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Dov'è andato e come si è mosso il turismo in Italia nell'anno del lockdown? La risposta di <em>SenzaFiltro</em>, luogo per luogo, attraverso un viaggio in camper.

Numero 95 - Il turismo invisibile

Editoriale 95. Il turismo invisibile

<p><strong>Il viaggio itinerante 2020 di SenzaFiltro crea anche ponti culturali</strong> e diventa messaggero tra le regioni italiane. Il saluto tra i sindaci adriatici di Senigallia e Bari.</p>


[VIDEO] SenzaFiltro in Tour: il sindaco di Senigallia chiama il sindaco di Bari. E Bari risponde

<p>Intervista a <strong>Patrizia Rinaldis, Presidente di Federalberghi Rimini</strong> (AIA, Associazione Italiana Albergatori) nella stagione più anomala e critica del turismo italiano.</p>
<p>La trasformazione dell&#8217;idea di vacanza in un territorio come Rimini, <strong>le evoluzioni dei modelli organizzativi e la centralità della formazione</strong> dalle scuole alberghiere alla managerialità degli imprenditori. Dalla terra in cui è nata la prima storica legge regionale sul turismo, un appello chiaro e diretto al Presidente del Consiglio Conte e una presa di posizione sull&#8217;inutilità di un ente come l&#8217;Enit (Ente Nazionale Italiano del Turismo) che dovrebbe rappresentare il pensiero e la comunicazione di un Paese intero e di un settore così strategico.</p>


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[VIDEO] SenzaFiltro in Tour, Patrizia Rinaldis: &#8220;Non esistono più le mezze pensioni&#8221;

Intervista a Patrizia Rinaldis, Presidente di Federalberghi Rimini (AIA, Associazione Italiana Albergatori) nella stagione più anomala e critica del turismo italiano.

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Dopo la crisi pandemica, gli italiani si sono riappropriati dei loro patrimoni tramite il turismo di prossimità. L'analisi di uno dei fenomeni turistici più irripetibili della storia recente.

Numero 103 - Turisti per casa


<p>Dal 2020 non si sente più il rumore delle valigie, le ruote dei trolley, le voci senza meta che vagano per le città o per i piccoli paesi d’Italia. L’economia è immobile, muta anche lei.</p>



<p>E chi vive di turismo non può sperare che sia sufficiente far passare questo tempo malato per tornare a lavorare: la lezione portata dalla pandemia è l’esattore che batte cassa, anche se non te lo aspettavi perché credevi di essere in regola su tutto. Invece non tutta l’Italia era in regola con le giuste politiche e col giusto rispetto verso una parola sacra come il turismo.</p>



<p>Non sono state corrette la politica e le istituzioni che nei decenni hanno snaturato il concetto sovrapponendolo alla cultura o confondendolo solo con l’arte.</p>



<p>Neanche gli imprenditori del turismo hanno saputo sempre attestare competenze, lucidità di strategia, preparazione, attitudini educate all’accoglienza.</p>



<p>Che l’Italia fosse un museo a cielo aperto è stata la grande fregatura.</p>



<p>Il 2021 parla chiaro per chi vorrà ascoltare: guardate ai piccoli se volete ricominciare a campare di turismo. Niente a che fare con l’accoppiata ormai banale del <em>piccolo e bello</em>; no, stavolta è diverso. Negli ultimi dodici mesi ci si sono accorciate le distanze &#8211; in testa, nei gesti, nelle parole, nei contatti &#8211; e abbiamo sostituito i chilometri coi centimetri e l’unità di misura, quando cambia in riduzione, deve per forza tirarsi dietro una rivoluzione di pensiero.&nbsp;</p>



<p>I viaggi si sono sempre misurati sulle distanze da coprire, per natura il viaggio è un andare da qua a là ma chi ha finora gestito il turismo si era totalmente sgravato dalla responsabilità di riflettere sul mondo di mezzo tra il qua e il là.</p>



<p>Ecco perché i piccoli, adesso, si giocano il vantaggio della misura.</p>



<p>Avere misura delle cose.</p>



<p>Prendere le misure.</p>



<p>Misurare le parole.</p>



<p>A misura d’uomo (e di donna).</p>



<p>E, a noi italiani, di colpo lo stivale ci è sembrato più comodo da calzare, a portata di mano, confortevole come mai ci era finora sembrato. Passi sicuri.</p>



<p>Le agenzie di viaggi si sono rimesse a vendere l’Italia agli italiani, che vuol dire imparare a riorganizzarsi il lavoro e gli obiettivi.</p>



<p>I borghi e gli alberghi diffusi rialzano la testa.</p>



<p>Le isole non ci stanno più a essere la gita di pochi giorni al traino dei capoluoghi o la meta del non far niente.</p>



<p>I mestieri e le professioni del turismo, ancora barbaramente declinate all’inglese in un Paese come il nostro che dovrebbe esportare lingua, arte e cultura al mondo intero, si stanno facendo un esame di coscienza da dentro il confessionale delle geografie: quanti errori fatti finora.</p>



<p>Il nostro turismo ha anche fame di enogastronomia condivisa e sincera rispetto a quella che da anni io chiamo <em>egogastronomia</em>.</p>



<p>Il Sud che punta finalmente i piedi e pure il tacco, rivendicando i propri modelli culturali che mettono insieme i puntini del turismo e dell’innovazione sociale.</p>



<p>Che sia la fine dei viaggi cartolina.</p>



<p>Che si viaggi per conoscere anche le persone residenti e non solo i luoghi o i musei o i paesaggi.</p>



<p>Che si insegni ad accogliere, che si impari a farlo.</p>



<p>Che si stringano relazioni prima, durante e dopo.</p>



<p>Che sia la fine dei saluti e baci, quelli finti, mordi e fuggi; almeno, in passato, su quelle parole ci si degnava di appiccicarci un francobollo e cercare una buca delle lettere.</p>



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<p><em>Foto di copertina: Christopher Czermak on Unsplash</em></p>


Editoriale 103. Turisti per casa


<p>Cos’è un <strong>albergo diffuso</strong>? Per capire, si può raggiungere un pugno di case sull&#8217;Appennino tosco-romagnolo, nella provincia di Forlì-Cesena, ai margini del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. Siamo nella valle del Montone, lungo la strada tutta curve che, attraverso il passo del Muraglione, collega Firenze a Forlì.</p>



<p>Quel borgo con radici medievali si chiama <strong>Portico di Romagna</strong>; ha 315 abitanti e fa parte del comune sparso di Portico e San Benedetto, abitato – inclusa la terza frazione, Bocconi – da 774 persone. Proprio qui, secondo la leggenda, Dante Alighieri si sarebbe preso la celebre cotta per Beatrice Portinari, perché il padre di lei, Folco, aveva una casa estiva in paese (tuttora esiste Palazzo Portinari). Per secoli la zona è stata in territorio fiorentino, finché nel 1923 l’egocentrico Mussolini – nato nella vicina Predappio – “traslocò” l&#8217;intera area nel Forlivese: per far sgorgare la sorgente del Tevere, “il fiume sacro ai destini di Roma”, nella “sua” zona. Ma questa è un’altra storia.</p>



