5 novembre, il primo sciopero nazionale in pandemia è per la Whirlpool di Napoli. I sindacati: “Lotte come questa possono cambiare il Paese”.
Università, la ripartenza è a Sud
Non è passato molto tempo da quando si parlava tanto, a colpi di teoria più che di pratica, di teledidattica universitaria; capitava fino al giorno prima che il coronavirus sconvolgesse anche il mondo degli atenei italiani. Se ne parlava, appunto. Perché dal punto di vista della concretezza si procedeva – chi più, chi meno – […]
Non è passato molto tempo da quando si parlava tanto, a colpi di teoria più che di pratica, di teledidattica universitaria; capitava fino al giorno prima che il coronavirus sconvolgesse anche il mondo degli atenei italiani. Se ne parlava, appunto. Perché dal punto di vista della concretezza si procedeva – chi più, chi meno – con la cautela dettata dalla diatriba fra tradizionalismo e innovazione. Sullo sfondo, a prescindere dalla pandemia, il calo costante delle iscrizioni alle università: dal 2003/04 al 2018/19 hanno perso – secondo il rapporto Almalaurea – oltre 37.000 matricole, con una contrazione dell’11,2% e un crollo più marcato nel Sud Italia (-23,6%). Finché l’irruzione del virus ha costretto tutti, nel mondo universitario (e non solo), ad adottare da un giorno all’altro procedure nuove per insegnare, fare esami, condurre master, organizzare sedute di laurea.
Una rivoluzione alla quale il sistema universitario ha saputo rispondere. Se l’è cavata bene anche quello del Mezzogiorno, con l’orgoglio di poter reggere la concorrenza degli atenei del Centro-Nord (soprattutto del Nord). Proprio quelli che attirano ogni anno un quarto degli studenti universitari del Sud; con punte tra pugliesi e siciliani, come ha rilevato nel giugno del 2018 il più recente studio in materia, quello dello SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno). Di certo pesa in questo senso la carenza di posti di lavoro nel Mezzogiorno per i laureati, mentre il Nord garantisce più rapidamente sbocchi e retribuzioni migliori.
Due anni fa lo SVIMEZ ha calcolato che, su 685.000 studenti meridionali iscritti all’anno accademico 2016/17, ben il 25,6% – 175.000 – studiava nel Centro-Nord. Puglia e Sicilia, con 40.331 (31,9%) e 42.403 (27.3%) studenti andati a Nord, sono le protagoniste. Il record spetta a Basilicata (il 43,7% se ne va), Molise (42,2%), e Abruzzo (36,4%), sebbene abbiano i loro atenei. La Campania invece ha “appena” il 14.2% di studenti “migranti”. In ogni caso, questo flusso ogni anno fa perdere al Mezzogiorno lo 0,4% del PIL: 3 miliardi.
“La perdita di una quota così rilevante di giovani ha, già di per sé, un effetto sfavorevole sull’offerta formativa delle università meridionali”, ha sottolineato due anni fa il direttore di Svimez, Luca Bianchi. “La parte prevalente non ritorna nelle regioni di origine, indebolendo le potenzialità di sviluppo dell’area attraverso il depauperamento del cosiddetto capitale umano”.
1.200 euro agli studenti che tornano in Sicilia
Tuttavia negli ultimi mesi, con il COVID-19, ci sono stati il rientro precipitoso di molti universitari meridionali dal Nord e la dimostrazione della capacità degli atenei del Sud di far fronte all’emergenza. Insomma, quanto basta per sollecitare l’orgoglio meridionale pure sul fronte accademico.
