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Whistleblowing in Italia, soffiate a mezza voce: politica e imprese ancora in ritardo
La direttiva UE 2019/1937, sulla quale l’Italia rischia una procedura d’infrazione, cambia gli scenari per chi denuncia illeciti nelle imprese: si parla di estensione delle possibilità di denuncia e divieto di ogni tipo di ritorsione. Le aziende dovranno adeguarsi entro due anni. Ne parliamo con Priscilla Robledo, consulente legale e attivista per The Good Lobby.
La direttiva UE 2019/1937, sulla quale l’Italia rischia una procedura d’infrazione, cambia gli scenari per chi denuncia illeciti nelle imprese: si parla di estensione delle possibilità di denuncia e divieto di ogni tipo di ritorsione. Le aziende dovranno adeguarsi entro due anni. Ne parliamo con Priscilla Robledo, consulente legale e attivista per The Good Lobby.
“La causa principale che porta a non denunciare illeciti e corruzione nelle imprese è la mancanza di informazione”.
Tocca un punto fondamentale Priscilla Robledo, consulente legale e attivista per The Good Lobby, organizzazione non governativa che si occupa di trasparenza. “Non solo ai lavoratori mancano le linee guida per procedere, ma talvolta nemmeno c’è consapevolezza rispetto a questa possibilità”. Un tema, quello della comunicazione interna, troppo spesso lasciato ai margini nelle aziende, che finiscono così per favorire più o meno volontariamente evitabili forme di discriminazione.
Perché se è noto che l’Italia non ha ancora recepito la direttiva UE 2019/1937 sul whistleblowing – i termini sono infatti scaduti lo scorso 31 dicembre – è altrettanto vero che una normativa a tutela è già in vigore dal 2017. Si tratta della Legge 179, che completa il quadro previsto dal modello 231 del 2001 e dalla legge 190 del 2012, provvedimenti anch’essi impegnati sul fronte anticorruzione.
“In effetti la direttiva serve per completare il percorso, perché è bella e dettagliata, visto che oggi la protezione degli whistleblower è ancora parziale”.
Detto che i whistleblower altro non sono che i segnalatori di illeciti, che cosa si intende per protezione parziale? Proviamo a spiegare.
Che cosa cambia con la direttiva UE sul whistleblowing
La direttiva UE, rispetto alla normativa attuale, include nella definizione di questi soggetti anche consulenti, membri dei consigli direttivi, ex dipendenti e candidati, persone cioè al di fuori della normale relazione di lavoro subordinato. Inoltre, altro aspetto importante, introduce il divieto di ogni tipo di ritorsione, prevedendo sanzioni per chi ostacola questo diritto. Una strada che, aspetto non secondario, permette tra l’altro di parificare il trattamento nel settore pubblico e privato.
“Bisogna però specificare che le direttive non sono immediatamente applicabili come i regolamenti, quindi al momento società ed enti pubblici si possono solo preparare all’entrata in vigore”. Perché, allora, l’Italia rischia una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea? “Molto semplice: siamo in ritardo di due mesi e mezzo, in quanto il recepimento andava effettuato entro la fine del 2021. Non una novità per il nostro Paese, troppe volte fuori tempo con questi adeguamenti”.
Nel concreto, entro il prossimo anno le imprese con più di 250 lavoratori si dovranno attrezzare con specifici canali per la ricezione delle segnalazioni. Canali ai quali dovranno poter accedere anche tutti gli stakeholder esterni, a partire da lavoratori autonomi e in somministrazione, oggi ancora esclusi dalla norma. Aspetto ancor più interessante è il coinvolgimento nel processo, dal 2023, anche delle aziende dai 50 lavoratori in su, contenitore che abbraccia buona parte delle piccole e medie imprese italiane.
Un’implementazione davvero possibile? “Così prescrive la direttiva, ragion per cui anche queste realtà saranno chiamate a mettere a punto procedure antidiscriminazione. Il periodo transitorio che esclude queste organizzazioni terminerebbe il 31 dicembre 2023, quindi dal 2024 l’estensione dovrebbe entrare a tutti gli effetti in vigore, ma restiamo in attesa del decreto di recepimento per avere un calendario preciso”.
Tema, come detto all’inizio, senza dubbio culturale, oltre che di adeguamento alla futura norma. Se le aziende oggi coinvolte non riescono a strutturare piani di comunicazione efficaci, figuriamoci le PMI. “Il punto è proprio questo: se manca la cultura organizzativa, è improbabile creare una struttura in grado di funzionare. Diciamo la verità, in una PMI si conoscono tutti, per cui senza reali tutele da parte delle società il rischio di discriminazioni volontarie o involontarie è molto alto”.