<p>La storia che interessa a noi racconta l’impresa che ha trasformato Portico, paesino assai grazioso ma non celebre (come tanti altri della nostra splendida Italia “minore”), in una <strong>meta turistica più nota agli stranieri che agli italiani</strong>. Infatti qui nel 2019, prima dell&#8217;emergenza COVID, hanno soggiornato – da alcuni giorni a un paio di settimane – circa undici turisti per ognuno degli abitanti: 3.560 in un anno, provenienti, oltre che dall’Italia (una minoranza), da 34 Paesi, inclusi Giappone e Nuova Zelanda. Tanto che una delegazione di albergatori giapponesi, con strutture in piccoli villaggi, è venuta qui per imparare la “ricetta”, replicata poi dalle loro parti. Ovviamente, nei fine settimana arrivano anche un po’ di italiani, inclusi molti motociclisti che amano questa strade di montagna.</p>



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<h2 id="h-all-origine-del-concetto-di-albergo-diffuso-al-vecchio-convento-a-portico">All’origine del concetto di albergo diffuso: Al vecchio convento, a Portico</h2>



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<p><strong>La ricetta del successo?</strong> Mica è segreta. Porta la firma della vulcanica famiglia di <strong>Marisa Raggi</strong>: lei (la più vulcanica di tutti), classe 1954, e il marito Gianni Cameli, del 1946; due figli, entrambi chef, Matteo e Massimiliano; quattro nipoti; Camilla e Ulla, le mogli (danesi, guarda caso capitate qui per turismo) dei figli.</p>



<p>Marisa racconta volentieri come hanno <strong>ridato vita a Portico </strong>grazie al suo<strong> albergo diffuso</strong> <a href="https://www.vecchioconvento.it/it/" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Al vecchio convento</a>, con il ristorante omonimo. “Non sono mica gelosa!”, dice, ridendo, col suo bell’accento romagnolo. Gli ingredienti? Il <strong>recupero di alcune case del paese</strong> trasformate in “camere”; la capacità di <strong>mantenere vivo il borgo con suoi abitanti</strong>, la storia e le tradizioni, in modo da garantire che gli ospiti si sentano dentro una comunità vera; la cura e la tutela dei <strong>prodotti e sapori locali</strong>; l’amore per la propria terra.</p>



<p>Tutto è partito da un primo ristorante in via Roma, quella centrale. Marisa e Gianni l’hanno inaugurato da giovanissimi, nel giorno di Pasqua del 1975: erano ragazzi (lei del posto, lui dei paraggi) appena sposati, tornati in paese dopo un anno di lavoro nello smog di Milano (“Ho visto che cadeva la neve grigia e ho detto a Gianni: dai, torniamo a casa”, ricorda lei).</p>



<p>Il ristorante è stato affiancato – nel giro di otto anni – dall’hotel, recuperando un convento in disuso; poi, con altre stanze nel paese, è nato l’albergo diffuso. Insomma, questa simpatica coppia è stata una pioniera e ora, con lo stesso ottimismo di allora, affronta questo periodo non facile in vista del rilancio.</p>



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<h2 id="h-il-successo-del-modello-nel-disinteresse-di-stato-e-regioni">Il successo del modello nel disinteresse di Stato e regioni</h2>



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<p>Il loro successo lo riconosce pure <strong>Giancarlo Dall’Ara</strong>, docente di marketing turistico, che nel 1998 ha lanciato il modello “albergo diffuso”, oggi adottato in altri cinque Paesi europei più il Giappone, e imitato in decine di altri. È presidente e fondatore dell’<a href="https://www.alberghidiffusi.it/" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Associazione nazionale Alberghi Diffusi</a> (ADI): “<strong>Noi stiamo dentro i paesi</strong>, in mezzo alla gente”, spiega. “Siamo un po’ casa, un po’ albergo. Gli alberghi diffusi spingono al recupero e all&#8217;utilizzo di vecchie case che altrimenti rischiano l’abbandono. In una c’è la reception, in un’altra il servizio ristorante-bar. Nelle altre gli alloggi. Si sviluppano in <strong>modo orizzontale</strong>. Per funzionare hanno bisogno di una comunità vera attorno. Tutta un’altra cosa rispetto agli hotel che chiamo verticali, distaccati dal resto”.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/GIancarlo-DallAra-1.png"><img width="871" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/GIancarlo-DallAra-1-871x1024.png" alt="" class="wp-image-44665" /></a><figcaption>Giancarlo Dall&#8217;Ara, Presidente ADI (Associazione Nazionale Alberghi Diffusi)</figcaption></figure>



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<p>Una formula così indovinata da avere le risorse per riprendersi dai lockdown: “<strong>È un tipo di hotel perfetto per il dopo-COVID</strong>, perché garantisce anche più sicurezza e tranquillità. Insomma, è un modello per il futuro. Nove alberghi su dieci sono aperti sempre. Piacciono agli stranieri, più della metà della clientela”.</p>



<p>Che cosa accadrà dopo l’emergenza sanitaria, con le sue ricadute economiche? Dice Dall’Ara: “Il COVID-19 ha interrotto una lunga serie di anni di crescita. Oggi <strong>in Italia gli alberghi diffusi</strong> che rispettano gli standard fissati dall’associazione sono <strong>circa 140</strong>; un altro centinaio si avvicina al modello. Proprio per le loro caratteristiche <strong>possono riprendersi bene</strong>. Certo, gli enti pubblici e lo Stato dovrebbero accorgersi di noi”.</p>



<p>In che senso? “Gli alberghi diffusi hanno ricevuto <strong>pochissimi ristori</strong>. Però non vogliono fondi pubblici. Se ci sono, meglio. Tuttavia chi li gestisce è abituato a contare su se stesso: tanto che nel 2020 una decina di hotel è stata ampliata. Semmai vorrebbero essere <strong>riconosciuti dalle regioni</strong>, delegate al settore del turismo, con regole uniformi”.</p>



<p>Invece che cosa succede? “<strong>Solo due regioni</strong> hanno realizzato una <strong>guida dedicata al settore</strong>. Altre ci ignorano, o hanno regole assurde. In Puglia, per esempio, sono stati definiti alberghi diffusi pure i centri di accoglienza per migranti. In Friuli-Venezia Giulia un albergo diffuso può comprendere case sparpagliate in più comuni, in un raggio di parecchi chilometri. Abbiamo chiesto ai governi di invitare le regioni a uniformare le norme. Nessuna risposta, con contraccolpi anche nelle piccole realtà locali”.</p>



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<h2 id="h-la-ricetta-degli-alberghi-diffusi-come-e-perch-funzionano">La ricetta degli alberghi diffusi: come e perché funzionano?</h2>



