In un mercato del lavoro dove le differenze di genere si denotano ancora in maniera evidente sotto ogni profilo (con buona pace delle certificazioni di sostenibilità sociale e dei rapporti di parità), il primo pensiero è che questi gap siano per la maggior parte riconducibili a questioni di welfare. Sintetizzo: rientri post-gravidanza fino al terzo anno del figlio o della figlia, decisioni consapevoli e volontarie per equilibrare la bilancia vita-lavoro.
Che si tratti di un generico luogo comune ce lo conferma il VI rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale. L’indagine, i cui dati risalgono al 2022, evidenzia come in Italia ben un lavoratore su dieci presta servizio a tempo parziale in modo involontario. Ricordiamo che l’ISTAT rileva con questa voce i lavoratori che accettano il part time in assenza di proposte full time. Ebbene, questa media che porta al citato 10,3% è costituita da un 16,7% di femmine e appena dal 5,7% di maschi.
Sviscerando il tema per classi di età, si scopre che tra i giovani (15-24 anni) addirittura il 30,5% delle ragazze sostiene di svolgere un part time involontario, una su tre. Tendenza in linea con quanto emerso nelle altre fasi della vita professionale, dove la distanza tra mondo maschile e femminile non scende praticamente mai sotto i dieci punti.

Insomma, come sottolinea la Fondazione Censis, la precarietà è “giovane e ancor più donna”.