Il paese di Perdaxius, escluso dal Bando borghi ma classificato tra i progetti di fascia alta, continua a puntare sullo sviluppo di turismo, agricoltura e tradizione. Le testimonianze del sindaco Gianluigi Loru, di associazioni e di giovani agricoltori locali.
Il turismo che spacca Napoli
Il capoluogo campano scala i record per gli arrivi turistici, che però alimentano abusivismo e gentrificazione: e se la città che sognava di campare di turismo rischiasse di morirne? Facciamo il punto con l’ex sindaco Luigi De Magistris, il consigliere comunale Sergio D’Angelo, il consigliere regionale Luigi Cirillo e il digital storyteller Federico Quagliuolo
Siamo a Napoli, anno 2008. L’emergenza rifiuti in Campania straripava, rompendo gli argini della malagestione interna e rivelandosi in tutta la sua drammaticità, e a ricordarlo ci sono cumuli di spazzatura non raccolti a imbellire le basi dei 6×3 elettorali su tutto il territorio regionale. Il Presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, la squadra di calcio locale (che in realtà si allena nel Casertano ed è rappresentata da un entourage romano) era in pieno rispolvero dopo gli anni di purgatorio nelle serie minori e intanto a Pianura – periferia ovest della città – i cittadini già abbondantemente avvelenati alzavano barricate contro la riapertura di una discarica a due passi da una riserva naturale WWF.
La camorra continua a uccidere: lo fa soprattutto nell’area nord, che conterà nell’anno solare circa una dozzina di morti ammazzati, a scrivere la scia lunga che porterà alla fine della prima faida di Scampia. Da questa situazione tutt’altro che attraente il centro cittadino non è avulso: il dedalo di vie che si articola lungo i Decumani è zona di studenti – le università napoletane concentrano le proprie sedi tra Mezzocannone e Corso Umberto – e di residenti del posto, il patrimonio immobiliare decadente va via a buon prezzo mentre qualche liutaio e artigiano resiste ben riparato nei vicoli. Il caffè costava ancora meno di un euro ovunque, e le luci si spegnevano insieme a quelle delle botteghe in buona parte del centro storico, anche a Natale nelle vie dei pastori. Le colonne d’Ercole per un turista erano rappresentate dal leone di Piazzetta Nilo che secondo leggenda custodisce il tesoro sepolto sotto piazza San Domenico Maggiore: oltre ti avventuravi a tuo rischio e pericolo.
La litania ripetuta sui volti stanchi dei cittadini, del resto, era sempre la stessa: putessemo campà solo ‘e turismo. Una sorta di nenia, una favola della buonanotte; una sorta di giustificazione. Superato lo scoglio di criticità all’apparenza insormontabili, ormai compagne di vita, insomma, la strada per il partenopeo sarebbe stata tutta in discesa: questa terra baciata dal sole che fu capitale di un Regno, delle due Sicilie per intendersi, avrebbe arricchito tutti se messa a sistema.
Torniamo ad oggi. Siamo ad aprile del 2024 e il Comune di Napoli si vede costretto a ricorrere a un piano speciale (non proprio riuscitissimo) per gestire il flusso di turisti tra Pasqua e Pasquetta: un milione le persone attese, ben più degli abitanti che conta al momento la terza città d’Italia. Le luci non si spengono più, e conquistano zone un tempo inavvicinabili. L’incrocio tra via Duomo e via Vicaria Vecchia, ad esempio: a pochi passi da qui a inizio anni Novanta un uomo si fece scudo di una bambina – Annalisa Durante – per scampare a un agguato. Ora all’angolo ci sono bar e c’è gente che prende spritz (veneti) sotto il severo sguardo del San Gennaro dipinto da Jorit. Mentre alla Mostra d’Oltremare di Fuorigrotta va in scena la BMT (Borsa Mediterranea del Turismo), da Cannes arriva l’ennesima riprova che la città di Partenope è ancora ben sotto i riflettori dei viaggiatori di mezzo mondo. Resonance, società di consulenza nei settori del turismo, sviluppo economico e investimenti immobiliari, piazza Napoli nella top 30 delle mete più ambite d’Europa, scalzando in questa graduatoria finanche la leggendaria Venezia.