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<p>Marisa Raggi, al timone di un hotel associato all’ADI dal 2007, è d’accordo: “Qui a livello regionale si propaganda solo la Riviera adriatica, <strong>come se in Emilia-Romagna non esistesse l’Appennino</strong> e ci fossero soltanto bagnini. Ma va’ là! Qui in paese i depliant per illustrare le bellezze del territorio ho dovuto farli a nostre spese, con l’aiuto di storici locali; altrimenti, campa cavallo. Serve solo l’accoglienza, la cosa più banale, ma non c’è”.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/AL-VECCHIO-CONVENTO-.jpg"><img width="1024" height="683" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/AL-VECCHIO-CONVENTO--1024x683.jpg" alt="" class="wp-image-44669" /></a><figcaption><em>Marisa Raggi, Al Vecchio Convento</em></figcaption></figure>



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<p>Lei però ci sa fare. Può accogliere fino a una quarantina di ospiti. Il cuore di tutto è l’<strong>ex convento </strong>settecentesco affacciato sulla valle, col ristorante che propone piatti della tradizione, più o meno rivisitati dai figli chef, e una ricca enoteca. Qui si può trovare un gruppo di giapponesi che chiacchiera con una comitiva di signore neozelandesi o americane; magari mentre un gruppo di danesi si prepara a frequentare un corso di ballo.</p>



<p>“<strong>Abbiamo differenziato la nostra offerta</strong>. Per esempio, da ventun anni promuoviamo una <strong>piccola scuola di lingua italiana</strong>, ospitata nella canonica, e collaboriamo all’estero con gli Istituti italiani di Cultura e le associazioni Dante Alighieri. Gli studenti frequentano i corsi di mattina e al pomeriggio possono svolgere varie attività, le stesse che offriamo agli altri”.</p>



<p>Quali? “<strong>Corsi di pittura o ceramica</strong>, gestiti da un artista, Marco Raggi, e da una ceramista, Lucia Gennaretti, residenti in paese. Poi i <strong>corsi di cucina</strong>: alla fine diamo anche un diplomino. Gli stranieri ci vanno matti. Insegniamo, per esempio, a preparare la pasta fatta a mano o il pane e la pizza, cotti nel forno a legna. Poi ecco la <strong>raccolta di funghi nei boschi</strong> e quella di <strong>verdure</strong> negli orti. Matteo e il suo babbo portano gli ospiti a tartufo sulle colline, con i nostri cani lagotti. Proponiamo anche visite guidate alle cantine, degustazioni, incluse quelle in via Roma con cuochi di tutto il mondo, escursioni nelle città vicine – come Ravenna o Faenza, fino a Bologna – e nel parco”.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Albergo_Diffuso_2018__023.jpg"><img width="1024" height="683" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Albergo_Diffuso_2018__023-1024x683.jpg" alt="" class="wp-image-44670" /></a></figure>



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<p>Insomma, funziona benissimo, quando non c’è il COVID-19. “Ma funziona, eccome! Alla vigilia del disastro <strong>avevo tutto il 2020 prenotato</strong> da marzo a novembre. Se ci penso&#8230;”.</p>



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<h2 id="h-ristori-esigui-credito-negato-ma-si-va-avanti-e-l-albergo-diffuso-fa-scuola-in-tutto-il-mondo">Ristori esigui, credito negato, “ma si va avanti”. E l’albergo diffuso fa scuola in tutto il mondo</h2>



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<p>Insomma, Marisa non si ferma. Certo, un po’ più di <strong>sostegno pubblico</strong> non guasterebbe. Nel 2020 lo Stato ha risarcito <strong>20.000 euro</strong>, una minuscola parte del loro fatturato perduto. Nel 2021 ancora niente. Ci sono pure sei dipendenti – alcuni sono ex migranti – in cassa integrazione (“I soldi li anticipo io perché i tempi li conosciamo”, dice). A dire il vero, ha chiesto un <strong>prestito di 30.000 euro a una banca</strong>. “Sapete che cosa mi hanno detto? Che, nell’anno del COVID-19, hanno ricevuto l’ordine di <strong>non finanziare le attività in perdita</strong>”. Quindi? “Beh, le banche facevano così anche cinquant’anni fa, quando abbiamo iniziato. Mica mi perdo d’animo, si va avanti”.</p>



<p>C’è da crederci. Infatti nel frattempo la famiglia di Marisa ha recuperato un piccolo, antico mulino lungo il fiume, dove macina farine della zona per vendere il pane in un paese poco più sotto. Hanno realizzato una biblioteca con ingresso libero nell’ex negozio del fabbro, dove sono raccolti tantissimi libri in varie lingue, donati dalla gente del posto e dai turisti (si possono portare a casa, tanto ne arrivano altri in continuazione).</p>



<p>Il figlio Massimiliano ha inaugurato con la moglie l’Osteria Caffè del Vecchio convento, con spaccio, in Danimarca, a Odder, sfidando la pandemia. E fanno proseliti: a Koshigaya, non lontano da Tokyo, una ragazza giapponese che ha imparato a cucinare a Portico gestisce il Vecchio conventino. “Portiamo il Vecchio convento nel mondo”, aggiunge Marisa. “Però io non faccio mica niente di eccezionale, eh. <strong>Faccio solo amare alla gente quello che amo io</strong>. Perché Portico è un paese come mille altri, ma ti fa sentire a casa!”.</p>



<p>Dice poco, di questi tempi.</p>



<p></p>



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<p><em>Foto di copertina: Campagnatico, Maremma. Credits: www.alberghidiffusi.it</em></p>



<p></p>


Giancarlo Dall&#8217;Ara, Associazione Nazionale Alberghi Diffusi: &#8220;Il nostro è un turismo orizzontale, non verticale come gli hotel&#8221;