Così ha cominciato la Sicilia. Come? Partendo dal decreto Rilancio e dai 290 milioni destinati al diritto allo studio: ecco un bonus da 1.200 euro, erogato nel prossimo anno accademico, per ogni studente emigrato (in Italia o all’estero) affinché torni a casa. Pare che abbiano aderito circa 10.000 giovani. Sulla Gazzetta del Mezzogiorno, storico quotidiano pugliese, l’ex direttore Lino Patruno, a fine maggio, in un editoriale di successo ha lanciato un appello perché l’iniziativa siciliana sia replicata, al grido: “‘Ragazzi che studiate in università del Nord, tornate al Sud”. Perché? “Ora più che mai il Sud ha bisogno di loro… Più che l’ennesima occasione per continuare a penalizzare il Sud, l’epidemia deve essere l’occasione per tenersi a casa quei giovani ora costretti a spopolarlo e impoverirlo”.
Insomma, la questione meridionale, tanto più dopo il COVID-19, passa anche attraverso la fine della diaspora degli studenti? Senza Filtro ne ha parlato con i rettori di tre atenei statali del Mezzogiorno: (in ordine alfabetico) Stefano Bronzini (Università “Aldo Moro”, Bari), Francesco Cupertino (Politecnico, Bari) e Arturo De Vivo (Università “Federico II”, Napoli).
Stefano Bronzini, Università di Bari: “Le discoteche più accessibili delle università”
Il rettore dell’Università di Bari, Stefano Bronzini: “Mi preoccupa più il calo delle iscrizioni alle università italiane, tutte, piuttosto che il trasferimento di alcuni studenti in altre regioni”, dice. E aggiunge, ironicamente: “Ma non mi scandalizzo se le discoteche sono in questo momento più accessibili delle università”. In che senso? “Le prime sono aziende private capaci di porsi il problema dell’adeguamento strutturale, dei posti di lavoro e della stagionalità. Gli atenei invece sono rimasti agibili solo nei limiti permessi dalle normative più o meno emergenziali e dal livello di modernizzazione, si fa per dire, delle strutture. Se vogliamo parlare seriamente, qualsiasi governo dovrà non vergognarsi di fare autocritica per le scarsissime risorse destinate alle università”.
Insomma, il virus col nodo-risorse non c’entra. “Esatto. Noi abbiamo fatto tutto quello che si poteva a costo zero, attraverso la digitalizzazione, per svolgere lezioni, esami, sedute di laurea. Però la teledidattica non può essere un alibi, ora che abbiamo capito che è praticabile”. In che senso? “D’ora in poi faremo solo lezioni a distanza? E la funzione dell’università come terreno di confronto verticale, tra docenti e studenti, e orizzontale, tra gli stessi docenti, tra studenti e studenti?”. Quindi lo shock del coronavirus a che cosa è servito? “Ha messo in evidenza tutto ciò in cui non si è mai investito nel corso di lunghi anni. Un nemico invisibile ha reso visibile quello che qualcuno non voleva vedere, sebbene fosse evidente da tempo. L’iniziativa siciliana ha fatto clamore, ma per garantire il diritto allo studio non basta un bonus assistenziale: bisogna intervenire su strutture, organici, merito e reddito, sul tessuto economico-imprenditoriale e sul territorio (i mezzi di collegamento, per esempio). Bisogna anche domandarsi se, con la teledidattica, qualità dell’apprendimento, soglia di attenzione e tempi di preparazione sono accettabili sempre e comunque, o no”.
E gli investimenti legati all’emergenza? “Ora come ora si tratta più di elargizioni che di investimenti. La modernità anche nelle università è stata applicata per causa di forza maggiore, non è stata governata. Mi pare necessario sollecitare governi nazionali e regionali a interrogarsi sulla necessità di investire nell’ammodernamento delle strutture universitarie. Alla crisi delle immatricolazioni si reagisce con interventi strutturali, non con soluzioni assistenziali a tempo”.