Insomma, quei presupposti per cui putessemo campà solo ‘e turismo oggi ci sono tutti. Eppure, non solo i napoletani sono ben lontani dal poter campare solo di turismo, ma anche dal campare bene. E soprattutto dal campare nel cuore della propria città, anche per quegli studenti che con la loro presenza hanno permesso al centro di sopravvivere negli anni bui delle continue emergenze. Insomma, proprio come sta accadendo a Milano, dove ormai si scende in piazza contro gli affitti brevi, anche a Napoli caro vita e caro casa, con un diritto all’abitare sempre più messo in discussione, stanno trasformando il tessuto sociale della città. In peggio.
Napoli 2024: di che turismo parliamo?
Federico Quagliuolo ha iniziato a girare in Vespa e raccontare la Napoli nobile, storica, piena di valore e curiosità. Col tempo ci ha costruito prima una community e poi un vero e proprio lavoro: con il team di Storie di Napoli conta circa 60.000 follower su Instagram e oltre 200.000 su Facebook. Lo scorso agosto decise di scrivere un articolo dal titolo emblematico: Il turismo di massa rovinerà Napoli?. Spoiler: non è la risposta che vi aspettereste.
“Napoli è da almeno 500 anni una delle città più sovraffollate d’Europa. Il caos delle strade strette e strapiene di persone è una caratteristica che il napoletano conosce da sempre, a differenza delle tante città europee che oggi sono state sconvolte dal turismo di massa. La città sin dai tempi del Viceregno (XVI secolo) ha avuto uno sviluppo urbanistico e edilizio caotico e sregolato che ha creato quei fenomeni culturali un tempo drammatici, come i vicarielli strettissimi, sporchi e angusti, con spazi pubblici rubati da chiese e palazzi nobiliari; i fondaci con case di 5 metri quadri abitate da 12 persone; le pizze oggi a otto, che potevi pagare dopo 8 giorni, dato che buona parte delle persone nemmeno aveva la possibilità di mangiare. Oggi questi elementi del passato sono stati romanticizzati in storie e luoghi da instagrammare per turisti, ma un tempo erano la normalità popolare. E quindi, tutto sommato, la trasformazione di questi luoghi in attrazioni turistiche è uno sviluppo sorprendente della storia cittadina. Il turismo di massa non è insomma il demonio, ma è un fenomeno che va capito e amministrato”.
Luigi De Magistris e Sergio D’Angelo: Napoli dal turismo al turboturismo
C’è chi usa il termine gentrificazione già da tempo e chi parla di turistificazione. L’ex candidato sindaco, ex assessore e oggi consigliere comunale Sergio D’Angelo, a capo della Gesco Sociale e rappresentante privilegiato del Terzo Settore partenopeo, è uno degli osservatori più attenti di quanto accade in città. Ed è stato lui in queste ore ad utilizzare il termine turboturismo per indicare questo vortice che vede Napoli già abbondantemente implosa.
“Turboturismo – spiega D’Angelo a SenzaFiltro – per almeno un paio di ragioni. La prima è la velocità con cui si afferma. Basti pensare che a Napoli è iniziato più o meno nel 2015 e in mezzo c’è la pandemia, che ha prima azzerato e poi rallentato i flussi a livello mondiale. Poi per l’intensità travolgente con la quale il fenomeno si manifesta.”
Nel 2015 alla guida della città partenopea c’era Luigi de Magistris, più o meno a metà della sua esperienza come sindaco. “Abbiamo ereditato Napoli con montagne di rifiuti per strada e nemmeno un turista a cercarla con il binocolo”, racconta l’ex pm a SenzaFiltro.
