Maglia nera, altro che rosa. Il part time involontario colpisce più le donne

Il part time in Italia riguarda soprattutto le lavoratrici, specie se involontario: secondo i più recenti dati Censis ed Eurostat le donne lo subiscono tre volte di più

Part time involontario, un problema femminile: una lavoratrice cammina verso cinque orologi che segnano orari diversi

Il lavoro part time è una questione di genere. Inequivocabile la recente analisi condotta da Eurostat, il sito web ufficiale dell’Unione europea, che conferma per l’ultimo trimestre 2022 una forbice ormai consolidata nel tempo.

In generale sono infatti il 28% le donne impiegate a tempo parziale, contro l’8% totale dei maschi. Ad aggravare il trend il dato relativo alle mansioni generiche, che porta la differenza al 48% per le donne, contro il 19% dei colleghi maschi.

La percentuale più bassa, invece, si riscontra nelle posizioni manageriali, dove al 10% femminile si oppone il 3% delle prime linee di sesso maschile.

All’Italia non spetta il primato delle differenze nel part time, ma c’è poco da festeggiare

Nella speciale classifica dei Paesi europei le differenze più importanti si riscontrano in Olanda, Austria, Germania Belgio, con percentuali di part time al femminile che vanno da oltre il 60% olandese al 40% belga. Per onore di cronaca bisogna sottolineare, però, che nella terra dei tulipani si riscontra un sorprendente dato di uomini assunti con orario ridotto: più del 20%.

In coda alla classifica tutti gli stati dell’Est, tra cui Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Romania, dove per la verità non c’è una grande tradizione in tal senso, come si evince dal grafico che proponiamo qui sotto (fonte: Eurostat).

 

 

E l’Italia? Un quinto posto tutto sommato in linea con il sentore comune, che vede i lavoratori uomini sotto il 10% e le donne, al contrario, appena sopra la quota del 30%.

Part time involontario, i dati Censis: la precarietà è giovane ed è donna

In un mercato del lavoro dove le differenze di genere si denotano ancora in maniera evidente sotto ogni profilo (con buona pace delle certificazioni di sostenibilità sociale e dei rapporti di parità), il primo pensiero è che questi gap siano per la maggior parte riconducibili a questioni di welfare. Sintetizzo: rientri post-gravidanza fino al terzo anno del figlio o della figlia, decisioni consapevoli e volontarie per equilibrare la bilancia vita-lavoro.

Che si tratti di un generico luogo comune ce lo conferma il VI rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale. L’indagine, i cui dati risalgono al 2022, evidenzia come in Italia ben un lavoratore su dieci presta servizio a tempo parziale in modo involontario. Ricordiamo che l’ISTAT rileva con questa voce i lavoratori che accettano il part time in assenza di proposte full time. Ebbene, questa media che porta al citato 10,3% è costituita da un 16,7% di femmine e appena dal 5,7% di maschi.

Sviscerando il tema per classi di età, si scopre che tra i giovani (15-24 anni) addirittura il 30,5% delle ragazze sostiene di svolgere un part time involontario, una su tre. Tendenza in linea con quanto emerso nelle altre fasi della vita professionale, dove la distanza tra mondo maschile e femminile non scende praticamente mai sotto i dieci punti.

 

 

Insomma, come sottolinea la Fondazione Censis, la precarietà è “giovane e ancor più donna”.

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