<p>“Il 2019 era stato un anno molto significativo, perché <strong>il turismo era diventato per tutti</strong>. C’era moltissima offerta e di conseguenza anche i prezzi erano più accessibili. <strong>Ma dopo la pandemia nulla tornerà come prima</strong>”.</p>
<p>Parla con convinzione <strong>Catia Ballotta</strong>, consulente e programmatrice per Cartorange, che, nata come agenzia viaggi di consulenti per viaggiare, da otto anni è anche tour operator. Catia si aspetta un’estate simile a quella dell’anno scorso, però a differenza del 2020 i <strong>consulenti di viaggio</strong> hanno avuto più tempo per prepararsi alla seconda stagione anomala. La pandemia ha stravolto il loro lavoro. Non sono solo cambiate le mete, sono cambiate le procedure, le esigenze e le paure del viaggiatore, che oggi ha bisogno molto più di prima di assicurazioni e rassicurazioni.</p>
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<figure class="aligncenter size-large is-resized"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/catia.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/catia.jpg" alt="" class="wp-image-44655" width="630" height="448" /></a><figcaption>Catia Ballotta durante un corso di formazione </figcaption></figure>
</div>
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<h2 id="h-un-petrolio-che-non-sappiamo-raffinare-la-supponenza-dell-italia-sul-turismo">“Un petrolio che non sappiamo raffinare”: la supponenza dell’Italia sul turismo</h2>
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<p>“Nel 2019 – mi spiega Catia Ballotta – avevamo come destinazioni principali il Giappone, l’Africa Australe, l’Indocina, l’Indonesia, il Perù, l’Australia e la Nuova Zelanda. Non siamo mai stati un tour operator generalista, ma eravamo specializzati su alcune destinazioni con itinerari esperienziali. Ovviamente la pandemia ci ha resettato, e nel 2020 nel giro di due mesi <strong>abbiamo creato ex novo una programmazione sull’Italia</strong>, cosa complessa perché lavorare con i fornitori italiani è difficile, più difficile che lavorare con quelli stranieri. Anche se parli la stessa lingua.”</p>
<p>Non mi aspettavo una dichiarazione di questo tipo. Immaginavo che di fronte a una situazione di difficoltà globale ci fosse grande disponibilità di aziende e fornitori a adattarsi pur di lavorare, ma sia Catia di Cartorange che <strong>Sylvie Scala</strong>, formatore e consulente di web marketing turistico che è anche formatrice per Artes Incoming Tour Operator (che ho raggiunto telefonicamente dopo aver incontrato Catia), mi confermano che le logiche del <strong>turismo</strong> sono molto stratificate e non sempre c’è capacità di adattamento, anche perché <strong>gli italiani in questo campo hanno sempre vissuto di rendita</strong>.</p>
<p>“Disponiamo – dichiara Sylvie Scala – di <strong>un petrolio che non sappiamo estrarre</strong>, <strong>raffinare</strong> e <strong>vendere</strong>. Negli anni Settanta eravamo i primi nelle classifiche dell’OMT (l’Organizzazione Mondiale del Turismo) per numero di visitatori all’anno, ma nel tempo siamo stati preceduti da Spagna, Francia, Stati Uniti e Cina. L’Italia è la meta più ricercata e desiderata al mondo, secondo una ricerca del Tour Operator inglese Travel Supermarket; in pratica <strong>siamo al primo posto nei desideri di tutti</strong>, ma questo desiderio non si traduce in numeri perché <strong>l’offerta non è adeguata alla domanda</strong>”.</p>
<p>La domanda, secondo Sylvie, è forte a livello di turismo esperienziale, che non è semplicemente una moda, ma una modalità di viaggio che richiede un salto di paradigma da “cosa mi offri” a “<strong>come mi fai sentire</strong>”. “È un turismo lento che chiede relazioni e reciprocità, e chi lo pratica desidera essere a stretto contatto con il territorio e la gente del posto”.</p>
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<h2 id="h-il-turismo-e-la-scomparsa-del-last-minute">Il turismo e la scomparsa del last minute</h2>
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<p>Il cambio di paradigma è sicuramente importante, ma secondo Catia di Cartorange oggi serve anche un <strong>adeguamento dei prezzi</strong>.</p>
<p>“I <strong>fornitori italiani</strong> sono abituati a lavorare molto bene con gli <strong>stranieri</strong>, e quindi con un prezzo diverso. Americani e australiani hanno evidentemente disponibilità più alte e chiedono anche esperienze diverse. Fare la pizza a Napoli funziona con il turista americano, ma non possiamo pensare di proporlo al cliente italiano. E l’adeguamento non è semplice, né dal lato prezzi, né dal lato esperienze. Il lavoro di questo ultimo periodo è stato enorme, in due mesi abbiamo messo in piedi una programmazione che normalmente avrebbe richiesto un anno, lavorando di più su Sicilia e Sardegna, un po’ meno su altre regioni.”</p>
<p>“Sono cambiate le modalità, <strong>il last minute non esiste più a nessun livello</strong> e devi programmare tutto, dal tavolo per l’aperitivo alla gita in cantina, ma non è semplice perché il cliente è portato a pensare ‘vabbè siamo in Italia, prenoto in un attimo’; ma non è così. La Valle dei Templi o la gita in barca a Favignana vanno programmate con anticipo, anche perché la maggior parte degli italiani, anche questa estate, resterà in Italia e le logiche sono complesse, l’offerta di voli è ancora limitata e i costi sono rapportati all’offerta. Poi c’è la <strong>sensazione di precarietà</strong>: hai paura di ammalarti mentre sei in ferie e anche tutte queste dinamiche vanno tenute in considerazione, compresa l’eventuale quarantena di ritorno. Bisogna fare i conti con l’incertezza generale. Alcuni hotel, ad esempio, non hanno ancora una data certa di riapertura; altri forse non riapriranno.”</p>
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<h2 id="h-l-italia-orfana-del-turismo-specializzato-quante-occasioni-perse">L’Italia orfana del turismo specializzato: quante occasioni perse</h2>
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<p>Anche Sylvie Scala conferma che la pandemia provocherà inevitabilmente uno <strong>snellimento della concorrenza</strong>.</p>
<p>“Solo la <strong>specializzazione</strong> potrà segnare la ripartenza futura, almeno per l’<em>incoming</em> degli stranieri. La storia ci insegna che dalle macerie risale il più forte: qualcuno non sopravviverà, qualcuno si dovrà reinventare. Non possiamo più puntare solo sul Colosseo e su piazza San Marco, <strong>bisogna individuare le passioni dei turisti</strong>, le nicchie che a livello globale smuovono migliaia di persone, e posizionarsi su tematismi, passioni, relazioni.”</p>
<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/sylvie.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="841" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/sylvie-1024x841.jpg" alt="" class="wp-image-44781" /></a><figcaption><strong>Sylvie Scala</strong>, formatore e consulente di web marketing turistico </figcaption></figure>
<p>Sylvie Scala è molto chiara <strong>nell’esporre cosa serve all’Italia per fare il salto di qualità</strong>. “A noi manca un <strong>turismo specializzato</strong>, organizzato in modo professionale, perché non sappiamo che cosa desiderano gli stranieri e lasciamo questi spazi ad altri Paesi. Poi le diatribe legate alle deleghe del potere legislativo ed esecutivo in materia di turismo, che vanno avanti dagli anni Settanta, tra Stato e regioni, tra regioni e province, tra province e comuni, sicuramente non aiutano. <strong>Non abbiamo un ministero dedicato soltanto al turismo</strong>, il settore non è trattato in maniera industriale, <strong>ma il nostro territorio lo meriterebbe</strong> perché è estremamente variegato e necessita di grande specializzazione”.</p>
<p>“Ad esempio, un comparto del settore molto penalizzato è quello delle <strong>agenzie di viaggio</strong>, che non si sono adeguate agli standard internazionali e ai veloci mutamenti del mercato turistico. A New York non c’è la quantità di agenzie su strada che vediamo in Italia. All’estero ci sono i consulenti di viaggio specializzati in una nicchia, un target o una destinazione che lavorano tantissimo online. Le agenzie viaggi generaliste sono in una posizione di difficoltà già da diversi anni, e saranno costrette a reinventarsi e a stare al passo con quanto richiesto dal cambiamento nelle abitudini di viaggio dei turisti.”</p>
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<h2 id="h-alessandro-seghi-alpitour-noi-tour-operator-stiamo-andando-incontro-alle-agenzie-viaggi">Alessandro Seghi, Alpitour: “Noi tour operator stiamo andando incontro alle agenzie viaggi”</h2>
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<p>Le agenzie sono in effetti quelle che forse hanno sofferto più di tutti la pandemia e per questo chiedo anche l’intervento di <strong>Alessandro Seghi</strong>, direttore commerciale Trade presso Alpitour World S.p.A., che storicamente lavora tantissimo con le agenzie di viaggio. Per il tour operator i principali fornitori sono infatti le catene di alberghi, i vettori aerei e le agenzie di viaggio.</p>
<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Foto-Alessandro-Seghi-Direttore-Commerciale-Alpitour-SpA.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="707" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Foto-Alessandro-Seghi-Direttore-Commerciale-Alpitour-SpA-1024x707.jpg" alt="" class="wp-image-44776" /></a><figcaption><strong>Alessandro Seghi</strong>, direttore commerciale Trade presso Alpitour World S.p.A</figcaption></figure>
<p>“Abbiamo tenuto vivi i rapporti con tutti durante la pandemia – spiega Seghi – e nella maggior parte dei casi i fornitori sono gli stessi di due anni fa, perché le aziende a cui ci appoggiamo hanno una struttura solida. Per quanto riguarda gli <strong>alberghi</strong> le tempistiche sono ancora incerte: apriranno, ma le date non sono ancora definite con precisione. Per i <strong>vettori aerei</strong> sappiamo che c’è una grande capacità latente e stanno già studiando tutte le direttrici che con il tempo si andranno a riaprire. Sul fronte voli siamo tranquilli perché possiamo contare su una società del gruppo (la Neos) che quest’anno ha allargato e rinnovato la flotta, ed è già pronta a ridisegnare gli accordi e le rotte.”</p>
<p>“Per agevolare le agenzie abbiamo promosso diverse iniziative, proprio alla luce del fatto che sono forse le imprese più snelle e meno strutturate, ma anche quelle che hanno sofferto di più il periodo storico. Ad esempio oggi non devono versare acconti per le pratiche e possono tenere in casa quelle risorse che gli servono per la loro gestione operativa. <strong>Abbiamo inserito</strong> <strong>assicurazioni</strong>, che normalmente sono a pagamento, <strong>in maniera gratuita</strong> all’interno dei pacchetti, compreso il <strong>contributo per l’effettuazione di tamponi</strong> richiesti per raggiungere certe mete. Abbiamo tenuto agganciate le agenzie non soltanto sulla questione procedure, ma anche con la formazione. Sono aziende di stampo famigliare, e speriamo che abbiano la possibilità di rimettersi in pista abbastanza velocemente.”</p>
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<h2 id="h-l-onda-lunga-di-una-crisi-senza-precedenti-stiamo-gi-ragionando-sul-natale-2022">L’onda lunga di una crisi senza precedenti: “Stiamo già ragionando sul Natale 2022”</h2>
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<p>Il turismo aveva già affrontato diverse crisi, dalle torri gemelle alle primavere arabe, ma tutte circoscritte nel territorio e soprattutto limitate nel tempo. Oggi vive una condizione completamente nuova.</p>
<p>“È vero”, conclude Alessandro Seghi, “<strong>abbiamo già vissuto altre crisi, ma non lunghe un anno e mezzo</strong>. Ci siamo trovati ad affrontare momenti di discontinuità sempre più frequenti e abbiamo reimpostato tutta la programmazione, la gestione dei prezzi e la comunicazione. Abbiamo affrontato la pandemia lavorando molto sul mare Italia e ora siamo molto concentrati su Baleari e Grecia; in sostanza seguiamo l’onda di quello che si può fare. Ma ci aspettiamo presto una ripartenza verso gli Stati Uniti. Le coppie e le famiglie stanno cercando di capire dove possono andare, c’è più fiducia anche grazie all’arrivo del green pass e in futuro ci saranno eventi internazionali che richiameranno grandi flussi.”</p>
<p>“Stiamo anche ragionando già sul <strong>Natale 2022</strong>; in pratica abbiamo un occhio concentrato su quello che accadrà il 15 di maggio e l’altro proiettato sul 2022. Il cambiamento è stato forte ma ha potenziato la reattività, la capacità di modificare in corsa.”</p>
<p>Le parole del direttore commerciale del Tour Operating del gruppo Alpitour mi riportano velocemente a quelle di Catia di Cartorange. “<strong>Noi abbiamo venduto l’Italia agli italiani</strong>, e questo è un segnale forte di come sta cambiando tutto il circuito”.</p>
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Lara Mariani

