Veneto, ambulanti in crisi. E Venezia rimpiange i vecchi problemi

Le piazze venete prima non avevano controlli, adesso sono vuote. La testimonianza di Ilario Sattin (FIVA Veneto) e Roberto Magliocco (presidente di Confcommercio-Ascom di Venezia): “Ristori insufficienti e problemi con gli abusivi. Gli ambulanti regolari sulla soglia della povertà”.

“Continuiamo a soffrire di mancati controlli nelle piazze, sia per l’occupazione abusiva di spazi che per la concorrenza sleale di venditori stranieri, cui si aggiunge la poca attenzione dei ristori nei confronti di tutta la filiera.”

Ilario Sattin, presidente della sezione veneta della Federazione Italiana dei Venditori Ambulanti di Confcommercio-Ascom, torna a indicare il grande tallone d’Achille dei mercati veneti, in particolare delle piazze padovane, dove lui stesso è coprotagonista e dove il timone del settore resta saldamente nelle mani degli autoctoni, contrariamente alla tendenza nazionale. Lo stesso Sattin, intervistato da SenzaFiltro nel 2018, aveva sostenuto che “il mercato resiste soprattutto nei paesi, perché è rimasto l’unico luogo all’aperto e pubblico, dedicato alla socialità”.

Quella forma di socialità fatta di aggregazione, soprattutto fisica, tra le fila dei banchi. Proprio quell’antico rito dello “struscio” casereccio, che oggi bisogna evitare per arginare i contagi. Provvedimento che tanto sta costando al settore anche in Veneto, dove lo scorso primo aprile gli ambulanti inferociti si sono raccolti in protesta a Marghera, tra slogan ed eloquenti corde da impiccato attorcigliate intorno al collo.

Ambulanti in Veneto, i ristori non bastano

Circa 9.600 i banchi con ogni tipologia di merce esposta e che si snodano nelle piazze del Veneto a giorni alterni, tra mercati rionali, di paese, fiere e sagre. Un giro d’affari bloccato giocoforza dalla pandemia, che ha imposto la sospensione completa dei mercati durante il primo lockdown, e che deve continuamente adeguarsi agli aggiornamenti delle disposizioni ministeriali.

Nel periodo della zona rossa gli unici esercizi cui è permesso lavorare sono quelli del settore alimentare, i banchi di biancheria intima e di calzature, ma esclusivamente da bambini. Tutto il resto viene considerato bene non essenziale, e quindi rinunciabile. Il distanziamento sociale viene rispettato facilmente anche grazie ai clienti, che ormai hanno interiorizzato il comportamento da tenere davanti ai banchi, cui si accede singolarmente ormai d’istinto.

“I ristori – dice il presidente della FIVA Sattin – ci sono arrivati in due stralci da seicento e da mille euro, lo scorso anno, e abbiamo potuto scalare le tasse comunali per l’occupazione del suolo pubblico in proporzione ai mesi in cui non abbiamo lavorato. Ma abbiamo perso gli incassi di Pasqua, la scorsa e quest’ultima, e dello scorso Natale, che hanno un peso importante per noi ambulanti. Inoltre è tutta la filiera che soffre, e di questo non si tiene conto; perché nel momento in cui non posso vendere io che ho il banco di abbigliamento, per fare un esempio, è chiaro che non lavorano più neanche il mio rivenditore all’ingrosso e la fabbrica che quei capi li realizza”.

Piazze senza controlli e mercati alla mercé degli abusivi

Permane dunque un certo doppiopesismo nella gestione del commercio ambulante. Perché alle riaperture a singhiozzo va sommato uno storico punto nevralgico per il settore, cioè la mancanza di controlli sul corretto svolgimento delle piazze.

“Padova conferma la controtendenza rispetto al resto d’Italia – continua Sattin – con il 75% circa di ambulanti locali, ma rimangono intatti anche i punti deboli presenti pre-pandemia. Sono molti gli ambulanti stranieri che con la bancarella occupano più dei quaranta metri previsti, arrivando a cinquanta-sessanta, e che soprattutto alterano il mercato con prodotti messi in vendita a uno o due euro. Credo che cifre così si possano tenere solo con prodotti di seconda mano, ma in questo caso abbiamo l’obbligo di esporre il cartello ‘merce usata’, cosa che non accade. Di tanto in tanto si vedono cartelli con scritto a penna ‘fondi di magazzino’, ma sono avvisi molto provvisori e decisamente poco chiari”.

Eppure i numeri della polizia locale di Padova mostrano che dei 121 verbali emessi nel 2019 per occupazione abusiva di suolo pubblico, solo tre erano riconducibili a venditori ambulanti. Nel 2020 solo un verbale su 80. Quest’anno, su diciassette verbali emessi, non figura alcun venditore interessato. “Come già ho spiegato anche in passato – ribadisce Sattin – se non ci sono vigili in organico per appurare il corretto svolgimento dei mercati, non ci sono neanche le multe”.