“Con la scelta del Lungomare liberato, la tanto contestata pedonalizzazione e puntando su eventi sportivi e culturali, in primis la America’s cup, Napoli da dieci anni è prima in Italia per crescita turistico-culturale”. E le contestazioni sono reali: se è vero che piace ricordare ai partenopei di “essersi liberati da soli dal nazifascismo”, è altrettanto vero che sono storicamente poco avvezzi ai cambiamenti, e il referendum tra monarchia e repubblica ci ricorda che, fosse stato per Napoli, in Italia avremmo ancora il Re. Così, quando il primo cittadino con polso di ferro “impose” la pedonalizzazione di buona parte del lungomare di Napoli, incontrò una altrettanto ferrea resistenza di ristoratori e commercianti del posto. “Falliremo”, continuavano a ripetere imperterriti, convinti che senza auto parcheggiate fuori ai ristoranti il loro destino fosse segnato. Provate ora a chiedere agli stessi ristoratori che cosa ne pensano di una riapertura al traffico; vedete come vi rispondono.
“Questo è il merito di una stagione politica in cui si è governato senza soldi e avendo i poteri forti contro, anche con violenza”, continua de Magistris. “Cambiammo rotta perché ci fu tanto lavoro, concretezza amministrativa e coraggio nel risolvere l’emergenza rifiuti. E poi amore e passione per Napoli, visione di una città che poteva puntare sui napoletani, sulla sua bellezza, sui giovani, sui beni comuni. E ci fu una grande collaborazione tra l’amministrazione cittadina e il popolo”.
Ora però quel popolo dov’è? Forse sui palazzi nobili di Chiaia resiste ancora, tra le fasce di popolazione benestanti. Il centro invece annaspa, tra forti odori di frittura e carenza abitativa. Lo confermano da Federalberghi Napoli: se è vero che arrivi, sbarchi e scali in città sono a livelli record, non si può dire lo stesso delle prenotazioni alberghiere.
Prima per arrivi, ma gli alberghi non si riempiono: il fenomeno delle case da turismo
“Viviamo un periodo buono. Ma non il migliore”, spiegano in una nota fonti dell’associazione di categoria a SenzaFiltro. “Il boom a Napoli è partito nel 2017, quando si passò dal 71% del 2015 al 75% del 2016 e poi al 78% del 2017 di occupazione media annuale. La crescita poi è stata costante ma non esplosiva. Dal punto di vista alberghiero il 2019 è stato l’anno migliore, nel 2023 abbiamo sfiorato quella prestazione ma senza raggiungerla. Questo 2024 procede bene, ma sembra al momento in leggero ritardo rispetto allo scorso anno. Pasqua è stata un campanellino di allarme, forse perché capitata bassa (nel mese di marzo, N.d.R.), ma l’occupazione camere ha sfiorato l’80% mentre nel 2019 fu dell’89%”. Eppure in città arriva (e c’è) molta più gente. Come si spiega il boom? “Riguarda molto l’extralberghiero e, purtroppo, l’abusivismo”.
“Vigilare sulle strutture abusive che prosperano sul passaparola è necessario. Pensiamo allo scandalo denunciato di recente da Fanpage sulle case del Comune affittate senza nessun titolo ai turisti. Poi bisogna avere il coraggio di dire basta a nuove strutture ricettive non alberghiere. La città può sostenere un ulteriore incremento di un aereo che atterra ogni sette o otto minuti a Capodichino? Io temo proprio di no, altrimenti la monocultura del turismo divorerà la città. Siamo già al limite di guardia”, ammonisce Sergio D’Angelo.
“L’idea di affittare una stanza in eccesso ai turisti era piacevole e romantica”, riprende D’Angelo. “Alludeva a una dimensione del viaggio come compenetrazione che spingeva a vivere la città come un residente fino al livello di intimità più elevato, che era la convivenza temporanea in un appartamento. Oggi invece a Napoli una casa su due si compra come investimento turistico e non per affittarla ai residenti. E se invece di una casa ne compri o ne possiedi a decine diventa evidente che i guasti sono devastanti, perché se è vero che in nessuna grande città europea si vive più nei centri storici, ma a dieci, venti o trenta chilometri di distanza, è altrettanto evidente che qui non esiste una rete di trasporti su ferro adeguata che garantisce il diritto alla mobilità”.