Giornalista per indole, fotografa per passione, ama vedere la realtà da alternativi punti di vista e non crede nei confini netti, né geografici né sociali. Dopo la laurea in Scienze Politiche e un master in comunicazione ha lavorato 10 anni per una casa editrice bolognese. Oggi, oltre a essere responsabile di redazione di SenzaFiltro collabora con l’ufficio comunicazione del Cefa, una ong che aiuta le comunità più povere del mondo a raggiungere l’autosufficienza alimentare. Inoltre, collabora con TerzoTropico e Tempo e Diaframma, associazioni culturali che realizzano reportage, mostre e volumi fotografici. È autrice del volume “I portici di Bologna, patrimonio di cultura e identità”, Minerva edizioni. &#8212; MAIL DI REDAZIONE: lara.m@fiordirisorse.eu

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Agenzie viaggi: dal 2020 vendono l&#8217;Italia agli italiani

Un anno e mezzo di crisi ha costretto gli operatori turistici di tutto il mondo a fare i conti con il loro mercato domestico. Un&#8217;istantanea della situazione italiana.

Agenzie viaggi: dal 2020 vendono l&#8217;Italia agli italiani - Informazione senza filtro

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<strong>Il turismo invisibile</strong>, raccontato da SenzaFiltro.

Per dare un senso a tutte le volte in cui passivamente diciamo che di questo potrebbe vivere un’Italia intera; per tutte le volte in cui a pronunciarla è non solo la politica ma anche cittadini, imprenditori, operatori. Non possiamo vivere di turismo se le cose stanno come le abbiamo viste a cavallo del nostro viaggio itinerante in camper attraverso le regioni incontrate nell’estate più imprevedibile della storia.

Serve ripensarci tutti dentro questa Italia, approfittando della confusione in corso: <strong>con un atteggiamento nuovo e con un senso di responsabilità più condiviso</strong>. Il turismo resterà invisibile finché saremo noi a volerlo.

