Cucinelli e i Robin Hood della finanza

Il marchio dello stilista umbro, emblema del “capitalismo umanistico”, è finito nel mirino di un hedge fund che ha denunciato presunte violazioni delle sanzioni europee nei confronti della Russia. Quanto c’è da fidarsi? E Cucinelli è l’unico marchio a essere tornato a vendere nelle terre di Putin? La nostra analisi

Brunello Cucinelli durante un discorso

Immaginate Robin Hood, che però dopo aver preso ai ricchi si tiene tutto quanto. Ai poveri distribuisce il racconto delle sue imprese e delle bassezze dei suoi avversari, che quelle imprese le hanno motivate.

La storia che ha colpito l’azienda di Brunello Cucinelli funziona allo stesso modo. Il marchio di moda dell’imprenditore-filosofo che ha costruito un impero sul “capitalismo umanistico” è finito nel mirino di Morpheus Research, hedge fund americano specializzato in report al vetriolo e vendite allo scoperto: secondo gli analisti statunitensi, il gruppo umbro avrebbe continuato a vendere prodotti di lusso in Russia nonostante le sanzioni europee seguite all’invasione dell’Ucraina.

Dopo che Morpheus ha condiviso un report molto particolareggiato, il copione della speculazione è stato rispettato fino all’ultimo: crollo in borsa del titolo Cucinelli, guadagni ingenti da chi aveva scommesso sul tonfo. Ma il punto non è l’etica reprensibile delle parti coinvolte in questo passo a due finanziario, quanto piuttosto ciò che la vicenda fa emergere del nostro sistema economico – e dei modi con cui vi si rapporta l’informazione.

Ricostruiamo l’accaduto e le sue implicazioni, punto per punto.

La denuncia di Morpheus: Cucinelli vende ancora allo zar

Il report di Morpheus Research denuncia la presenza a Mosca di boutique Cucinelli ancora operative, con scaffali ricolmi di giacche, cappotti e accessori con etichette 2024 e 2025, posteriori ai divieti marcati dalle sanzioni UE. I prezzi – ben oltre il limite di 300 euro imposto da Bruxelles – rafforzerebbero l’ipotesi di un aggiramento dell’embargo. A corredo gli analisti citano testimonianze di “mystery shopper” (compratori in incognito inviati a testare l’effettivo esercizio delle attività), documenti doganali che rimandano a potenziali triangolazioni commerciali (ovvero capi che fanno tappa su intermediari “oscuri” come Lituania, Cina e Iran prima di approdare in Russia, per gettare fumo negli occhi dei controllori europei) e informazioni raccolte da ex dipendenti, che testimoniano l’operatività e i prezzi di vendita dei negozi russi di Cucinelli.

Nel mirino del report c’è anche la gestione dell’inventario, giudicato eccessivo, con i magazzini gonfi di capi invenduti. Ci sarebbe questo – lascia intendere Morpheus – all’origine della comparsa di capi Cucinelli in catene di distribuzione low cost come l’americana TJ Maxx. È un elemento che incrina l’aura di esclusività del marchio: ma come, un’azienda che produce capi lussuosi e ambiti ricorre a mezzucci da saldo estivo per svuotare gli stock?

Il documento di Morpheus parte da un assunto di base: le azioni di Cucinelli sono molto care. Anzi, troppo: al momento dell’uscita dell’analisi, gli investitori pagavano per acquistarle 5.40 dollari per ogni dollaro di vendite generate (mentre per i concorrenti pagavano in media solo 2.20 dollari, meno della metà); inoltre gli analisti prevedevano che le azioni dell’azienda avrebbero acquistato ulteriore valore nel 2026. Tuttavia, Cucinelli aveva un margine operativo più basso rispetto al suo concorrente di riferimento (16,6% rispetto al 41,4% di Hermes), segno di un’efficienza mediocre, almeno per quanto riguarda la generazione di profitti. Una nota stonata, per l’azienda più quotata nel settore del lusso.

