Torniamo però ai numeri. Perché quelli che galoppano verso l’alto sono quelli degli affitti. Quelli del potere d’acquisto delle famiglie sono come al solito al palo, così come i salari. Non lo dicono i napoletani, ma tutti i dati elaborati sulla situazione stipendi da qualche anno a questa parte.
Napoli, meta low cost per i turisti, non è per niente low cost per i residenti. Guadagnandosi un primato inimmaginabile quindici anni fa: l’ISTAT a gennaio 2024 ricorda che “tra le maggiori città l’inflazione più elevata si osserva a Napoli a gennaio con un tasso del 1,9%, pari a più del doppio di quello medio nazionale (lo 0,8%)”. Stessi problemi di Milano, dunque, ma con 10.000 euro di stipendio mensile medio in meno (fonte: ricerca JobPricing sui dati relativi al 2022).
“Un altro elemento che balza all’occhio è l’aumento dei prezzi dei generi alimentari che ha assegnato alla città il poco lusinghiero primato nazionale della relativa inflazione”, riprende D’Angelo. Sempre l’ISTAT, infatti, recita per Napoli un 7% di inflazione su base annua riferita solo ai generi alimentari. “Qui a Napoli si faceva un pranzo completo con diecimila lire, che sono poi diventate dieci euro in tante trattorie del centro. Ora già solo un primo costa più di dieci euro, perché i prezzi sono stati ricalibrati sulle tasche dei turisti. E non è più economico fare la spesa perché le salumerie di quartiere sono diventate costose botteghe del presepe”, commenta D’Angelo. Gli fa eco de Magistris: “Il costo della vita sta aumentando troppo e si perde il valore del rapporto qualità-prezzo che ha sempre caratterizzato negli ultimi anni la nostra città”.
Certo, il turismo genera lavoro, ma che lavoro? “Fa riflettere che in città molti lavorano per gli stessi tre euro l’ora che servono per comprare un crocchè per le vie del centro”, sorride amaramente D’Angelo. “Un’ora di lavoro per un panzarotto e due ore non bastano per una porzione di friarielli, che è arrivata a sette euro. Poi è evidente che il lavoro nero o comunque grigio occupa ben più di una sacca del mercato occupazionale cittadino”.
“In sostanza e paradossalmente – chiude D’Angelo – il marketing turistico dice che Napoli è una città da visitare perché il suo centro storico non è gentrificato e ci vive ancora la popolazione locale, ma poi è lo stesso turboturismo che cancella a ritmi spaventosi questa peculiarità.”
Insomma, siamo diventati quel parco giochi che dicevamo di non essere, prendendo le distanze da città come Roma e Firenze, dove i centri erano già in balia di orde di turisti? Probabilmente sì, con scarsa consolazione per quelli che dicevano una quindicina di anni fa che putevemo campà solo ‘e turismo.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Sottoscrivi SenzaFiltro
In copertina: il centro di Napoli visto dall’Università Suor Orsola Benincasa (foto di Enrico Parolisi)