Le città hanno bisogno di atenei per richiamare e trattenere i giovani laureati. Tuttavia, anche i centri universitari hanno molta strada da percorrere.
Università telematiche, +300% iscrizioni ma 1 docente ogni 385 studenti
Nel 2023 più di uno studente su dieci era iscritto a un ateneo online, ma solo un’università telematica soddisfa i criteri di valutazione previsti: tra i vari problemi spiccano il precariato degli insegnanti e il loro numero esiguo. E, da enti privati a scopo di lucro, le telematiche godono di milioni di fondi pubblici
Sono undici, hanno ormai vent’anni e sono sempre più protagoniste del panorama accademico italiano. Sono le università telematiche, istituzioni private balzate in alcuni casi agli onori della cronaca per il protagonismo o le vicende giudiziarie dei loro fondatori, come nel caso di Unicusano e del suo patron Stefano Bandecchi, divenuto sindaco di Terni e indagato per reati tributari, o di e-Campus, creata dopo l’esperienza di CEPU da Francesco Polidori, arrestato nel 2021 per bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio ed evasione fiscale fraudolenta.
Le università telematiche sono state istituite due decenni fa con la legge 289/2002, che determina criteri e procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici. Legge seguita, pochi mesi dopo, dal decreto ministeriale che ne declina i parametri di accreditamento, istituendo gli organismi di controllo incaricati di vigilare sul rispetto dei requisiti di operatività e qualità, tra cui l’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca); il suddetto decreto prevede criteri e requisiti semplificati per le telematiche, soprattutto in relazione al personale docente.
Tra il 2004 e il 2006 sono accreditate e rese operative undici università telematiche, cioè quelle esistenti ancora oggi, ma qui ci si ferma perché l’allora governo Prodi, attraverso il ministro dell’Università e della ricerca Mussi, con il DL 262/2006 di fatto ha bloccato l’istituzione di nuovi atenei telematici.
Ma di cosa parliamo quando ci occupiamo di questa realtà?
Mai così tanti iscritti nelle università telematiche: sono più del 10% del totale
Quello delle università telematiche è un mondo assai complesso, fatto di studenti e docenti, ma anche di interessi economici, intrecci tra proprietà, organi accademici e politica, a volte tanto complessi da apparire fumosi. E poi ci sono pratiche didattiche, reclutamento del personale e attività di ricerca che corrono sul filo della legittimità, e suscitano non poche perplessità.
Undici atenei, dicevamo: e-Campus, Unimarconi, San Raffaele, Pegaso, Mercatorum, Unitelma, Unifortunato, Unicusano, IUL e Unidav. Realtà cresciute in modo esponenziale dal 2016, e ancor di più dal 2020, complice la pandemia che ha messo l’acceleratore alla didattica a distanza. Tra gli anni accademici 2015/2016 e 2023/2024 gli atenei telematici hanno conquistato quasi 189.000 studenti (+303,07%), contro i 257.000 delle università italiane nel loro complesso (+15,5%). In pratica, oltre il 73% della crescita delle iscrizioni è dovuta all’espansione delle telematiche. Non solo. Secondo il rapporto ANVUR 2023, ormai più del 10% degli studenti universitari è iscritto a un ateneo di questo tipo.
La possibilità di seguire i corsi e, molto spesso, sostenere gli esami in forma telematica, attrae moltissimi lavoratori, che riescono così a concludere un percorso cominciato in atenei pubblici, o addirittura a iniziare e portare a termine gli studi accademici. Sempre secondo ANVUR, nell’anno accademico 2021/22 in queste università il 57% degli iscritti (quasi 2/3) aveva almeno 28 anni e oltre il 45% superava i 31, mentre quasi il 60% dei laureati aveva almeno 28 anni.
Per concludere con i numeri e dare una visione complessiva del fenomeno, in questi anni si è allargata negli atenei telematici anche la quota degli immatricolati. Negli ultimi tre anni accademici, dal 2020/21 al 2022/23, oltre 22.000 studenti si sono immatricolati negli atenei telematici, cioè il 7% di tutte le matricole italiane, in crescita rispetto al 5,2% dell’anno accademico 2019/20. Si tratta di un aumento di oltre il 40%, che concentra in queste università il 35% dell’incremento complessivo delle matricole registrato in questi anni da tutte le università italiane (+17.000).
Solo una telematica è valutata “pienamente soddisfacente”
Ma che cosa trovano gli studenti che si iscrivono alle telematiche?
Iniziamo col dire che ci si può laureare online praticamente in tutto, da Giurisprudenza a Ingegneria, da Economia a Scienze dell’educazione, da materie dell’area sanitaria a Lettere. Tuttavia, esiste un limite considerevole: i corsi di laurea disponibili sono solo 149, a fronte di un’offerta pubblica di oltre 5.000 corsi di studio. Parliamo del 3% del totale dei corsi di livello universitario. La maggior parte dei corsi negli atenei a distanza afferisce all’area economico-giuridica e sociale (45,6%) e a quella STEM (25,5%); seguono le discipline artistiche, letterarie e dell’educazione (22,1%), e infine quelle sanitarie e agro-veterinarie (10, 6,7%) e i corsi di Scienze motorie.
A giudicare da questa fotografia il sistema delle telematiche parrebbe vincente, capace di attrarre sempre più studenti, anche quelli ai quali sarebbe altrimenti preclusa la possibilità di laurearsi. Ma se i numeri sono dalla loro parte, spingendo lo sguardo subito oltre le statistiche vediamo che ci sono più ombre che luci; a partire dalle valutazioni espresse da ANVUR per concedere l’accreditamento alle università telematiche. Delle undici riconosciute, solo una (Uninettuno) ha ottenuto un giudizio del tutto soddisfacente, mentre la maggioranza (e-Campus, Unimarconi, San Raffaele, Pegaso, Mercatorum, Unitelma, Unifortunato, Unicusano) si ferma a soddisfacente, e due (IUL e Unidav) hanno ottenuto un giudizio condizionato.