La questione posta da Morpheus, al di là dei numeri e del gergo tecnico, è che anche ignorando le prove del presunto scandalo la fiducia degli investitori in Cucinelli sarebbe ingiustificata, perché l’azienda darebbe di sé un’immagine finanziaria appiattita sul suo profilo migliore. Un problema che ha a che fare con i fondamentali dell’economia, prima che con l’etica.

Il danno reputazionale diventa monetario. La difesa di Cucinelli

La replica di Cucinelli è stata immediata. L’azienda ha dichiarato di rispettare ogni normativa europea, specificando che le esportazioni verso la Russia sono crollate: dai 16 milioni di euro del 2021 (il 9% del fatturato complessivo) ai 5 milioni del 2024, appena il 2% del fatturato (che oggi, nel suo totale, ammonta a 543 milioni di euro). Le merci in vendita a Mosca, sostiene il brand, proverrebbero da stock importati prima delle sanzioni, e alcune etichette sarebbero state modificate per adeguarsi a regole formali, non per mascherare violazioni.

Cucinelli ha parlato di “accuse infondate” e ha annunciato la valutazione di azioni legali per difendere la maison e i suoi stakeholder; inoltre ha deciso di anticipare la diffusione dei dati di vendita del terzo trimestre 2025 (vendite a 335,5 milioni, una crescita del 13,9% nel canale retail e del 9% in quello wholesale, superando un miliardo di ricavi). In altre parole, l’azienda cerca di difendere la sua quotazione rispondendo sullo stesso campo in cui l’ha attaccata il report di Morpheus: la reputazione, flettendo i muscoli dei profitti per dare mostra della sua solidità e rassicurare gli investitori.

I mercati, tuttavia, hanno reagito senza attendere sentenze. Alla pubblicazione del report, il titolo Brunello Cucinelli ha perso il 17% in un solo giorno, toccando il fondo del -19% nelle ore successive, con oltre un miliardo di euro bruciato in capitalizzazione. A Piazza Affari il titolo è stato persino sospeso dalle contrattazioni, mentre la CONSOB ha richiesto chiarimenti formali al gruppo umbro sulla gestione della sua attività in Russia – che l’azienda, come già indicato, ha fornito fin da subito.

Ad oggi il valore azionario di Cucinelli sta godendo di un temporaneo effetto rimbalzo che ha portato la quotazione a recuperare diversi punti percentuali. Il titolo, però, continua a segnare perdite superiori al 10% rispetto al suo valore precedente all’attacco dell’hedge fund (almeno alla data di questo articolo), cosa che neppure le previsioni tutto sommato ottimistiche degli analisti come Bernstein, dettate dall’inerente solidità del mercato del lusso, sono riuscite a ribaltare.

La domanda è se l’immagine dell’azienda, più che i suoi indicatori, ne risentirà a lungo termine. Un marchio che dell’etica ha fatto il proprio contrassegno principale è chiamato a dimostrare di non aver tradito la sua stessa filosofia; mai come in questi casi diventa chiaro che la reputazione vale più dell’oro.

La guerra dei report: se gli speculatori sono più capaci dei giornalisti

Allora chi ha ragione, e chi ha torto? In questa storia di accuse incrociate, chi interpreta il ruolo di Robin Hood? Per vederci più chiaro è necessario puntare i riflettori sul ruolo degli hedge fund come Morpheus Research.

La vicenda di Cucinelli non riguarda un singolo short seller: nei mesi scorsi aveva già subito la spallata di un altro hedge fund “short”, Pertento Partners, e dopo la caduta provocata da Morpheus ha subito le “posizioni corte” (un altro riferimento alla vendita allo scoperto) del fondo Helikon, che influenza il comportamento di diversi investitori di Piazza Affari. Ufficialmente questi operatori si presentano come “guardianidel mercato, in grado di scoprire zone d’ombra e smascherare contraddizioni che sfuggono alle autorità, e in diversi casi – basti pensare a scandali come quello di Wirecard in Germania – hanno avuto ragione, contribuendo a svelare frodi colossali.