Vale per le abitazioni che si arrampicano lungo i Quartieri Spagnoli, passati da zona off limits a meta di veri e propri pellegrinaggi – si veda Largo Maradona, che riesce a coniugare la street art inversa di Francisco Bosoletti con la venerazione per il fuoriclasse argentino – quanto per le vie che si articolano lungo i due decumani che tagliano il centro città.
“Tra poco Napoli non sarà più una città per i napoletani, e non mi riferisco solo al centro storico, perché l’effetto domino si riflette su tutti i quartieri cittadini”, commenta Sergio D’Angelo.
I numeri della gentrificazione. Napoli e i nuovi costi dell’immobiliare
Ma di che aumenti parliamo? Senza entrare nel merito di questioni complesse (come l’accesso al mutuo, che è un tema che supera i confini regionali e anche nazionali), basta consultare le stime di Immobiliare.it. Secondo il portale, tra i principali nel settore in Italia, nel centro storico cittadino si è passato da un affitto medio di poco più di 10 euro a metro quadro nel 2016 (10,40 euro) a una cifra che sfiora i 16 euro a metro quadro a marzo 2024 (15,99 euro).
La curva parla da sola: fatta eccezione per il periodo pandemico si tratta di un’impennata clamorosa. Parliamo di un aumento di oltre il 50% sul prezzo registrato otto anni fa, con almeno due anni di pieno stop del mondo a causa del COVID-19, e su un patrimonio immobiliare non certo in ottime condizioni (fosse anche solo per l’età anagrafica degli edifici in questione). Un esempio, calcolatrice alla mano: se per un appartamento di 65 metri quadri al centro il prezzo medio nel 2016 si attestava intorno ai 675 euro al mese, ora per la stessa metratura bisogna considerare circa 1.039 euro. Una cifra proibitiva per gli stessi nuclei famigliari napoletani; figurarsi quindi per gli studenti che, improvvisando una cittadella universitaria, hanno per anni permesso al centro storico di vivere e ora rischiano di finire fuori dai giochi a causa del turismo di massa.
Luigi Cirillo, consigliere regionale, è tra i principali esponenti politici che nel Parlamentino regionale campano negli ultimi anni ha sollevato il problema dei fuori sede.
“L’interlocuzione in questi anni di mandato con l’ADISURC (Agenzia per il diritto allo studio universitario della Regione Campania, N.d.R.) è stata costante. Stiamo mettendo in campo quanto possibile per far sì che sia il pubblico a tamponare tale problema con gli alloggi universitari, è una delle battaglie istituzionali su cui sono maggiormente impegnato per permettere ai ragazzi, soprattutto delle aree interne, di poter studiare nelle nostre prestigiose università. Sappiamo però che parte corposa del problema su Napoli riguarda quello che è successo con gli affitti al centro. Vigilanza e controllo vanno intensificati in modo che emerga l’abusivismo, certo, ma resta di base un problema: quando le case saranno solo per i turisti cosa accadrà alle nostre università? Quando per un giovane dell’entroterra sarà più facile studiare a Roma che a Napoli, come faremo a sorprenderci di tutto ciò che ne consegue, come desertificazione ed emigrazione?”
Che cosa non ha funzionato? “Il turismo, sul quale abbiamo puntato sin dall’inizio anche subendo l’ilarità di un pezzo di poteri della nostra città, e anche dure e miopi contestazioni, va governato, perché altrimenti può produrre anche degli effetti collaterali negativi”, è convinto de Magistris. Che sulla gentrificazione dice: “C’è il rischio concreto che alcune zone della città non saranno più abitate da napoletani perché la gran parte delle abitazioni avrà prezzi proibitivi per giovani, fasce popolari, ceto medio. E Napoli senza i napoletani non è Napoli”.
