Buoni Pasti è la rubrica aperta a coloro che vogliano segnalare in tutta Italia ristoranti, enoteche e locali particolarmente indicati per pause pranzo o cene di lavoro, con un occhio attento non soltanto al menù ma anche al contesto e ai servizi offerti. Gli articoli sono coordinati e curati da Elena Farinelli ma Senza Filtro […]
Binge watching: spettatori che guardano troppo
L’exploit delle piattaforme di streaming insegue e incoraggia la pratica di visione compulsiva delle serie tv, ma la dipendenza la fanno le storie ben congegnate e personaggi ben scritti. Intervistiamo Giorgio Grignaffini, docente e direttore editoriale di TaoDue
“Si definisce binge watching la fruizione di un gran numero di episodi consecutivi della serie in un tempo ristretto”.
Così scrivono Giorgio Grignaffini e Nicola Dusi in Capire le serie tv. Generi, stili, pratiche (Carocci editore). Questo comportamento compulsivo è sempre più studiato nei suoi effetti collaterali da medici e ricercatori. Superata una soglia definita problematica, la pratica del binge watching può infatti causare scollamento dalla realtà o insonnia, proponendo schemi simili ad altre forme di dipendenza (come ad esempio i videogiochi).
In questo articolo, però, non parleremo delle conseguenze sul fronte della salute mentale e fisica, ma dei meccanismi produttivi e narrativi che assecondano il fenomeno.
C’era una volta l’home video: la rivoluzione di Netflix
Pratiche di consumo come il binge watching sono il frutto dei cambiamenti avvenuti negli ultimi quindici anni nel mondo della serialità, come ci aiuta a ricostruire Giorgio Grignaffini, direttore editoriale di Taodue, ma anche docente e ricercatore presso l’Università Cattolica e lo IULM di Milano, nonché autore di numerosi saggi.
La rivoluzione risale al 1 febbraio 2013, quando Netflix rilascia tutti i 13 episodi in contemporanea di House of Cards, la sua prima serie originale, con Kevin Spacey. “Perché il binge watching esplodesse, serviva la distribuzione digitale”, spiega Grignaffini. Netflix ha fatto del binge watching uno degli elementi distintivi della propria offerta di contenuti, facendo accedere lo spettatore (abbonato) a un archivio di titoli in crescita costante.
“Rendere disponibile l’intero cofanetto di episodi ha infranto un tabù e modificato un meccanismo produttivo consolidato nelle reti generaliste americane: difficilmente i grandi network ordinavano una serie sulla base della sceneggiatura; si realizzava una puntata pilota che veniva poi testata. Solo in caso di ricezione positiva dell’audience si procedeva con la produzione dell’intera stagione”. Il cambiamento di paradigma ha “modificato radicalmente il concetto stesso di serialità, fondato in precedenza solo sul palinsesto, sulla periodicità e sull’attesa di un appuntamento che avveniva a cadenza regolare (di solito settimanale), favorendo la visione compulsiva delle puntate in qualsiasi momento”.
Ormai la pratica del binge watching appartiene in maniera trasversale a molte fasce di spettatori e si può dire sia quella privilegiata dalle nuove generazioni, che riscoprono sulle piattaforme titoli di enorme successo a loro precedenti – Friends, Breaking Bad o anche Un medico in famiglia – e contribuiscono alla scoperta di prodotti rimasti in sordina sulla tv generalista come Mare fuori, serie Rai divenuta un caso solo dopo l’inserimento nel catalogo Netflix. I primi sei episodi dell’ultima stagione, rilasciati su RaiPlay, hanno infatti battuto ogni record di visualizzazione già nella prima notte di diffusione.
“È un fenomeno interessante come gli adolescenti oggi vivano la fruizione dei media generalisti in maniera discontinua e frammentaria, in linea con il loro uso dei social, trovando invece ancora una capacità immersiva nelle serie, di cui sono disposti a vedere molti episodi uno dietro l’altro”, commenta Giorgio Grignaffini.
Il modello “abbuffata” influenza la scrittura delle serie?
“Le serie prodotte secondo i modelli della distribuzione televisiva (sia reti generaliste che a pagamento, come Sky) erano più congegnate attorno alla disseminazione dei cliffhanger, ossia ganci che sospendono la narrazione, lasciando domande aperte o azioni in sospeso in corrispondenza di una pausa pubblicitaria, e soprattutto della fine dell’episodio, creando ancora più attesa per il successivo”, spiega Giorgio Grignaffini. Un esempio per tutti: la botola nell’ultimo episodio della prima stagione di Lost.
