Provate a chiedere lo stesso preventivo a dieci professionisti e vedrete: la competizione sul prezzo è una guerra senza esclusione di colpi. Potreste pensare che in questi anni il doppio obiettivo di aprire il mercato delle prestazioni professionali e di far risparmiare cittadini e imprese sia stato raggiunto, ma come spesso avviene i fenomeni sono […]
Belpaese, non bei salari: quanto guadagnano gli italiani
I dati dell’Osservatorio JobPricing sulle retribuzioni e le differenze salariali in Italia: chi guadagna di più e chi di meno, e perché? Un confronto tra lavoratori, settori e Paesi.
Quanto si guadagna in Italia?
Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio JobPricing, che monitora i salari del settore privato, la retribuzione nazionale media annua del 2021 è stata di 29.995 euro (aggiornamento al primo semestre 2021. La retribuzione annua si riferisce alla retribuzione annua in Full-Time Equivalent, che comprende sia la quota fissa che quella variabile: si veda il JP Salary Outlook Update 2021). Essendo un dato medio non rappresenta precisamente tutti i lavoratori, e per definizione non rimarca le differenze. Ad esempio, un lavoratore uomo guadagna in media 31.205 euro, mentre una lavoratrice donna ne percepisce 28.121. Ciò significa che in un anno una donna guadagna l’11% in meno dello stipendio medio maschile.
Questa differenza dipende una molteplicità di cause, osservabili e non, tra cui una presenza marginale delle donne nei ruoli di vertice (i quali, appunto, sono più pagati) o tra le funzioni di staff delle aziende (solitamente meno retribuite), una penalizzazione nella crescita retributiva a seguito della maternità (anche a causa di assenza di congedi di paternità obbligatori) o, ancora, una maggiore diffusione del part-time tra le lavoratrici (spesso involontario). Se si considera la presenza del part-time, infatti, il pay gap di genere arriva al 17%, mentre scende al 3,8% se si considerano i salari del settore pubblico (Eurostat, 2019).
Le caratteristiche che determinano le differenze dei salari tra le persone si possono suddividere in due grandi gruppi: quelle strettamente legate all’individuo e quelle legate alle aziende.
Le differenze salariali dovute ai lavoratori
Focalizzandosi sulle persone è possibile mostrare differenze salariali per diverse fasce d’età e per titolo di studio. Il salario cresce durante la carriera: a classe di età maggiore corrisponde una retribuzione media più alta (Tabella 1). Questa crescita è determinata dall’accumulo di esperienza, dalla crescita della propria professionalità e dalla copertura di ruoli sempre più specializzati e manageriali.
Tabella 1. RGA 2021 media per classi di età e per livello di istruzione
RGA 2021 | ||
Classe di età | ||
15-24 anni | 24.149 € | |
25-34 anni | 26.466 € | |
35-44 anni | 29.587 € | |
45-54 anni | 32.012 € | |
Più di 55 anni | 33.270 € | |
Livello di Istruzione | ||
Non laureati | 27.968 € | |
Laureati | 41.316 € |
Possedere un titolo di studio superiore al diploma produce un differenziale evidentemente significativo (Tabella 1) che si attesta a circa il 32% in più, in media. Anche in questo caso, il differenziale è legato al percorso di carriera che una persona riesce a compiere. Un titolo di studio maggiore garantisce l’acquisizione di competenze più ricercate, così da avere più probabilità di ricoprire dei ruoli più specializzati e dirigenziali, che sono di fatto più remunerativi.
È l’inquadramento contrattuale, infatti, il fattore che genera le differenze più ampie tra le retribuzioni dei lavoratori (Tabella 2), in quanto questo – in genere – è assegnato in base al tipo di ruolo che si ricopre nelle aziende. Il salario medio degli operai e quello degli impiegati differiscono di circa il 20%, ma più si sale verso i ruoli apicali più emerge la differenza: i quadri guadagnano quasi il 45% in più degli impiegati e i dirigenti circa il 48% in più dei quadri.
In altre parole, più un lavoratore diventa esperto e qualificato, più riesce a crescere professionalmente, più riesce ad accedere a ruoli manageriali. Dunque i differenziali salariali legati all’età e all’istruzione altro non sono che l’altra faccia della medaglia del differenziale legato allo sviluppo di carriera.
Tabella 2. RGA 2021 media per inquadramento contrattuale
RGA 2021 | |
Dirigenti | 112.326 € |
Quadri | 57.444 € |
Impiegati | 31.477 € |
Operai | 25.118 € |
Le differenze salariali dovute alle aziende
Nel gruppo di fattori legati alle aziende, invece, tra i primi della lista si posiziona la geografia: l’eterna dualità italiana è ben presente anche in materia retributiva. I salari medi territoriali pongono il Nord e il Centro Italia su un piano abbastanza simile, rispettivamente con 31.297 e 29.770 euro, mentre il Mezzogiorno ha una media retributiva di 27.013 euro. Entrando nel dettaglio delle singole regioni (Figura 1), i salari medi della Lombardia, della Liguria e del Trentino-Alto Adige sono quelli più alti, tutti e tre sopra i 31.000 euro all’anno. Al contrario, le retribuzioni più basse, ben lontane dalla media nazionale, sono quelle del Molise, della Calabria e della Basilicata.
Figura 1. RGA 2021 media per regione
I differenziali salariali territoriali ben rispecchiano le diversità socioeconomiche del Paese. Al Centro e al Nord è presente un tessuto imprenditoriale più forte, nel quale la contrattazione collettiva viene applicata con maggiore regolarità e allo stesso tempo la contrattazione individuale ha più forza, in quanto la disoccupazione è più bassa e i lavoratori hanno maggiore potere contrattuale, con la conseguenza di determinare un salario medio più alto. Al contrario, al Sud, dove i salari sono più bassi, vi sono maggiori problemi sia a livello imprenditoriale (ad esempio l’accesso al credito) sia in termini di potere contrattuale molto inferiore nelle mani dei lavoratori, a causa dell’alta disoccupazione. Inoltre, i differenziali rappresentano costi della vita differenti.
