Il legame tra le università italiane e l’industria delle armi israeliane è oggetto di crescente attenzione ed è stato messo in luce anche dall’organizzazione olandese di ricerca Stopwapenhandel. Accordi consolidati coinvolgono importanti istituzioni accademiche italiane, come il Politecnico di Torino e di Milano e l’Università di Bologna, e aziende belliche israeliane di spicco, come Elbit, Israel Aerospace Industries e Rafael.
Nel frattempo, circa 2.800 (al momento in cui scriviamo) tra docenti, studiosi e ricercatori hanno firmato una lettera aperta al ministero degli Affari Esteri, chiedendo la sospensione del bando per la cooperazione tra istituzioni italiane e israeliane nella ricerca scientifica. I firmatari temono che i finanziamenti possano essere utilizzati per sviluppare tecnologie dual use, con possibili impieghi militari. La lettera evidenzia anche le devastanti conseguenze delle operazioni militari israeliane sulla Striscia di Gaza, che hanno distrutto il sistema educativo locale, comprese le università, parlando di un vero e proprio “scolasticidio”.
Abbiamo raccolto le parole di alcuni degli accademici che hanno firmato la lettera al MAECI per farci spiegare le loro motivazioni.
Paolo Piseri, professore associato di Fisica presso l’Università degli Studi di Milano, ha espresso il suo supporto all’iniziativa come un atto pacifico per fermare la violenza.
“Non mi sono voluto soffermare su i possibili distinguo dal dito che indicava al massacro, ma ho ritenuto necessario contribuire a portare l’attenzione verso ciò che l’appello in sostanza denuncia, ossia che è dovere costituente di chi rappresenta la nostra Repubblica agire diplomaticamente perché l’azione di guerra attuata da Israele sia fermata”. Anche se per lui “il boicottaggio è strumento odioso e può infliggere sofferenze anche su soggetti non responsabili di ciò che si intende correggere, tuttavia è un’ultima ratio accettabile a cui accedere per operare forzature tra Stati”.
Lorenzo Zamponi, professore associato di Sociologia alla Scuola Normale di Pisa, considera inaccettabile qualsiasi collaborazione scientifica che possa avere implicazioni militari, specie in un momento di crisi umanitaria a Gaza. Sebbene non sia favorevole ai boicottaggi accademici, crede “che i governi occidentali siano da troppo tempo complici dell’oppressione del popolo palestinese da parte di Israele, e che un segnale di dissenso forte vada dato, soprattutto nel contesto drammatico dell’offensiva a Gaza”.
Anche Gloria Berlier, professoressa ordinaria di Chimica presso l’Università degli Studi di Torino, ha firmato la lettera per principio, preoccupata per l’eventuale utilizzo bellico delle ricerche.
“L’idea di impedire collaborazioni scientifiche tra Paesi è una cosa che non mi trova favorevole – dice – come quando il ministero italiano decise di interrompere le collaborazioni scientifiche con la Russia”. Sebbene sostenga la collaborazione scientifica come veicolo di pace, per Berlier il rischio di dual use nei progetti di cooperazione con Israele l’ha convinta a sottoscrivere l’appello.
Abbiamo provato a contattare anche il comitato estensore della lettera rivolta al MAECI e i collettivi Cambiare Rotta e Fisica Sapienza di Roma, che però non hanno voluto rispondere alle nostre domande di approfondimento. Queste testimonianze riflettono la complessità delle opinioni accademiche sull’argomento, con una varietà di punti di vista che convergono però sul desiderio di fermare la violenza e promuovere la pace, pur riconoscendo le sfide e le implicazioni etiche della ricerca scientifica congiunta.
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