<p><strong>Maurizio Mangialardi, sindaco di Senigallia</strong>, punta sugli spazi aperti per la stagione 2020.</p>
<p>Per il celebre festival <strong>Summer Jamboree</strong>, slittato al 2021, si tratta solo di aspettare.</p>


[VIDEO] Senza Filtro in Tour: Senigallia non teme l&#8217;estate 2020 senza il Summer Jamboree

<p>Uno stralcio della lunga intervista al <strong>Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.</strong></p>
<p>Osvaldo Danzi, editore di SenzaFiltro, gli chiede un parere sulla fuga dei giovani verso Nord e sulla necessità di politiche capaci di attrarli nuovamente verso la Puglia.</p>


[VIDEO] SenzaFiltro in Tour, Michele Emiliano: &#8220;Possiamo pensare a un ritorno verso Sud dei nostri giovani&#8221;

Uno stralcio della lunga intervista al Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Osvaldo Danzi, editore di SenzaFiltro, gli chiede un parere sulla fuga dei giovani verso Nord e sulla necessità di politiche capaci di attrarli nuovamente verso la Puglia.

[VIDEO] SenzaFiltro in Tour, Michele Emiliano: &#8220;Possiamo pensare a un ritorno verso Sud dei nostri giovani&#8221; - Informazione senza filtro

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<p>Più che un mestiere, quella del <strong>domatore</strong> è una vocazione. E forse non esiste nemmeno più, visto che la sensibilità animalista dei nostri giorni ci ha molto allontanati dalla curiosità, un po’ primitiva, che tutti abbiamo avuto in passato per animali selvatici custoditi in gabbie anguste negli zoo e nei circhi.</p>



<p>Personalmente, ho un vivido ricordo della prima volta in cui sono stato portato a vedere un <strong>circo</strong>. Dopo i numeri di equilibristi e pagliacci, nella pista veniva montata una grande gabbia nella quale entravano tre o quattro <strong>leoni</strong> dall’aria piuttosto mansueta, che si disponevano ordinatamente su appositi sostegni.</p>



<p>Impressionante l’ingresso del domatore: in giacca rossa con gli alamari, pantaloni da cavallerizzo, stivaloni neri, cilindro in testa, era armato di una <strong>frusta</strong> e portava alla cintura una grande fondina nella quale, mi è stato spiegato, custodiva una <strong>pistola</strong> che gli sarebbe potuta servire nel caso le belve lo avessero aggredito.</p>



<p>Facendo schioccare la frusta faceva fare ai leoni, un po’ riottosi, semplici esercizi come salire e scendere dai loro alloggiamenti e, a un certo punto, passare attraverso un cerchio. Il domatore non fu sbranato &nbsp;come temevo, ma ho ancora ben vivida l’immagine di quest’uomo che correva un rischio mortale davanti ai miei occhi.</p>



<p>Anche se oggi, con un eufemismo, gli zoo sono diventati “bioparchi”, e i circhi non dovrebbero più tenere belve in cattività, qualcuno che si occupa delle bestie più o meno feroci che sono custodite in vari luoghi c’è. Dunque il mestiere del <strong>guardiano</strong>, se non domatore,<strong> delle belve</strong> esiste ancora.</p>



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<h2 id="h-vita-breve-di-un-domatore-di-belve-la-vita-romanzata-di-upilio-faimali"><em>Vita breve di un domatore di belve</em>, la vita romanzata di Upilio Faimali</h2>



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<p>Di questo lavoro parla <strong><em>Vita breve di un domatore di belve</em></strong>, di <strong>Daniele Santero</strong>, Elliot editore, che oltre a essere il racconto romanzato della vita di Upilio Faimali, un domatore veramente vissuto nell’Ottocento, è anche una sorta di studio antropologico sul rapporto tra l’uomo e gli animali.</p>



<p>Perché <strong>Upilio</strong> (nome veramente romanzesco, e tanto raro quanto spesso storpiato) ha una predisposizione naturale al rapporto con le bestie e fin da giovane viene assunto come <strong>guardiano in un circo</strong>, dove deve soprattutto spalare lo sterco e pulire le gabbie. Ma ha tanto talento nell’addestrare gli animali da essere promosso da pulitore a <strong>domatore</strong>, perché riesce a mettere in pista – senza che nessuno gliel’abbia chiesto – una cavalcata con equilibrismi e piroette di una scimmia in sella a un cagnolone.</p>



<p>Quando un collega, probabilmente per invidia, gli ammazza la scimmia, il nostro non si perde d’animo e <strong>si mette in proprio</strong>: gira l’Europa con un carretto trainato da un asino sul quale trasporta scimmie, iene e altri animali da lui addestrati che esibisce nelle fiere.</p>



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<h2 id="h-tigri-leoni-ma-anche-asini-come-vive-un-domatore">Tigri, leoni, ma anche asini: come vive un domatore?</h2>



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<p>C’è <strong>un episodio</strong> che dice molto sul modo in cui il nostro Upilio tratta gli animali.</p>



<p>Un giorno, nel tragitto tra un paese e l’altro, <strong>il suo asino</strong>, <strong>vecchio e stanco</strong>, non ce la fa più a trainare il carretto del piccolo zoo ambulante. Upilio stacca l’asino e si mette lui a trainarlo, lasciando che l’asino si riposi e segua il carretto. Fortuna vuole che passi di lì un ricco feudatario che, capito il personaggio, gli regala un efficientissimo cavallo. E l’asino vivrà tranquillo i suoi ultimi anni di vita al seguito di Upilio e della sua banda.</p>



<p>Ma Upilio è uomo pieno di risorse e presto si procura una <strong>tigre</strong> e un <strong>leone</strong>, che ammaestra a dovere: comincia dando da mangiare alle belve e, dopo averne avuto la fiducia, si avvicina sempre più. Al primo atto di ribellione, le ammansisce con un colpo di frusta sul naso.</p>



<p>Lentamente, gli animali si abituano a lui fino a permettergli di <strong>entrare nella gabbia</strong> senza rischiare di essere sbranato. L’ammaestramento è tanto efficace che Upilio arriva a esibirsi con le belve che lo abbracciano e lui che gli mette la testa nelle fauci, senza troppi inconvenienti. Ne segue una <strong>carriera sfolgorante</strong>, tanto autonoma quanto al seguito di circhi famosi e in società con un altro domatore.</p>



<p>Non mancano i <strong>momenti drammatici</strong>: una tigre gli ferisce un braccio perché eccitata da uno spettatore incauto, ma Upilio non si smarrisce. Accade anche che un suo aiutante, per emularlo, si avvicini troppo a una gabbia di leoni e ci rimetta un braccio. Ma la lunga vita di domatore di Upilio, in fondo, è segnata da pochi incidenti, qualche graffio, da tante tournée e da una lunga serie di successi.&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;</p>



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<h2 id="h-perch-leggere-vita-breve-di-un-domatore-di-belve">Perché leggere <em>Vita breve di un domatore di belve</em></h2>



