I mercati di piazza non mollano. Stranieri: croce e delizia

Nell’era di Amazon e dei market aperti sempre e ovunque, qui il mercato paesano resiste grazie alla forza della tradizione e all’arte del saper vendere, pur tra un nuovo abusivismo e un’anarchia senza precedenti. Siamo in Veneto, dove tutt’oggi sono diecimila gli operatori nel settore dei mercati e delle fiere. Solo Padova ne conta tremila, […]

Nell’era di Amazon e dei market aperti sempre e ovunque, qui il mercato paesano resiste grazie alla forza della tradizione e all’arte del saper vendere, pur tra un nuovo abusivismo e un’anarchia senza precedenti. Siamo in Veneto, dove tutt’oggi sono diecimila gli operatori nel settore dei mercati e delle fiere. Solo Padova ne conta tremila, tra gli ambulanti che ogni sabato popolano di voci e colori il Prato della Valle per l’intera giornata, e quanti quotidianamente sono impegnati nei tre mercati delle piazzette. Ciclicamente c’è anche il mercatino dell’antiquariato, che interessa centri turistici come le terme e le città murate.

Al tempo dei mercati paesani

Il mercato di paese dunque funziona ancora, con i suoi venditori di fiducia, il pescivendolo che “sa che cosa voglio”, e il prodotto di qualità garantito perché “chi più spende meno spende”. Non è facile però portare avanti tradizione, cultura popolare e commercio di qualità, perché il contesto sociale è profondamente cambiato, come pure il rigore nell’applicare le leggi che normano questa fetta di commercio, soprattutto nei confronti di commercianti stranieri che operano nell’irregolarità.

Una presenza, quella extracomunitaria, che mediamente nella penisola ha superato quella italiana, con il 55-58% di esercenti stranieri, ma che a Padova segna un’inversione di tendenza, con una prevalenza autoctona fermamente salda al 75%. Un tempo i vigili passavano sistematicamente a controllare che l’ambulante avesse rispettato lo spazio assegnatogli e a riscuotere la tassa comunale per l’occupazione del suolo pubblico a fini commerciali. Per esercitare serviva la licenza.

Il posto per il banco veniva conquistato: i precari si presentavano in anticipo il giorno di mercato e i vigili stessi assegnavano per la giornata i posti vacanti ai candidati, che dovevano distinguersi per assiduità. Quando i posti liberi erano inferiori alle richieste si doveva far ricorso al sorteggio, fenomeno che negli anni ’70-‘80 si verificava sistematicamente nelle piazze turistiche più ambite come quelle di Abano e Montegrotto, nel padovano, dove le terme attiravano frotte di tedeschi dal marco fortissimo e dal cuore debole davanti a tutto ciò che è italiano.

La correttezza nell’occupazione degli spazi e il pagamento regolare delle tasse erano cosa certa. Con il tempo i posti venivano assegnati ai meritevoli che diventavano così titolari. I posti di ogni mercato facevano il “giro”, cioè l’insieme delle concessioni, un pacchetto che a fine carriera veniva venduto ai nuovi commercianti. Una sorta di trattamento di fine rapporto.

Mercati di piazza e mancanza di controlli

Oggi è tutto cambiato, come spiega il presidente della FIVA, la Federazione Italiana dei Venditori Ambulanti, Ilario Sattin.

Il mercato resiste soprattutto nei paesi, perché è rimasto l’unico luogo all’aperto e pubblico, dedicato alla socialità. Il settore permette ancora oggi di vivere bene, ma tra tante difficoltà. La prima è creata dai controlli quasi inesistenti degli ambulanti stranieri, cinesi ma soprattutto pachistani, da parte dei vigili. Un tempo la polizia locale era rigorosissima nel far rispettare gli spazi e nel multare ampliamenti abusivi del banco. Oggi i Comuni hanno poco personale, spesso in condivisione per ridurre le spese, e far uscire dei vigili per stendere verbali e comminare multe che non saranno mai pagate diventa una perdita per le casse”.

