenti. Ancora oggi, dopo molti anni, si parla della creazione di un polo scientifico-tecnologico, in realtà non pervenuto!

Come considera, invece, il comportamento delle multinazionali?

Possiamo dire che hanno tradito il territorio. È ovvio che il modificarsi del sistema competitivo internazionale ha determinato in molti casi la decisione, una volta finiti gli incentivi fiscali, di spostare altrove le produzioni per cercare di recuperare o salvare i loro margini operativi; peraltro, anche la mancanza di efficaci relazioni e collaborazioni con gli enti locali e con il territorio stesso non ha rallentato quella decisione. Inoltre, questo loro atteggiamento ha tradito le aspettative di quei cinquantenni che tanto avevano dato a queste aziende e si sono ritrovati in cassa integrazione con limitate possibilità di futuro reimpiego. Per non parlare, poi, dei problemi dello smaltimento dei rifiuti industriali lasciati sui siti e dei siti stessi, senza che nessuno si preoccupasse dei costi futuri da sostenere per il rispristino di qualsiasi altra attività. In sostanza, nessuna indennità di uscita è stata chiesta a queste società, lasciando l’onere del ripristino alla collettività locale. E qui, ancora una volta, è necessario riflettere sul sistema degli incentivi e sull’assenza di barriere all’uscita.

Il nostro territorio ha bisogno urgente di risollevarsi. In che modo possono incidere positivamente aziende come la Fainplast, la Sabelli, la Gabrielli?

Queste organizzazioni rivestono un ruolo determinante per il loro impatto sul sistema economico e sociale e sull’indotto a esse collegato. Magari ce ne fossero di più! In realtà, va osservato che la realtà del nostro territorio è caratterizzata da micro e piccole imprese: oltre il 95% del tessuto industriale è formato da aziende sotto le 50 unità di forza lavoro, che trovano (per la maggior parte) grandi difficoltà nell’operare sui mercati esteri, e nel mentre devono misurarsi con un mercato nazionale alquanto asfittico.

E il turismo, nonostante i ritardi e la mancanza di una vera strategia, potrebbe rappresentare una alternativa?

Pensare che il turismo possa sopperire in toto alla diminuzione dei posti di lavoro verificatisi nei settori più tradizionali è quasi impossibile. Che poi il settore possa crescere e dare una opportunità in più al territorio è auspicabile e raggiungibile. Rimane da capire quanto possa pesare in termine di accrescimento della ricchezza prodotta; in pratica stabilire quale incremento del PIL locale si può ottenere dal miglioramento dell’offerta turistica. Costituisce comunque una componente da monitorare con attenzione.

Ultimo nodo quello della nascita di un incubatore delle start up e magari, in futuro, di un polo tecnologico.

Il tema delle start up è un tema rilevante dove, però, il punto è non tanto farle nascere, ma soprattutto farle durare nel tempo. Ovvio, in aree sviluppate tecnologicamente e imprenditorialmente questo diventa più semplice, mentre in territori come il nostro le difficoltà aumentano. La ratio, comunque, è quella di provarci, ma tenendo bene in mente tre aspetti:

  • la multidisciplinarità, in modo da sfruttare tutte le competenze a disposizione;
  • la consapevolezza di questi giovani imprenditori di andare incontro anche a dei rischi di vario tipo;
  • la creazione di un sistema di connessioni e collegamenti che permetta di finanziarsi e di creare sinergie con il mondo esterno.

 

 

Dopo la chiara lettura del problema da parte del Prof. Gian Luca Gregori aggiungo solo che, avendo svolto per oltre sedici anni il mio lavoro alla Cartiera di Ascoli, ho vissuto in prima persona l’avvento delle multinazionali e la loro “fuga”. Quello che mi porto dietro è un bagaglio professionale importante e, per contro, la percezione o forse la consapevolezza che si poteva fare molto di più per il miglioramento di questo territorio.

 

Photo credits by Kilometriefoto. Piazza del Popolo, Ascoli Piceno.

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