Università telematiche, uno slalom tra le irregolarità
Tutto questo potrebbe anche passare come una delle tante distorsioni di un sistema che applica la logica del profitto a beni e valori primari come l’istruzione, se non fosse per quattro elefanti nella stanza: l’assenza di una chiara regolamentazione normativa; le condizioni di lavoro del personale docente, che pongono un problema non solo di tutela dei lavoratori ma anche di qualità dell’insegnamento; le modalità di erogazione della formazione e delle verifiche di apprendimento; l’iniezione di fondi pubblici che, ogni anno, entrano nelle casse di questi atenei nonostante le rilevate criticità, e la scarsa valutazione da parte degli organi di controllo della qualità didattica e di ricerca.
Alla base di tutto c’è una normativa che fatica a regolamentare le nuove forme di erogazione della formazione, complice anche l’intreccio di interessi tra politica e privati in un sistema che vede nell’università una fonte di profitto. Eppure, già nel 2013 una commissione di studio ad hoc voluta dal MIUR segnalava la necessità di rendere omogenea la disciplina relativa alle telematiche rispetto a quella prevista per gli atenei tradizionali e, al fine di garantire la qualità dell’offerta formativa, di stabilire un termine per il raggiungimento dei requisiti quantitativi dei docenti, giudicati sottodimensionati, oltre che di introdurre l’obbligatorietà dell’attività di ricerca prevista nel pubblico.
Per dare seguito a queste indicazioni, nel 2021 il ministero ha emanato un decreto che ha rivisto, tra l’altro, i requisiti didattici in termini di tipologia di docenti incardinati, senza prevedere distinzioni fra atenei telematici e tradizionali, ma anche senza attuare una generale revisione della regolamentazione. La data di verifica dei nuovi requisiti è stata fissata al 30 novembre di quest’anno; una scadenza che, falliti i tentativi di alcuni deputati leghisti per ottenere una proroga di un anno, pende come una spada di Damocle sulle telematiche, che stanno cercando di correre ai ripari attraverso un importante piano di assunzione di nuovi docenti.
I docenti sono pochi e precari: ce n’è uno ogni 385 studenti. E la qualità della didattica si abbassa
Quello del corpo docente è uno dei punti deboli strutturali di tutto il sistema delle telematiche, su diversi fronti. Innanzitutto, il suo sottodimensionamento rispetto alle esigenze della didattica.
ANVUR, nel suo rapporto 2023, sottolinea che – al di là dei requisiti minimi – nelle università telematiche c’è un rapporto tra studenti e docenti di ruolo non adeguato. Se negli atenei tradizionali si parla di 28,5 studenti per docente nel 2022, con un miglioramento di due unità rispetto al 2012, nelle telematiche questo rapporto schizza a 384,8, in crescita rispetto ai 152,2 di dieci anni prima. Si tratta di un indicatore fondamentale della qualità dell’istruzione, centrale nella valutazione di qualunque università.
Ma la criticità non si limita ai numeri, e coinvolge anche l’inquadramento degli insegnanti. Secondo un rilevazione FLC CGIL su dati USTAT e CINECA, i professori ordinari (che sono assunti a tempo indeterminato) nell’università italiana al 2023 erano 16.086, il 25.23% del totale, mentre nelle telematiche si fermano al 14.07% (il 44% in meno delle tradizionali). Viceversa, nelle telematiche il personale a tempo determinato, ossia professori straordinari (inquadrati come ordinari, ma assunti con fondi esterni su contratti triennali) e RtdA (figure destinate alla ricerca, ma con obblighi didattici che sono circa la metà di quelli di un professore), è il 29.51%; in pratica, il doppio rispetto alle tradizionali. Come rileva ANVUR, la forte incidenza di insegnanti straordinari si deve al fatto che negli anni passati molti atenei li hanno usati per formare gli organici necessari a soddisfare i requisiti di docenza per l’accreditamento dei corsi di studio.
L’alta percentuale di docenti precari incide sulla qualità dell’insegnamento, così come l’adozione di procedure di valutazione a distanza, che non garantisce un’adeguata verifica dell’apprendimento, imposta invece dai criteri di accreditamento dei corsi di studio e degli atenei a distanza: sarebbe previsto che avvenisse sia attraverso il tracciamento del percorso che attraverso frequenti momenti di valutazione e autovalutazione. Tuttavia, molti atenei telematici ancora oggi permettono di fare esami di profitto online, sostenendo la prova da casa o da altro luogo privato, tramite l’uso del pc o di altre piattaforme. Una pratica che, a quanto risulta da un’indagine FLC CGIL, interessa anche le discussioni delle tesi di laurea.
Si è estesa quindi in modo illegittimo quella possibilità di erogare a distanza sia le lezioni che le prove d’esame, stabilita dalla legge per fare fronte alla pandemia da COVID-19, ma cessata il 31 marzo 2022 con la fine dello Stato di emergenza.
Eppure tutte queste criticità non sono sufficienti a impedire che il ministero versi ogni anno milioni di euro alle università telematiche, cioè a istituzioni private a scopo di lucro. Finanziamenti leciti, per carità, perché previsti dalla legge 243/1991, ma che nel 2023 hanno portato nelle casse degli undici atenei ben 2.592.491 euro di finanziamenti pubblici, e quasi 23 milioni di euro in dieci anni.
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