“C’è poi l’aspetto della qualità e di una concorrenza ambigua. A Padova, ad esempio, in Prato, su 140 banchi misti e 30 di fiori, i pachistani sono circa una ventina, ma attirano una folla prevalentemente di extracomunitari che altera il percepito, con una calca e un chiasso sproporzionati. In realtà la clientela, quella che compra davvero, non acquista lì. Altri aspetti, molto più concreti, riguardano INPS e GDF: notoriamente i dipendenti di questi ambulanti, che non hanno ricevuto alcuna istruzione sulla legge italiana, non sono in regola, vengono pagati con cifre irrisorie, senza alcuna tutela. Alla merce nuova, inoltre, viene mescolato l’usato. Tutto questo stressa pesantemente il mercato. Infine la batosta dall’UE. L’Italia, e solo l’Italia, dal periodo del Governo Renzi è soggetta alla Bolkestein, Direttiva sui Servizi che ha cancellato il rinnovo automatico decennale delle concessioni, sottoponendoci a controlli dei requisiti ogni tre anni, in balia di proroghe su proroghe. In questo modo siamo diventati precari, privi della prospettiva di vendere il ‘giro’ al momento della pensione”.

Chi è rimasto nei mercati?

Quanto alle abitudini degli acquirenti, sembra lontano un’era geologica il tempo in cui il mercato scandiva un momento importante per tutti. Quando era un punto d’incontro prima di tutto generazionale. Gli adolescenti, fuori da scuola o liberi dalla scuola, d’estate, quando le vacanze erano privilegio di pochi e non c’erano centri estivi (perché non servivano), ci trovavano il gustoso, rituale pretesto per il pane con l’uvetta comprato nel miglior panificio del paese, e condiviso con le amicizie di una giovinezza goduta sotto casa, che non avrebbero mai dimenticato. Le nonne trovavano le ciabattine giuste, proprio quelle che cercavano. Le mamme l’occasione per l’acquisto che non peserà sul bilancio famigliare perché durerà. I papà per disquisire vociando di un trattore in vendita che non si sarebbe fermato mai più, del prezzo dell’uva salvo grandinate, e di un immancabile arbitro inesorabilmente cornuto. Anche gli amanti, quando le chat non figuravano neanche nell’immaginario più ardito di “Spazio 1999”, si agganciavano a quell’invisibile rete di relazioni settimanali per confermare la clandestinità della loro, con la forza di uno sguardo, e niente più. Altro che WhatsApp!

E poi le fiere, col bestiame e il suo carico di incertezze e di cure senza festività. Con i bambini seduti sulle trebbie in esposizione, a simulare la guida, senza il tormento dei selfie. E il fascino intramontabile del banco dei tessuti, per confezionare con la macchina da cucire Singer le tende, i vestiti e qualche rattoppo al corredo, che “ormai è vecchio ma ci sono affezionata, perché me l’hanno regalato i miei”.

E siamo a oggi. Con gli “iper” pieni di tutto per tutti, dalle mutande al cibo cotto. Noi, che l’ora di pranzo era “la mezza” ed era per tutti, e la pastasciutta andava fatta al momento. Mangiata insieme, in silenzio o litigando; sempre insieme però, seduti. Un mondo inghiottito da un fiume in piena di pause pranzo convulse, di mail e di Twitter, di acquisti da casa con un clic. Ma non completamente. Se nei mercati del sabato e della domenica sopravvivono con orgoglio il rito della passeggiata tra i banchi, dell’acquisto del capo particolare, oltre che il passaggio obbligato alla gastronomia per l’immancabile pollo allo spiedo o il frittone, nel resto della settimana, chi è oggi l’avventore tipo dei mercati di paese?

“È l’extracomunitario. È forte la presenza di clienti stranieri che comprano durante tutta la settimana e comprano bene – risponde il Presidente Fiva – rumeni e marocchini in particolare. Sono immigrati che nel loro paese d’origine hanno solo il mercato all’aperto come luogo d’acquisto. È quindi una questione culturale, un modo di vendere e di confrontarsi tipico e unico”. Ed è così che, per paradosso, quell’integrazione che manca sul piano della legalità, si è realizzata invece con mediterranea naturalezza nel rapporto cliente-venditore, sovvertendo i ruoli di un commercio sempre più bizzarro.

 

Credits: foodlovers.com, dettaglio di un banco al Mercato delle Erbe di Padova

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