“Le città che hanno subito questo tipo di cambiamento turistico, come Parigi, Roma, Venezia e tante altre mete europee, hanno visto sviluppare in modo enorme il proprio hinterland: i residenti, a causa dell’aumento sconsiderato dei prezzi del centro storico e per via della trasformazione delle strade antiche in luoghi di intrattenimento incompatibili con la vita quotidiana di un lavoratore, si sono trovati costretti a scegliere la periferia o la provincia per continuare a vivere”, sottolinea Federico Quagliuolo. “Il problema è che Napoli questa periferia ce l’ha già satura dagli anni Ottanta, quando l’edilizia privata ha affogato fino all’ultimo centimetro dell’agro napoletano, lasciandoci oggi città che hanno la densità abitativa di megalopoli cinesi, come Arzano e Casavatore, con i loro 12.000 abitanti per chilometro quadrato. Per giunta si tratta di territori che soffrono spesso di grosse carenze nelle infrastrutture e collegati malissimo con il capoluogo. La sfida, adesso, è quindi la trasformazione urbana dell’intera area metropolitana di Napoli, che altrimenti si troverà a collassare nel traffico automobilistico dei lavoratori e nell’impossibilità di trovare casa in un luogo vivibile per i più giovani”.
La città più colpita dall’inflazione
Torniamo però ai numeri. Perché quelli che galoppano verso l’alto sono quelli degli affitti. Quelli del potere d’acquisto delle famiglie sono come al solito al palo, così come i salari. Non lo dicono i napoletani, ma tutti i dati elaborati sulla situazione stipendi da qualche anno a questa parte.
Napoli, meta low cost per i turisti, non è per niente low cost per i residenti. Guadagnandosi un primato inimmaginabile quindici anni fa: l’ISTAT a gennaio 2024 ricorda che “tra le maggiori città l’inflazione più elevata si osserva a Napoli a gennaio con un tasso del 1,9%, pari a più del doppio di quello medio nazionale (lo 0,8%)”. Stessi problemi di Milano, dunque, ma con 10.000 euro di stipendio mensile medio in meno (fonte: ricerca JobPricing sui dati relativi al 2022).
“Un altro elemento che balza all’occhio è l’aumento dei prezzi dei generi alimentari che ha assegnato alla città il poco lusinghiero primato nazionale della relativa inflazione”, riprende D’Angelo. Sempre l’ISTAT, infatti, recita per Napoli un 7% di inflazione su base annua riferita solo ai generi alimentari. “Qui a Napoli si faceva un pranzo completo con diecimila lire, che sono poi diventate dieci euro in tante trattorie del centro. Ora già solo un primo costa più di dieci euro, perché i prezzi sono stati ricalibrati sulle tasche dei turisti. E non è più economico fare la spesa perché le salumerie di quartiere sono diventate costose botteghe del presepe”, commenta D’Angelo. Gli fa eco de Magistris: “Il costo della vita sta aumentando troppo e si perde il valore del rapporto qualità-prezzo che ha sempre caratterizzato negli ultimi anni la nostra città”.
Certo, il turismo genera lavoro, ma che lavoro? “Fa riflettere che in città molti lavorano per gli stessi tre euro l’ora che servono per comprare un crocchè per le vie del centro”, sorride amaramente D’Angelo. “Un’ora di lavoro per un panzarotto e due ore non bastano per una porzione di friarielli, che è arrivata a sette euro. Poi è evidente che il lavoro nero o comunque grigio occupa ben più di una sacca del mercato occupazionale cittadino”.
“In sostanza e paradossalmente – chiude D’Angelo – il marketing turistico dice che Napoli è una città da visitare perché il suo centro storico non è gentrificato e ci vive ancora la popolazione locale, ma poi è lo stesso turboturismo che cancella a ritmi spaventosi questa peculiarità.”
Insomma, siamo diventati quel parco giochi che dicevamo di non essere, prendendo le distanze da città come Roma e Firenze, dove i centri erano già in balia di orde di turisti? Probabilmente sì, con scarsa consolazione per quelli che dicevano una quindicina di anni fa che putevemo campà solo ‘e turismo.
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In copertina: il centro di Napoli visto dall’Università Suor Orsola Benincasa (foto di Enrico Parolisi)
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