I mercati di piazza a Venezia

E contro l’abusivismo, crisi da alluvione prima e pandemia poi, hanno potuto agire dove hanno fallito i controlli delle autorità, in una città universalmente definita unica: Venezia. Preclusa al turismo estero, lo splendore della città lagunare (che lo scorso 25 marzo ha compiuto 1.600 anni) è beneficio dei soli italiani, in particolare dei veneti obbligati ai confini regionali in base al colore sancito dal tasso di rischio contagi.

Hanno approfittato di questa inedita Venezia una coppia di coniugi padovani, Carlo e Alba, “turisti per caso” qualche settimana fa tra i ponti del Canal Grande. “Non l’avevamo mai vista così”, dicono, “con una piazza San Marco praticamente deserta, ancora più maestosa nel suo silenzio. Ci hanno colpito i ristoratori che dalla porta del loro locale ti invitano a entrare specificando che non si paga né il servizio né il coperto, e i gondolieri, che ora lavorano solo con i veneti, ai quali dicono di applicare una tariffa agevolata. È stato impressionante nell’insieme, anche se resta sempre una città bellissima. Dei soliti venditori ambulanti, però, delle bancarelle di souvenir, neanche l’ombra”.

Ci restituisce una fotografia numerica della situazione il presidente di Confcommercio-Ascom di Venezia, Roberto Magliocco.

“A fronte di ricavi nell’ordine di 40-50.000 euro per i primi dieci mesi del 2019 – spiega – noi ambulanti siamo arrivati ai 5.000 euro del 2020. Una caduta verticale, perché Venezia vive per il 90% di turismo, attualmente azzerato, e quindi oggi gli ambulanti sono sulla soglia della povertà.”

“Gli abusivi qui sono scomparsi semplicemente perché non c’è più mercato, ma il fenomeno c’è, e costituisce anche per Venezia un grosso problema non risolto. Usano spazi per i quali non pagano e non rispettano neanche il codice merceologico. Sono venditori provenienti prevalentemente dal Bangladesh; danno sempre indirizzi fittizi, per cui anche quando vengono multati per le loro infrazioni non pagano, perché tanto non sono reperibili e quindi neanche rintracciabili dall’Ufficio Riscossione crediti dell’Ufficio Entrate. Dopo un paio d’anni al massimo spariscono e fanno subentrare un parente, che a sua volta diventerà invisibile.”

“Proprio per questo come Ascom abbiamo proposto di rilasciare l’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico solo su fideiussione, e il comune sta valutando la cosa, anche perché si rende conto che il fenomeno aumenta il degrado della città, toccando da vicino non solo gli ambulanti, ma anche i negozianti”.

Il tracollo economico del settore a Venezia, strettamente legato alla spiccatissima vocazione turistica della città, non poteva che travolgere tutti gli ambulanti. “I mercati di piazza sono indirizzati all’80-90% ai residenti”, dice ancora Magliocco. “A Venezia però non è così. Solo il 20% è riservato agli abitanti, il rimanente si fonda sul turismo degli stranieri”.

Effetto pandemia: Venezia rimpiange i problemi di un tempo

Una lezione molto dura, quella impartita dalla pandemia alla città lagunare. Celebre per la sua bellezza, fragile e incantevole, ma anche per le sue contraddizioni socio-ambientali, con le invettive dei veneziani contro le vituperate invasioni di stranieri e le paratie del Mose che solo di recente sono riuscite a far scudo all’acqua alta.Ed è datata 31 marzo 2021 l’approvazione del decreto-legge che stabilisce debba avvenirefuori dalla lagunal’approdo definitivo delle grandi navi (come chiesto dall’Unesco).Sempreverdi invece le dure critiche ai commercianti, spesso un po’ troppo inclini a imporre prezzi a cinque stelle tanto ai turisti quanto ai pochi abitanti della città lagunare rimasti, costretti all’esodo dall’esoso costo della vita.

Il tempo delle polemiche oggi sembra lontano un’era geologica. Ora tutti hanno nostalgia di tutto. Anche della calca asfissiante sui ponti gremiti. Anche dei vaporetti sempre troppo radi e affollati per chi si avventurava a lavorare a Venezia.

Magliocco conclude così, con un’amara autocritica e un auspicio: “Avremmo dovuto conservare da parte più risorse per i momenti difficili quando le cose andavano bene”, afferma. “Lo dico tanto a chi governa quanto a livello individuale, mi metto davanti io per primo. La situazione però oggi vede qui da noi 5.000 aziende in bilico. Venezia è una città troppo particolare che sta risentendo enormemente degli effetti della pandemia, ed è necessario che regione e governo se ne rendano conto. I ristori arrivati finora, qui, non bastano neanche per pagare le bollette della luce. Spero in un’azione più mirata, che tenga conto della nostra specificità”.

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