Che Italia siamo senza ambulanti e fiere di paese?

I lavoratori delle fiere di paese sono in ginocchio. Marrigo Rosato, segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Ambulanti: “È vero, il sommerso c’è e c’è stato, ma adesso non ci sostiene nessuno”.

Da dove scrivo, Pasqua non è “solo” la più importante festività religiosa dell’anno, ma molto di più. In una settimana ad Alatri, un borgo del basso Lazio, fiumi di persone si riversano nei vicoli districandosi in una convivenza tra sacro e profano sdoganata dal tempo, e confermando proprio in quei giorni la loro identità di città. Non è questo, in fin dei conti, il potere delle tradizioni?

In quei sette giorni processioni, funzioni religiose e ceri si alternano naturalmente con le bancarelle di dolciumi e di vecchi cd musicali, creando un microcosmo nel quale il latino delle preghiere e il neomelodico dei venditori più audaci sembra abbiano vissuto sempre insieme.

La rievocazione storica della Passione, che si svolge il Venerdì Santo e che coinvolge oltre duecento figuranti, ne è la perfetta sintesi. Parteciparvi – da spettatori o da protagonisti – è diventata un’abitudine per tutti gli abitanti di zona, al pari del dolce tipico di una ricorrenza. Quasi come dire: non è Natale senza panettone, non è Pasqua senza processione.

Il clima di festa però inizia il giorno, prima con il tradizionale rito dei “sepolcri” (“fare i sepolcri” è un modo di dire tipico del meridione che identifica il visitare sette chiese durante la sera del giovedì) e la sua versione pagana dei “sette bar”.

“In quella settimana, di solito”, mi dice Francesco, proprietario di uno dei bar del centro storico di Alatri, “diamo senso ai primi tre mesi dell’anno, che comprensibilmente per noi ristoratori sono morti. Con tutte le iniziative pasquali e la quantità di persone che si riversa nelle strade, in sette giorni incassiamo quello che solitamente guadagneremo in un mese.”

Dicevo una settimana, però, perché qui dove vivo le festività iniziano il giovedì e si prolungano oltre il Lunedì dell’Angelo dato che il santo patrono viene celebrato, per esigenze logistiche e tradizione, il mercoledì successivo alla Pasqua. E proprio quel giorno il paese esplode attorno alla titanica statua raffigurante il santo che viene trasportata a spalla per tutto il centro storico, accompagnata da urla, preghiere e lacrime di commozione.

Oltre il sacro; giostre, luminarie, musica dal vivo, artisti di strada e ambulanti concorrono a dar vita a quella festa nella quale le stesse strade, le stesse persone di tutti i giorni sono più belle e un po’ speciali.

L’emergenza COVID-19 ci ha privati di tutto questo, e probabilmente possiamo farne a meno, ma ai professionisti della festa ha tolto qualcosa in più.

Ansiolitici e incertezza: l’economia delle fiere di paese alla canna del gas

Fabrizio ha un ristorante che sta per chiudere. I 3.660 euro d’affitto sono diventati insostenibili, ma è anche un’istituzione delle sagre e delle processioni con il suo camion dei panini che troneggia in ogni festa di paese. Durante la Settimana Santa, tra il giorno della processione e quello del patrono, il suo volume di affari si aggira intorno ai 70.000 euro, generato da 15 ragazzi e ragazze che lavorano con lui nel corso della stagione.

“Molti di noi hanno iniziato con gli ansiolitici. Non sappiamo cosa fare, dove metterci, ma soprattutto non capisco perché i mercati si possano fare e le fiere no. E pensare che anche i mercati all’aperto sono stati messi in discussione senza che mai un dubbio abbia riguardato i centri commerciali, che invece sono al chiuso.”

“Le fiere non si fanno, la Pasqua è saltata e il nostro comune non ha neppure regolamentato un piano per permetterci perlomeno di posizionarci in un’area dedicata. Se continua così salgo sul camion, metto in moto e mi fermo nel posto che ritengo migliore senza pensare ad alcuna autorizzazione. Che poi vengano a dirmi qualcosa, dobbiamo pur vivere in qualche modo. Vogliamo farlo facendo il nostro lavoro.” 

