“Parlare di lavoro minorile, oggi come ieri, non è un’espressione felice, perché ci si aspetta che i minori frequentino la scuola con l’unica preoccupazione che è quella dello studio, coinvolti in tutte le attività che provvedono al loro benessere e alla loro crescita”, specifica il professor Vittorino Andreoli, psichiatra, raggiunto da SenzaFiltro.
Questa, però, è una realtà tangibile e come tale non deve essere negata. Ma perché esiste il lavoro minorile? “Per diversi motivi”, risponde il professor Andreoli. “Il primo è perché i minori in queste attività possono essere pagati poco. In secondo luogo, in qualsiasi attività lavorativa, i minori coinvolti non sono perseguibili penalmente e amministrativamente; dunque possono svolgere anche lavori contro legge, perché non hanno nessun limite”.
Costretti a lavorare in condizioni disumane, privati del diritto all’educazione e alla gioia di vivere l’infanzia, i minori restano spesso invisibili agli occhi di molti, ma le cicatrici che portano con sé, sia emotive che fisiche, sono difficili da debellare.
“Il minore che lavora subisce degli effetti psicologici distruttivi”, sottolinea lo psichiatra, “perché non solo si differenzia dagli altri non andando a scuola, quindi vive su di sé un senso di frustrazione e di emarginazione profondo, ma inizia a percepire il lavoro in maniera errata, lo vive come qualcosa di illegale, dove si è sottopagati, ma soprattutto non ha imparato le attività lavorative che svolge, quindi non ha nessuna preparazione. Ne consegue che, anche a livello cognitivo, il percorso che ognuno di loro per natura dovrebbe seguire viene interrotto, perché viene a mancare il percorso educativo, quello che di solito dà la scuola. Ma non solo: quello dove si deve insegnare a vivere in una società molto complicata com’è quella attuale”.
“Il lavoro minorile – continua Andreoli – influenza la percezione del sé in maniera errata, perché il minore ha una cognizione del mondo sbagliata. Lo percepisce come qualcosa di osceno. Da una parte c’è la scuola, definita come meraviglia, ma loro non vi partecipano; dall’altra il lavoro, che viene visto solo come una modalità per prendere qualche denaro, dal quale non sono attratti anche perché, il più delle volte, li riduce in una condizione di schiavismo”.
L’abbandono scolastico è una conseguenza inevitabile. Molti di loro sono costretti a sacrificare il loro futuro per contribuire al sostentamento famigliare, e finiscono vittime di organizzazioni spietate che li sfruttano senza pietà. Ma quanto incide la famiglia per questi minori?
“Incide. Ma qui c’è da fare un discorso a priori”, continua Andreoli. “Se già la famiglia è emarginata, allora tenderà a utilizzare il figlio – che ricordiamo, non può essere perseguito dalla legge – per il sostentamento della famiglia stessa. Certo che la responsabilità famigliare esiste, ma se il nucleo famigliare vive nell’emarginazione, chi dovrebbe essere la perfetta educatrice? Bisognerebbe creare un welfare per tutte quelle famiglie che, avendo dei figli, non riescono a provvedere al loro sostentamento. Le famiglie a mio avviso non dovrebbero mai essere messe nel limbo dell’emarginazione. Quelle che devono allevare dei figli devono essere sostenute, e non messe nelle condizioni di aver bisogno del lavoro contro legge dei figli, per vivere”.
C’è bisogno di coinvolgere le istituzioni, le organizzazioni non governative e tutta la società civile per cercare di arginare in maniera efficace questo problema. Per garantire un futuro migliore ai bambini, e ai futuri adulti, in tutto il Paese.