Sostengono che senza di loro i mercati sarebbero terreno fertile per l’autocompiacimento delle aziende, tra bilanci troppo rosei e retoriche ingannevoli, ma la loro etica si ferma un passo prima del disinteresse: più il titolo crolla, più guadagnano, perché il modello di business che perseguono si regge sulle vendite allo scoperto (“short sell”) – prendono azioni in prestito, le rivendono a un certo prezzo, le ricomprano quando il valore scende, e traggono profitto dalla differenza tra vendita e riacquisto.

È un confine sottile tra denuncia legittima e speculazione interessata, che rischia di trasformare la verità in un campo di battaglia dove l’obiettivo non è la trasparenza, ma il profitto. È il cortocircuito di un sistema che si autoalimenta: il sospetto vale quanto la prova, e spesso più della prova, perché brucia miliardi in tempo reale. Niente di tutto questo è illegale, e niente è del tutto etico: nella finanza, anche gli sciacalli indossano giacca e cravatta.

Dall’altro lato c’è un’azienda che non si è mai sottratta a nessuna forma di retorica plastificata: il neo-olivettismo di Cucinelli che piace tanto ai giornali, il capitalismo “buono” dei premi produzione e del paternalismo verso i sindacati, ben rappresentato dal borgo “privato” di Solomeo, dove il patron ha deciso financo la disposizione – o la rimozione – delle panchine. Il risultato è un ambiente da cartolina che comunica un’idea di finzione e distacco che non è difficile sovrapporre ad altri ambiti della comunicazione del brand.

Ma Cucinelli è l’unico marchio ad aver annunciato il ritiro dalla Russia degli aggressori per poi restare a farci affari, in maniera lecita o illecita che sia? La risposta è: certo che no. Ed è davanti agli occhi di tutti da anni, come mostrava il reporter Stefano Tiozzo nel marzo 2024.

La maggior parte dei brand, dopo aver proclamato il ritiro indignato dei loro prodotti da Mosca per contribuire alla scomunica di Putin e sudditi, è ben presto tornata a presidiare i mercati russi, con tanto di nomi traslitterati in cirillico (citofonare a Л’Окситан). Dopo aver dichiarato di preferire la morale al profitto, sono tornati all’ovile del denaro quando la guerra ucraina è passata di moda, ma non senza aver incassato un tesoretto reputazionale presso i consumatori occidentali. Una pratica contraria a qualsiasi etica aziendale e commerciale, che però non fa notizia e non desta l’interesse dei giornali fino a quando non vengono coinvolti i soldi – come nel caso di Cucinelli – o la guerra non torna a scaldare i confini. In alcuni casi c’entrano le sponsorizzazioni che le grandi marche regalano a diversi degli organi di stampa che dovrebbero occuparsi di questa e di altre vicende; in altri si tratta di pura e semplice sciatteria della nostra informazione nei confronti del lavoro.

In conclusione, il capitalismo umanistico di Cucinelli e il capitalismo predatorio di Morpheus sono due facce dello stesso sistema. Entrambi vivono grazie alla fiducia dei mercati, e se il primo può cadere in un giorno, il secondo vive proprio di quella caduta, procurata a suon di dossier e reportage interessati. Il punto sta proprio qui: se le inchieste non provengono da chi dovrebbe svolgerle senza secondi fini, l’informazione diventa un’arma, e la linea che separa la trasparenza dalla manipolazione svanisce del tutto. Così diventa impossibile distinguere ciò che vogliamo da ciò che non vogliamo, e anche Robin Hood diventa troppo simile ai corrotti che un tempo combatteva.

 

 

 

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Photo credits: italia-informa.com

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