Fino a ora ho parlato della mia città, un borgo del basso, Lazio ma purtroppo la drammaticità della situazione è estendibile a tutto lo stivale. I Vattienti di Nocera Terinese, l’Abballu de li diavuli a Prizzi, i Pasquali di Bormio o la processione dei misteri di Trapani quest’anno non si faranno.

“Sono giorni che vengo in ufficio e guardo fisso il monitor del mio computer”, mi dice Silvio, titolare di un’azienda di luminarie nel beneventano. “La segretaria l’abbiamo mandata a casa, non sapevamo cosa farle fare, e i ragazzi che montano le strutture sono in attesa di una qualche risoluzione. Ma la vera cosa che mi preoccupa è il futuro. Il nostro lavoro ha bisogno di essere pianificato con 6/7 mesi di anticipo e richiede investimenti. È l’incertezza a gettarci nello sconforto.”

Lo sciopero degli ambulanti del 6 aprile

Nonostante l’evidente importanza di queste festività, degli ambulanti e dell’indotto che genera una filiera simile, l’argomento resta relegato ai trafiletti di giornali e a discussioni non certo di prim’ordine su tavoli della politica. Perché?

“È esattamente questa la domanda che noi rivolgiamo al governo”, mi dice Marrigo Rosato, segretario nazionale dell’ANA-UGL, l’Associazione Nazionale Ambulanti, che per puro caso ho scoperto essere di un paesino non lontano dal mio. “Perché? Il 6 di aprile si è svolta una giornata di mobilitazione nazionale e vogliamo far partire una richiesta di incontro a Draghi, Giorgetti e Franco per avanzare le nostre richieste. Abbiamo fatto altre manifestazioni e continueremo a farle perché sentiamo forte la disattenzione delle istituzioni verso la nostra categoria. I prossimi 10-15 giorni saranno decisivi”.

Gli aiuti che sono stati erogati, come immaginabile, scontentano molti se non tutti. “Il mio codice ATECO – mi dice Massimo, che da tre generazioni vende noccioline nelle fiere di paese – non è stato proprio contemplato. In un anno ho ricevuto per due volte seicento euro ed è impensabile andare avanti così. Oggi vivo alla giornata, facendo qualsiasi lavoretto mi capiti sottomano.”.

“Abbiamo fatto del sommerso, ma gli aiuti servono anche a noi”

Il problema però è anche un altro. Lo standard adottato dal governo per stabilire gli importi delle sovvenzioni è il fatturato delle precedenti annualità, ma per gli ambulanti il delta tra il dichiarato e l’incassato è sempre stato estremamente ampio.

“Il sommerso – ha proseguito Rosato – c’è e c’è stato, ma è un’arma di difesa. Oggi non siamo sostenuti da nessuno, le banche non ci concedono mutui o finanziamenti ed erogare i contributi sul fatturato porta a pagarne le conseguenze.”

“Per questo stiamo chiedendo al governo di dare un contributo che sia diversamente commisurato. Se a un’impresa con un volume di affari di 10 milioni si fanno arrivare 150.000 euro si è fatta un’operazione praticamente irrilevante. Bisogna aiutare i piccoli a resistere e a superare questo momento. Vorremmo che fosse direttamente lo Stato a dare liquidità tramite un finanziamento ai piccoli commercianti, permettendo loro di restituirlo in un ampio lasso di tempo.”

Quello che una festività come la Pasqua cela, oltre il senso religioso per chi lo vive, è articolato e di grande portata.

Da una parte c’è un significato socioculturale la cui dimensione è spesso inversamente proporzionale alla dimensione del luogo. Sempre Silvio mi ha detto: “Nelle piccole contrade, a maggior ragione in quelle un po’ dimenticate, le persone vivono in funzione di quella ricorrenza, nella speranza di potersi ritrovare in strada tutti insieme e dire all’unisono: noi ci siamo”.

Dall’altra c’è un’economia, e quindi intere famiglie, che vive su questo, che trova nelle fiere di paese quel modo di diventare parte della tradizione e quindi di sopravvivere: mica noccioline.

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