D’altro canto viviamo in un Paese che, secondo i dati redatti dall’indice annuale di percezione della corruzione, transita al quarantaduesimo posto sui centottanta complessivi, ex aequo con la Polonia e appena un punto sopra al Botswana. Una posizione di classifica demoralizzante, quella evidenziata dal report di Transparency International, se confrontata con gli altri grandi d’Europa: Francia ventiduesima, Gran Bretagna undicesima, Germania decima. Non a caso, quindi, tra il 2018 e il 2021 (complice probabilmente anche la pandemia) si è verificato un preoccupante calo del 45% di segnalazioni inviate all’ANAC, l’autorità nazionale anticorruzione.
La principale differenza tra la direttiva sul whistleblowing e le leggi precedenti. Il ruolo dei sindacati
In tutto questo, come si inserisce la mediazione sindacale? “Il sindacato non ha potere giurisdizionale, si occupa appunto di mediare conflitti risolvibili, ma non entra nel merito di interventi potenzialmente sanzionatori nei confronti degli autori di illeciti. Anche se, per onore di cronaca, bisogna dire che ANAC fino ad oggi ha emesso numero irrisorio di sanzioni. Quando parlo di cultura penso anche a questo: si tratta di un cambiamento totale di paradigma, che riguarda davvero tutti, autorità comprese”.
Se l’Italia si dovesse allineare in modo definitivo, ed è opportuno che lo faccia, qual è il punto di rottura più importante rispetto al passato?
“Le differenze fra la legge e la direttiva sono molte. Oltre all’estensione della protezione anche a soggetti non dipendenti, o la possibilità di segnalare esternamente all’ente, un punto interessante per esempio riguarda la tutela del segreto commerciale. Per spiegarlo riprendo un orientamento della Cassazione che risale a inizio 2018, nei primi mesi di applicazione della legge 179. Nel caso specifico il whistleblower, prima di effettuare la segnalazione, si era permesso di approfondire un’indagine preliminare di raccolta prove, violando il segreto commerciale dell’azienda. Ebbene, la Cassazione ha evidenziato l’articolo 3 della 179 che fa prevalere il segreto sul potere della segnalazione. Quindi la 179 protegge dagli illeciti, ma se violi il segreto per segnalare da vittima diventi colpevole. La direttiva UE invece spiega che a prevalere è sempre il whistleblower, ad eccezione di alcuni casi particolari come il segreto di Stato. Ecco, il punto di rottura complessivo è questo: la legge 179 mette al centro le procedure, mentre la direttiva mette al centro la persona”.
Priscilla Robledo, The Good Lobby: “Direttiva avvantaggia i whistleblower nella mediazione con le imprese”
Tutte teorie interessanti, però la verità è che anche con gli ultimi adeguamenti normativi le aziende si tutelano dal punto di vista burocratico, ma nella pratica per adesso poco cambia. “Neanche Roma è stata costruita in un giorno. Lo ripeto, servono adeguate campagne di comunicazione interna. Dall’altro lato non ci si deve aspettare una marea di segnalazioni; non sempre tutto è denunciabile, non sempre i lavoratori vogliono denunciare. Qui si tratta di potenziali illeciti di norme”.
Quindi, quali sono questi potenziali illeciti? In sostanza si parla, per citare qualche esempio, di assunzioni poco trasparenti, demansionamenti, violazione di norme ambientali o sulla sicurezza del lavoro. Ovvio che l’efficacia massima si ha quando la norma non viene mai applicata. “Appunto, anche questa direttiva ha intenti di prevenzione, per cui se lo strumento funziona e non ci sono segnalazioni ben venga. In ogni caso l’obiettivo è costruire e implementare canali perfettamente fruibili e riservati, a cui i lavoratori e gli altri attori si possano appoggiare. Il tutto senza discriminare nessuno”.
E senza dimenticare l’aspetto relazionale. Dopo una denuncia di illecito, un lavoratore può davvero continuare il suo rapporto professionale senza ripercussioni in una piccola o media impresa? “Non è così piacevole lavorare in un posto di lavoro dove è successo quel che è successo. Alla fine, lo sappiamo, si media sempre. La legge è comunque utile perché permette al whistleblower di uscire meglio dalla mediazione rispetto al passato”.
È possibile, attraverso i dati, capire lo stato di salute delle organizzazioni pubbliche e private italiane? “Fino a due anni fa ANAC ogni mese di giugno pubblicava un report sulle segnalazioni ricevute. Oggi non lo fa più, ed è anche molto difficile trovare in rete rapporti ed elementi utili. Si trovano dati su sanzioni comminate nei confronti dell’autore e delle società, ma sono pochi e deludenti. Sul privato invece non c’è nulla: a chi conviene strutturare indagini simili e chi è disposto a supportarle?”
Già. Perché in fondo un conto è adeguarsi alla futura direttiva, ammesso che il Governo la recepisca, un altro è essere integerrimi per davvero.
Leggi altri articoli a tema Whistleblowing.
Leggi il mensile 109 “Stipendi d’Italia” e il reportage “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.
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Photo credits: agendadigitale.eu
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