25 anni dopo: la morte sul lavoro non invecchia di un giorno

Intervistiamo Barbara, vedova di un giovane uomo vittima di un incidente mortale in un cantiere nel 1998: “Un decennio per fare giustizia. E ora nostra figlia lavora nello stesso campo”

Morte sul lavoro: le mani di una moglie che ha perso il marito in un incidente lavorativo

Un sospiro lungo un minuto. Da parte di entrambe. Questa è stata la prima reazione davanti all’inevitabile domanda. Mi racconti come è cambiata la vostra vita dopo l’incidente?

Era il 3 luglio del 1998, sono passati 25 anni ma queste ferite non guariscono. Non ci sono piastrine in grado di rimarginare in modo definitivo, possono lavorare per anni sotto e sopra la pelle, ma la ferita brucia sempre.

Fabio aveva 29 anni e faceva l’idraulico in un cantiere in zona Arcoveggio, un quartiere molto popolato della periferia bolognese. La sua azienda si era impegnata a trasferire e montare alcune attrezzature sul tetto di un fabbricato e, mentre spostavano un macchinario dal pavimento al tetto, la gru che lo manovrava ha ceduto e Fabio è rimasto schiacciato sotto il peso di quella macchina, che si era portata dietro anche il braccio della gru.

Mentre parla, Barbara cerca di ricostruire tutti i particolari sfogliando i documenti che ha tenuto ordinati in una cartella, insieme a tutti gli articoli di giornale usciti in seguito all’incidente. Le dico che non importa, non voglio sapere i particolari e soprattutto non voglio riportarla alle immagini di quei giorni. O almeno non voglio che lo faccia per me.

Lei era una mamma di appena trent’anni (e sua Figlia Jessica ne aveva nove) quando, all’improvviso, ha ricevuto la visita dei suoi genitori sul posto di lavoro. “Ero in ufficio quando ho visto entrare mia mamma e mio padre: mia mamma aveva ancora i bigodini in testa mentre cercava di dirmi dell’incidente. Io non capivo nulla, continuavo a fare domande e loro non riuscivano a dirmi che era morto”.

Ci prendiamo un attimo di pausa perché rivangare quella scena fa male a entrambe.

Lei non è abituata a parlarne, ha passato anni chiusa in sé stessa cercando di non far trapelare la sua sofferenza, in primis alla figlia, ma anche ai genitori, e in seguito al nuovo compagno. Ha accettato questa intervista solo per un motivo: “La situazione non è affatto migliorata negli anni, gli incidenti sul lavoro accadono tutti i giorni e so che c’è tanta sofferenza nelle famiglie di chi resta, ma spero che la mia storia e la mia esperienza possano essere utili a qualcuno che oggi sta passando quell’inferno”.

Anche io non ero preparata a questo gesto, a questa motivazione. E mi sto chiedendo se riuscirò a trasformare questo articolo in qualcosa di utile per chi legge, per chi deve affrontare una perdita improvvisa, inaspettata e soprattutto ingiusta.

Dieci anni di lotta per arrivare a sentenza: “Aver trovato i responsabili toglie un peso”

Tuo marito, giovane e sano, esce di casa la mattina e non torna più. Come lo spieghi a tua figlia che ha nove anni? Come spieghi a tua figlia che fa le elementari che nessuno è stato giudicato responsabile della morte di suo padre? Sì, perché all’inizio l’evento è stato archiviato come una tragica fatalità, e Barbara ha dovuto anche fare ricorso per ottenere giustizia. Anni in cui non ti viene concesso di elaborare il lutto perché sei di continuo con il pensiero incastrato tra giudici, avvocati, sentenze sbagliate e tribunali che ti succhiano il sangue. Anni in cui devi sempre testimoniare, rivangare. Per dieci anni.

Anche dopo aver vinto il ricorso, Barbara fa fatica ad accettare i fatti, perché se lei ha avuto giustizia c’è qualcuno che la giustizia l’ha subita. Il suo pensiero va al guidatore della gru che all’inizio è stato il primo accusato.