L’espediente del cliffhanger è un pilastro di tutta la serialità, a partire dai romanzi a puntate sui giornali dalla metà dell’Ottocento. In molte delle serie create per piattaforme quali Amazon Prime e Netflix, prosegue il direttore editoriale di Taodue, “la scrittura non è più alla ricerca spasmodica di questi meccanismi, soprattutto all’interno dell’episodio. Si tende poi a adattare meno il racconto a formati standard come quelli dei procedural o dei medical drama, che prevedono episodi autoconclusivi, in cui a variare è solo il caso di puntata. Diventa fondamentale costruire una continuità diretta molto forte tra un episodio e quello successivo, e questo se vogliamo può favorire il binge watching”.
I dati raccolti sulle abitudini e sulle scelte di visione – oltre che le analisi dei commenti sui social media – determinano raccomandazioni personalizzate agli utenti e guidano lo sviluppo dei nuovi contenuti. “In America lavorano in modo diverso, ma come responsabile editoriale nella produzione di serie tv, resto dell’idea che l’obiettivo deve sempre essere quello di saper agganciare il pubblico alla storia episodio dopo episodio, prestando grande attenzione al percorso di costruzione del finale”, aggiunge Grignaffini, la cui TaoDue porterà in autunno sulle reti Mediaset I fratelli Corsaro (con Beppe Fiorello), Maria Corleone 2 e la seconda stagione de Il Patriarca.
Come le serie tv creano dipendenza
Il volume Addicted: serie tv e dipendenze (LiberAria, 2017), curato da Carlotta Susca, analizza in cinque saggi il sistema di dipendenza dalla serialità audiovisiva.
Leonardo Gregorio prende in esame la dipendenza dell’universo seriale dal cinema, con le possibilità per le storie di espandersi nel passaggio dal grande al piccolo schermo (Fargo). Ormai anche la serialità mette in produzione spin-off (Better Call Saul), prequel, revival (Una mamma per amica. Di nuovo insieme) e reboot, per non parlare dell’adattamento di romanzi di successo e saghe bestseller che meglio si prestano al modello seriale (Game of Thrones, Bridgerton).
Michele Casella si concentra, invece, sulla costruzione di mondi seriali attraverso la musica e la dimensione sonora (Twin Peaks). Jacopo Cirillo viviseziona cinque titoli (The Affair, Fleabag, Ray Donovan, Love, You’re the Worst) che rappresentano cinque sfumature di dipendenza affettiva, delineando i dispositivi narrativi che i creatori usano per far immedesimare gli spettatori. Carlotta Susca pone l’accento su quello che abbiamo visto essere un tassello fondamentale, ossia il finale, da cui si tira il bilancio della storia e della serie.
Ci interessa, in particolare, l’indagine di Marika Di Maro sulle strategie di fidelizzazione che alimentano la dipendenza dello spettatore. Individua storie “plot driven”, basate sulla costruzione di intrecci ben congegnati in grado di imprigionare il fruitore nella ricerca della risoluzione, e storie “character driven”, fondate sull’efficace sviluppo di un personaggio e sul legame che intrattiene con lo spettatore, sempre più interessato al suo arco evolutivo. L’esempio proposto è quello dei protagonisti della comedy The Big Bang Theory e, soprattutto, del complesso e geniale Sheldon Cooper.
“La vera dipendenza – suggerisce il libro – è dalle storie”.
Il parziale dietrofront sul binge watching: “Insostenibile”
Dopo il boom della pandemia, per far crescere i clienti e mantenere il controllo dei conti in un mercato sempre più competitivo, Netflix ha attuato diverse strategie, dallo stop della condivisione della password all’introduzione dell’abbonamento con pubblicità. Il leader mondiale dello streaming video annuncia a novembre 2023 la volontà di premiare il binge watching per chi usufruisce del Piano pubblicità: se guardi tre episodi di fila, il quarto è senza adv.
In realtà, tuttavia, anche Netflix sta compiendo un parziale dietrofront per quanto riguarda il modello binge, spezzando alcune stagioni dei suoi titoli più famosi in due volumi, come Stranger Things, Emily in Paris, Bridgerton 3. Altre piattaforme, del resto, come Apple TV+ e Disney+ già distribuiscono alcune serie alla vecchia maniera, con un episodio alla settimana: Ted Lasso, Scissione, Shogun e Tracker. È una strategia funzionale a trattenere gli abbonati e non bruciare tutto il prodotto.
“Il modello binge watching può essere anche controproducente, perché è economicamente insostenibile continuare a produrre materiale originale con i numeri di prima. La tendenza sarà per me quella di un rallentamento produttivo”, sostiene Grignaffini. I giganti dello streaming si stanno aprendo a sport, giochi, documentari e contenuti sempre più generalisti. Il futuro del binge watching è ancora tutto da scrivere.
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