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Quanto costa un giornale cartaceo, oggi? O troppo, o troppo poco: gli editori praticano variazioni quotidiane di cui distributori e edicolanti vengono a sapere la mattina stessa in cui ricevono le copie. Le ragioni sono diverse, o a volte non ci sono, ma il disamore dei lettori passa anche da qui
Ce lo devono dire gli edicolanti come sta il giornalismo in Italia, i pochi rimasti a presidiarlo. Mentre sto in fila davanti al chiosco di una piazzetta toscana (che non cito per non creare disagi; anche Alberto è un nome di fantasia, e l’uomo in carne e ossa che mi ha dedicato quaranta minuti per portarmi nel suo mondo mi ha chiesto espressamente di non fare riferimenti a lui, tranne l’età) assisto a una discussione tra il signore che mi precede e, appunto, Alberto, titolare dell’edicola.
La questione è che il quotidiano che compra sempre costa oggi 80 centesimi in più, solo quel giorno. L’edicolante gli mostra un foglio: è la bolla mattutina del distributore, e c’è scritto in effetti che il prezzo varia. Lo leggo coi miei occhi, chiedo spiegazioni.
«Da un po’ di tempo noi edicolanti tra il giovedì e la domenica ci aspettiamo continue modifiche e variazioni di prezzi, che tra l’altro veniamo a sapere la mattina stessa all’alba, quando arrivano giornali e bolle. L’editore avvisa all’ultimo minuto il distributore, che a sua volta avvisa all’ultimo minuto noi edicolanti. Il prezzo di copertina è stampato e aggiornato con la variazione. A volte trovano la scusa di un inserto, a volte il prezzo varia a prescindere.
«Ormai da tempo gli editori fanno quello che vogliono e dell’informazione seria non gli interessa più niente. Il fatto è che gli inserti non li vuole quasi nessuno, sapesse quanti me li lasciano quando sono venduti in abbinata, e la gente si indigna quando deve pagare qualcosa che non vorrebbe e non trova più nel giornale ciò che prima c’era, cioè notizie vere, lavoro vero di giornalisti a cui veniva chiesto di fare il proprio mestiere. Anche se sappiamo bene che gli editori hanno sempre fatto i loro interessi, mai come negli ultimi anni attuano politiche di prezzo senza logica pur di accontentare gli inserzionisti, che ci guadagnano senza ombra di dubbio, altrimenti non starebbero al gioco. Il prezzo è diventato una vergogna.»
Alberto mi spiega che La Nazione il sabato costa adesso 2,30 euro, rispetto ai soliti 1,80. Poi si lascia andare: secondo lui è l’ennesimo esperimento per traghettare il costo in alto, un passo alla volta.
«Ci dicono: proviamo una settimana, due, e vediamo che succede. Alla fine magari perdono qualche lettore, ma le casse si sono riempite un po’ di più e a loro basta guardare quei piccoli segni in più a fine mese senza minimamente interessarsi dei sentimenti dei lettori. Oppure l’operazione che fanno con Vanity Fair, che il martedì esce a volte con La Nazione di Firenze senza variazione sul prezzo di copertina del quotidiano: ci rendiamo conto di quanto si svaluta il peso di un giornale se lo regaliamo? Lo possono regalare perché dentro non ci sono più contenuti, ma solo pagine pubblicitarie e interessi aziendali. Senza dimenticare che poi quello stesso numero di Vanity Fair esce il giovedì, di prassi, ma le persone restano disorientate perché si tratta dello stesso prodotto.
«Pensiamo anche alla qualità degli inserti: ormai i giornali si copiano tutti, negli stessi giorni della settimana vendono contenuti simili, e il livello è sceso così in basso che io mi chiedo: davvero gli editori della Nazione pensano che il loro inserto del lunedì dedicato all’economia sia di un livello tale da spingere i lettori interessati al tema a comprare proprio la Nazione, proprio per quell’inserto? Ma non scherziamo. Il livello di quelle pagine scritte da firme non specializzate è solo una montagna di publiredazionali più o meno camuffati e di finta sostanza. Prendo La Nazione come esempio perché qui in Toscana è quello che vende di più nel locale, ma vale per tanti altri editori.»
Alberto conosce bene il male di cui parla.
Una quindicina di anni fa, la domenica non gli bastava il pacco con le quaranta copie della Gazzetta dello Sport, così come non gli bastava il pacco da trenta del Corriere della Sera. E parlo di una cittadina di provincia medio-piccola. Fa una sosta mentre parla che non capisco, lì per lì, se cerchi di rimandare indietro la rabbia o di non far uscire un dolore.
«Io questo lavoro l’ho scelto perché ci credevo, e anche le persone credevano nella bellezza di leggere un giornale, si fidavano. Chi compra adesso un quotidiano lo fa solo per inerzia, perché lo fa da venti, trenta, quarant’anni, oppure perché ha sentito nominare un articolo su quel giornale dalla radio o dalla televisione; oggi, per esempio, ho venduto più copie del solito del Corriere, e non so perché, ma quando è così dipende da qualche ripetitore esterno. Certo il digitale ha portato via tantissimo alle vendite cartacee, ma io sono convinto che i lettori si sono anche schifati di quello che gli editori e le redazioni mettono in pagina. Non è sempre colpa della tecnologia o dell’intelligenza artificiale: stiamo attenti a non trovare alibi per nascondere responsabilità.»
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Photo credits: larassegna.it
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