Francesco Cupertino, Politecnico di Bari: “Dallo 0 al 98% di didattica a distanza in due giorni. Ma servono nuove regole”
Francesco Cupertino, rettore del Politecnico di Bari, vede le cose dalla finestra di un ateneo che forma architetti, ingegneri e disegnatori industriali, ed è in controtendenza rispetto al calo delle immatricolazioni. “Negli ultimi tre anni c’è stato un aumento del 38% per le triennali a ciclo unico”, dice. Con dati da ateneo “nordista”: “Abbiamo il 94% di occupati a tre anni dalla laurea, il 60% dei quali trova lavoro in Puglia e nel Centro-Sud. Possiamo anche vantare 13 iniziative importanti avviate col Laboratorio pubblico-privato. Insomma, siamo riusciti a interagire bene con amministrazioni pubbliche e imprese”.
Quindi la digitalizzazione forzata della didattica non vi ha colti impreparati? “Avevamo già avviato un percorso con strutture e dotazioni. Di certo questa vicenda nel giro di due giorni ci ha portati dallo 0% al 98% dell’attività didattica a distanza. Il bello è che a gennaio mi ero messo a cercare volontari per sperimentare la tecnologia digitale nella didattica in presenza (cioè in aula, N.d.R.): interazione sui personal computer, chat con i docenti, eccetera. L’emergenza ha impresso un’accelerazione incredibile, altrimenti ci sarebbero voluti anni”.
Anche il rettore del Politecnico pensa che non basti qualche bonus per “conquistare” gli studenti: “Occorre investire in didattica, digitalizzazione, strutture, qualità. Ovviamente anche nei docenti. Purché cambino le regole”. Si riferisce al fatto che gli atenei meridionali sono penalizzati da regole che danno più risorse a quelli con i bilanci migliori, quindi agli atenei settentrionali, in grado così di ampliare organico e offerta? “Di certo col sistema attuale c’è un esodo di professori verso Nord”. Gli incentivi di tipo siciliano servono? “Diciamo che io non sarei tanto contento se sapessi che uno studente viene al Politecnico solo perché paga un po’ meno tasse”.
Arturo De Vivo, Università di Napoli: “Le università del Sud? Per il rilancio serve investire sul lavoro”
Il rettore dell’Università statale di Napoli, Arturo De Vivo, guarda il panorama post-COVID da uno dei più antichi atenei del mondo, fondato nel 1224 da Federico II di Svevia. Anche lì vanno in controtendenza: “Le ultime iscrizioni sono aumentate del 5,6% rispetto al precedente anno”, dice. “Quello che preoccupa è il calo di iscrizioni medio che si registra nel Paese”.
E l’impatto del coronavirus? “In pochissimo tempo abbiamo attivato la didattica a distanza: più di 3.500 corsi. L’offerta ora è molto integrata e inclusiva. E senz’altro si rivelerà importante sotto molto aspetti, per esempio per le opportunità offerte a studenti-lavoratori, studenti diversamente abili e corsi di supporto”. Avevate già fatto esperienze di questo tipo? “Certo. È il caso delle Academy, corsi legati a una prospettiva professionalizzante, in rapporto con le aziende. Inoltre c’è la Scuola superiore meridionale, internazionale e di alta formazione e ricerca, con un’offerta didattica sia per studenti ordinari sia per i dottorati. Ai nostri dottorati, per capirci, si iscrivono un terzo dall’Italia, il resto dall’estero. Poi la cosiddetta piattaforma Federica (Federica Web Learning, Centro per l’innovazione, la sperimentazione e la diffusione della didattica multimediale, N.d.R.), anche se è nata 15 anni fa, ci ha aiutati”.
L’esperienza della pandemia è stata una buona occasione? “Una grande occasione. Ora il nostro obiettivo non è quello di tornare come prima: non è esaltante. Semmai dobbiamo imparare da questa esperienza per ovviare alle criticità dell’università pre-COVID”. Il sistema universitario del Sud ne trarrà particolari benefici? “Tutto il sistema nazionale deve essere rilanciato. Certo, al Sud è anche una questione di prospettive di lavoro. Sarebbe necessario un forte investimento per avere un tessuto pubblico, economico e imprenditoriale adeguato. Questa non è una questione delle accademie, è una questione legata alla capacità di governo e di programmazione”.
Photo credits: skuola.net
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