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<p>Nel passato esibire animali feroci era un mestiere come gli altri: gli “<strong>orsanti</strong>” giravano con enormi orsi ammaestrati fino a non molto tempo fa (in Turchia se ne vedono ancora).</p>



<p>Malgrado oggi la sensibilità comune ci porti a <strong>condannare la cattività di ogni animale</strong>, è vero anche che di belve più o meno feroci ce n’è ancora. Chi se ne occupa ha una doppia responsabilità.</p>



<p>Verso se stesso, perché deve saper stabilire – come Upilio – un <strong>rapporto</strong> che potremmo definire <strong>paritario</strong>, che permetta di accudire gli animali senza rischiare. Il che significa una conoscenza profonda delle loro esigenze e della loro psicologia.</p>



<p>Ma c’è anche un’altra responsabilità: quella del <strong>rispetto che sappiamo di dovere alla natura</strong>, e a chi ne rappresenta la parte simbolicamente meno conciliabile con la civilizzazione.</p>


Animali feroci e come domarli: il romanzo del mestiere senza domani


<p><em><strong>Oltre il lavoro domestico</strong></em>, di <strong>Lucia Chistè</strong>, <strong>Alisa Del Re</strong> e <strong>Edvige Forti</strong>, è stato un vero e proprio manifesto, redatto in un periodo estremamente delicato per le dinamiche sociali italiane.</p>



<p>L’idea di <strong>liberare le donne</strong> dalla tradizionale e condizionante attività domestica era intimamente legata alla critica radicale del sistema capitalista. Partire dalla propria situazione locale, in questo caso quella delle lavoratrici di Padova, doveva servire non per capire come includere un nuovo attore sociale – le donne – in un sistema non previsto per loro, ma per criticare e trasformare quel sistema in modo che non fosse un altro meccanismo di sfruttamento, ma una realtà di liberazione.</p>



<p>L’intento era svelare, raccontare, esprimere quella liberazione attraverso una lotta chiara e aperta a un ruolo secolare; il linguaggio di quella intenzione oggi appare senz’altro datato, ma non morto. Le parole sono forti e decise, il <strong>tono polemico e critico</strong> perché il momento vede contemporaneamente scontrarsi forze opposte: la volontà di uscire per sempre da un passato di sfruttamento e il desiderio di un avvenire costruito, pragmatico, il fondamento di un femminismo immediatamente riconoscibile in una realtà di lavoro.</p>



<p>Il tempo avrebbe invece mostrato che quelle istanze di lotta non si sarebbero realizzate “così”, ma sarebbero sparite, come in un fenomeno carsico, per riemergere più forti e più ricche altrove nel tempo.</p>



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<h2 id="h-i-tre-punti-focali-del-rapporto-tra-donne-e-lavoro">I tre punti focali del rapporto tra donne e lavoro</h2>



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<p>Abbiamo quindi oggi un <strong>documento storico</strong>, nel quale troviamo un’analisi dei <strong>tre modi nei quali articolare il rapporto tra donne e lavoro</strong>.</p>



<p>Il primo è la questione della <strong>riproduzione della specie</strong>: <em>questo</em> lavoro non può essere del tutto abbandonato, e deve trovare il modo di venire svolto da una donna che ora esce di casa, ha ambizioni diverse per le quali però non ci sono strutture, appoggi, linguaggi.</p>



<p>In seconda battuta c’è da definire <strong>che cosa può essere il lavoro femminile </strong>in una società che, sostanzialmente, non l’ha mai visto. C’è da rispondere a domande molto urgenti: quali ambienti sono pronti ad accogliere corpi diversi, mai visti in quelle posizioni; quale forma contrattuale, quale orario; che tipo di rapporto col datore di lavoro, che tipo di organizzazione sindacale; che forma dare a un inserimento che non sia un semplice adeguamento a qualcosa che per le donne non è mai stato immaginato.</p>



<p>Ultimo punto, c’è da ragionare su tutte le prestazioni che fanno parte della <strong>tutela di chi lavora</strong> quando ci si ammala, ci si infortuna, si va incontro a condizioni invalidanti, al pensionamento, al licenziamento.</p>



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<h2 id="h-quando-un-movimento-locale-mette-in-scacco-un-sistema-globale">Quando un movimento locale mette in scacco un sistema globale</h2>



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<p>Come se non bastasse, il libro si poneva come obiettivo polemico anche i <strong>movimenti femministi dell’epoca più in voga</strong>: quello che voleva lottare perché fosse salariato anche il lavoro domestico e quello che puntava tutto su una emancipazione “totale” di tipo socialista – tra l’altro allora in vigore (misteriosamente) in altri Paesi.</p>



<p>La forza ancora viva di queste pagine è quella di chi crede nella pratica di una liberazione, dopo la quale, forse, arriva la teoria. Probabilmente, oltre al valore documentale, la ricchezza di <em>Oltre il lavoro domestico</em> sta qui: nel dimostrare come una prassi concreta, portata avanti da un gruppo locale in un luogo preciso, possa avere la capacità e gli strumenti di <strong>porre una sfida a un intero sistema</strong>.</p>



<p>In un mondo nel quale guardiamo – giustamente, sia chiaro – a pratiche economiche che dai luoghi più lontani riescono a <strong>impartire lezioni di metodo a un capitalismo</strong> tanto rigidamente spietato quanto pericolosamente elastico, non va dimenticato che quei tentativi li abbiamo avuti in Italia, molto ben pensati e messi in pratica. Il fatto che non abbiano avuto allora il successo che volevano ottenere probabilmente dice qualcosa sulla loro possibilità di attuarsi, non sulla correttezza della loro impostazione, sulla opportunità della loro impostazione, sull’ampiezza delle loro prospettive.</p>



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<h2 id="h-perch-leggere-oltre-il-lavoro-domestico">Perché leggere <em>Oltre il lavoro domestico</em></h2>



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<p>Leggere oggi questo testo non è solo un’operazione storica o nostalgica.</p>



<p>Si tratta, io credo, di una <strong>riappropriazione</strong>, di una re-identificazione necessaria con un movimento che fa parte della nostra storia economica e sociale. Se questa riappropriazione di certo non si può più tradurre in un esempio da seguire materialmente, credo sia assai utile come ispirazione per un cambiamento radicale delle condizioni lavorative di tutte e di tutti.</p>


Non chiamatelo (più) femminismo: quando le donne provarono a reinventare il lavoro