A questo proposito, tuttavia, è bene tenere presente che gli alti salari delle regioni del Nord e del Centro sono legati anche alla presenza di grandi agglomerati urbani (ad esempio Milano e Roma), il cui vantaggio di salario nominale può non rappresentare in maniera univoca un reale maggiore potere d’acquisto (le retribuzioni oggetto dell’articolo sono infatti espresse in termini nominali, ossia al lordo dell’inflazione. Per approfondimenti sul costo della vita e i salari urbani si veda, ad esempio, Belloc, Marianna and Naticchioni, Paolo and Vittori, Claudia, Urban Wage Premia, Cost of Living, and Collective Bargaining (November 2019). CESifo Working Paper No. 7253).
Andando oltre la localizzazione geografica, i salari dei lavoratori si differenziano in maniera sostanziale anche per il settore in cui si lavora (Figura 2). I servizi finanziari, ad esempio, presentano la retribuzione media più alta, ben 15.000 euro sopra la media nazionale. A seguire si posizionano il settore delle utility e servizi pubblici, l’industria di processo e l’industria manifatturiera. Al di sotto della media, al contrario, si trovano il commercio, i servizi non finanziari, l’edilizia, e in ultimo il settore agricolo.
Figura 2. RGA 2021 media per settori produttivi
I differenziali di retribuzione settoriale riflettono, in prima battuta, la composizione occupazionale del settore. Ciò vuol dire che lì dove si riscontra una presenza maggiore di lavoratori ad alta specializzazione o un’alta presenza di dirigenti si pagano, in media, delle retribuzioni maggiori.
Un altro fattore principale nella determinazione dello stipendio è la dimensione dell’azienda nella quale si opera (Tabella 3). Si osserva, infatti, che la retribuzione globale annua media pagata dalle microaziende è circa il 13% più bassa della media nazionale; al contrario, la media delle grandi aziende è il 29% più alta. La differenza dei salari tra micro e grandi aziende è più marcata dove i salari sono in media più alti (ad esempio, al Centro Italia arriva al 62,2%) e minore dove sono più bassi (25,5% al Sud e isole). Ma non solo, anche i settori produttivi fanno la differenza: il gap di dimensione è massimo in utility e edilizia (55,7% e 55,2%), di contro è minimo in agricoltura (16,1%).
Tabella 3. RGA 2021 media per dimensione aziendale
RGA 2021 | |
Micro (fino a 10 dipendenti) | 26.233 € |
Piccola (da 11 a 50 dipendenti) | 29.704 € |
Media (da 51 a 250 dipendenti) | 32.775 € |
Medio grande (da 250 a 1000 dipendenti) | 36.258 € |
Grande (oltre 1000 dipendenti) | 38.713 € |
L’Italia e gli altri Paesi: 11.000 dollari in meno della media
L’ultimo dato che è doveroso dare è quello che posiziona il nostro Paese in un contesto internazionale: nel 2020, secondo l’OCSE, il salario medio italiano era circa 11.000 dollari più basso della media tra tutti i Paesi OCSE (Figura 3. Per approfondimenti si veda la sezione OECD Data – Average wages).
Figura 3. Salario medio 2020 in $ 2016 PPA
Le ragioni che determinano salari italiani così bassi, soprattutto se comparati a quelli dei nostri vicini francesi o tedeschi, sono prettamente legate alla produttività dell’economia e hanno radici che affondano nel periodo precedente alla crisi del 2008, la quale ha ovviamente accentuato il divario salariale. Negli ultimi due anni, del resto, questo divario è stato ulteriormente allargato dalla crisi pandemica.
Il dibattito circa la produttività del sistema economico del Paese ruota intorno a diversi fattori, quali l’alta prevalenza di PMI, un sistema produttivo basato principalmente su tecnologie medio-basse, inefficienze normative e giudiziarie (Berlingieri G. e coautori (2017). Il buono, il brutto, l cattivo: la divergenza nella produttività tra settori e imprese italiane. Pubblicato in “Salari, Produttività e Disuguaglianze” a cura di Dell’aringa C., Lucifora C., Treu T., edizioni AREL il Mulino).
A questo punto, la grande sfida post-COVID sarà proprio quella di cogliere tutte le opportunità legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con il fine di iniziare a colmare il gap di ricerca e innovazione che permetterebbe di far ripartire la crescita della produttività, e con essa i salari.
Ha collaborato all’articolo:
Erica Delugas – economista che presta particolare attenzione alla povertà e alle disuguaglianze, esperta in analisi microeconometriche. Durante il dottorato si è occupata di welfare economics, focalizzandosi su benessere soggettivo, salute e qualità della vita. Da agosto 2020 si è unita al team di JobPricing, dove attualmente ricopre il ruolo di Responsabile dell’Osservatorio JobPricing.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Leggi anche
Nel 2012 i preti in Italia erano 48.000; oggi sono 38.051, e uno su dieci è straniero. Con l’evangelizzatore freelance Paolo Curtaz capiamo dinamiche e retribuzioni di una “professione” che vede alzarsi sempre più l’età media dei suoi rappresentanti
In un’Italia dagli stipendi in calo costante dal 2008, l’introduzione del salario minimo potrebbe comportare un aumento della produttività, con importanti differenze tra Regioni e settori produttivi. Analizziamo chi ne beneficerebbe e chi no.