<p>Nel complesso in Italia sono circa <strong>7,5 milioni</strong> le persone con forme di <strong>disabilità</strong> o non autosufficienza media o grave, calcolata dalla soglia minima del 34% fino al 100% (dati Inps, Inail, Province Autonome con gestione non in convenzione).</p>
<p>Secondo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di cui tanto si discute in questi ultimi mesi, “l’attenzione per le persone con disabilità caratterizza tutto il PNRR, in linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”. Eppure tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E proprio al mare voleva recarsi <strong>Anita Pallara</strong>.</p>
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<h2 id="h-ryanair-danneggia-la-carrozzina-elettrica-la-proprietaria-come-un-amputazione">Ryanair danneggia la carrozzina elettrica. La proprietaria: “Come un’amputazione”</h2>
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<p>Proviamo a pensare solo per un attimo, tra i 7,5 milioni di persone con forme di disabilità, a quante di esse utilizzano una <strong>carrozzina</strong> per i loro spostamenti: uno strumento vitale, indispensabile. Si parla e si discute tanto di accessibilità, di disabilità, ma poi – come spesso accade – la forma non è accompagnata dalla sostanza.</p>
<p>Un esempio concreto di tale mancanza è accaduto ieri ad <strong>Anita Pallara</strong>, presidente Famiglie SMA, una giovane donna che vive la sua vita con l’<strong>atrofia muscolare spinale </strong>(<strong>SMA</strong>), una malattia genetica rara che colpisce i muscoli.</p>
<p>“Sono fuori casa, senza autonomia, amputata: è tempo di dire basta”, dice Anita, che sul <strong>volo Ryanair</strong> da Bari a Cagliari si è vista letteralmente <strong>distruggere la sua carrozzina elettrica</strong>: “Ne sono uscita amputata, da questo volo aereo”.</p>
<p>Vi sembra esagerata, come affermazione? Pensate alla carrozzina elettrica come l’equivalente delle sue gambe e delle sue braccia; provate a vestire i panni di una trentenne che suda ogni giorno per ritagliarsi spazi di autonomia, che dopo due anni di lockdown si concede una vacanza e che una volta giunta a destinazione, lontana da casa, si ritrova “senza potersi muovere, senza poter uscire, senza poter comandare la postura che assumo”.</p>
<h2 id="h-la-carenza-di-cultura-della-disabilit-perch-risarcire-non-basta">La carenza di cultura della disabilità: perché risarcire non basta</h2>
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<p><em>SenzaFiltro</em> ha contattato <strong>Ilaria Ciancaleoni Bartoli</strong>, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare.</p>
<p>“Quello che è accaduto durante il volo da Bari a Cagliari con Ryanair è una cosa gravissima: denota che non c’è ancora attenzione e cultura su quello che riguarda la <strong>mobilità delle persone con disabilità</strong>.”</p>
<p>“La compagnia aerea si è immediatamente offerta non solo di <strong>pagare i danni</strong>, ma anche di <strong>sostituire</strong> la sedia a rotelle. Ecco, questa offerta di sostituire dimostra come non ci sia conoscenza della situazione: una carrozzina elettrica – soprattutto per una persona con SMA, che vive una situazione particolarmente complessa – non è una carrozzina qualsiasi che si compra in negozio; è il prodotto di <strong>misurazioni biomediche</strong> molto precise e che per essere realizzate nel migliore dei modi richiedono ore di studio, infatti esistono laboratori specializzati in questo.”</p>
<p>“Non si può prendere una qualsiasi carrozzina. Tutto ciò denota il non aver compreso l’importanza dello strumento, che è come se fosse una protesi – e non si può dare la gamba di una persona ad un’altra persona. <strong>Tutto è fatto su misura</strong>. Per questi motivi <strong>non si può danneggiare una carrozzina come questa</strong>: facendolo si danneggia la persona.”</p>
<p>“C’è molto da fare per quanto riguarda la <strong>cultura della disabilità</strong>, ma anche a livello di <strong>norme</strong>, perché non dovrebbe essere consentito portare con questa modalità dei ‘bagagli’ così importanti. Ci deve essere una garanzia: le persone con disabilità devono avere il loro movimento garantito, perché hanno una vita, hanno un lavoro e hanno tutto il diritto di poter sfruttare l’autonomia che si sono guadagnate con fatica.”</p>
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<h2 id="h-anita-pallara-una-violazione-inimmaginabile-del-mio-corpo-questa-storia-deve-finire">Anita Pallara: “Una violazione inimmaginabile del mio corpo. Questa storia deve finire”</h2>
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<p>La redazione di <em>SenzaFiltro</em> risponde all’<strong>appello dell’Osservatorio Malattie Rare </strong>perché quello che è accaduto ad Anita Pallara non accada più a nessuno, e soprattutto perché non ricapiti in nessuna compagnia aerea, in nessun treno, in nessun traghetto. Tutti i trasporti devono essere non solo accessibili, ma anche sicuri per la persona e per le sue estensioni.</p>
<p>Anita racconta quanto vissuto martedì 6 luglio sul volo Bari-Cagliari di Ryanair e dell’amara sorpresa al suo arrivo: “Ryanair non ha uno spazio dedicato in stiva, <strong>le carrozzine vengono caricate come bagagli</strong>, come merce, nessuna attenzione verso una cosa ‘sacra’. Risultato: arrivo a Cagliari e mi ritrovo con una <strong>carrozzina completamente inutilizzabile</strong>, sono lontana da casa, non mi posso muovere e la mia carrozzina nuova (avuta ad aprile 2021), per un banale volo aereo, è distrutta. Le carrozzine non sono oggetti. È come se da ieri improvvisamente mi avessero tagliato le gambe e le braccia, senza avvertirmi, senza anestesia. È un dolore e una violazione inimmaginabile dei propri diritti e del proprio corpo. Ora non so come evolverà la questione, ma so per certo che questa cosa deve finire.”</p>
<p>Riusciamo a fare in modo che in questo Paese le parole <strong>accessibilità</strong> e <strong>disabilità</strong> diventino non solo slogan, ma anche buone prassi per evitare che simili incidenti possano accadere ancora?</p>
<p>Condividiamo il messaggio di Anita e dell’Osservatorio per sensibilizzare l’opinione pubblica su come quello che per alcuni potrebbe sembrare un banale incidente in realtà non lo è, e non potrà mai esserlo.</p>
<p>Nel nostro Paese manca una <strong>cultura dell’accessibilità</strong>: occorre rimediare in fretta perché siamo ancora una volta in ritardo. Si tratta di civiltà.</p>
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<p><em>Photo credits: castedduonline.it</em></p>


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&#8220;Come un&#8217;amputazione&#8221;: Ryanair distrugge la carrozzina di una passeggera disabile

Anita Pallara, disabile e presidente di Famiglie SMA, ha subito un danneggiamento irreparabile alla sua carrozzina elettrica sul volo Ryanair Bari-Cagliari. L&#8217;azienda si è offerta di risarcirla, ma non basta. La testimonianza della vittima e di Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell&#8217;Osservatorio Malattie Rare.

&#8220;Come un&#8217;amputazione&#8221;: Ryanair distrugge la carrozzina di una passeggera disabile - Informazione senza filtro

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[VIDEO] SenzaFiltro in Tour, Patrizia Rinaldis: “Non esistono più le mezze pensioni”

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