“In seguito, sono stati chiamati in causa anche l’azienda e il manutentore, ma dopo il ricorso, il primo su cui hanno scaricato tutte le colpe fu proprio il manovratore della gru. Un uomo che a parer mio non aveva nessuna colpa, un uomo che ha dovuto vedere coi suoi occhi quello che è successo e che vivrà sempre con quelle immagini in testa. Un uomo di 55 anni che è stato rovinato dal punto di vista economico, che ha avuto la fedina penale sporca, perché accusato di omicidio colposo, e che dopo quell’episodio non è più riuscito a trovare lavoro, ma che in realtà era solo il dipendente di un’azienda che non aveva fatto i dovuti controlli. Io comunque non ho mai voluto vedere queste persone, non voglio neanche sapere che faccia hanno.”

Non le ha mai viste, eppure riesce a esprimere dolore e una certa compassione anche per il guidatore e per tutto quello che lui e la sua famiglia hanno dovuto passare.

Quando le ho chiesto se qualcosa è cambiato in lei dopo la sentenza, Barbara ha risposto in maniera concreta e senza rabbia: “Dopo la prima sentenza non avevo niente in mano, per fortuna lavoravo e non avevo debiti, ma se avessi avuto anche solo un mutuo, cosa normale per le famiglie anche trent’anni fa, non ce l’avrei mai fatta. E poi dovevo pagare gli avvocati. Alla fine ho ottenuto una cifra che mi ha permesso di vivere senza dover fare i conti con le bollette a fine mese, ma solo dopo dieci anni. E sapere che sono stati individuati i responsabili non compensa il dolore, ma ti toglie quel peso che deriva dal senso di ingiustizia subito per anni”.

“Nostra figlia lavora nello stesso campo del padre e vuole capire tutto”

Nel frattempo sua figlia Jessica è diventata maggiorenne. Quando è morto il babbo lei era in quarta elementare e Barbara ha conservato i suoi diari, pagine piene di disegni e di messaggi rivolti al suo papà. Chiede alla Madonna di proteggerlo e allo stesso tempo gli racconta le sue giornate. Come se lui fosse all’estero. In alcune pagine gli fa delle domande e lascia anche lo spazio per le risposte. Spesso lo disegna come un angelo con la cravatta e con le ali, in altre pagine giocano insieme.

Mentre parliamo della figlia, Barbara continua a maneggiare il faldone di documenti. Non li ha letti tutti, anche in questo caso preferisce non sapere proprio tutto. Sua figlia invece, proprio l’anno scorso li ha esaminati uno per uno. Jessica dopo una laurea in scienze della formazione ha deciso di lavorare nello stesso campo del padre, l’edilizia. Decisione davvero insolita dopo quel percorso di studi, e quando Barbara me l’ha detto non ci volevo credere, non pensavo fosse possibile. Con quella esperienza lavorativa come bagaglio ha voluto riguardare, anzi studiare quei documenti.

“Non so però che reazione abbia avuto davanti a quei fogli, perché difficilmente io e Jessica parliamo del dolore, difficilmente torniamo nel passato. Al massimo qualche volta le dico che somiglia tanto a suo padre.”

E Jessica oggi non lascia nulla al caso, lavorando nell’edilizia è attentissima a tutte le normative di sicurezza. Su alcuni cantieri ha anche incontrato gli imprenditori che erano coinvolti nella morte del papà e altre persone che lo hanno conosciuto. L’esperienza del padre l’ha travolta le ha dimezzato l’infanzia, ma le ha anche dato uno stimolo potente, ha portato il suo lavoro su un piano diverso. E ad oggi sta seguendo un corso per specializzarsi nella direzione lavori.

“Questo lavoro l’appassiona – conclude Barbara – ma io sono anche convinta che lo faccia perché vuole capire ancora meglio cosa è successo al padre, approfondire e non fermarsi alla sentenza. Lei vuole sapere tutto. Io rimango coi miei vuoti, con le cose che non voglio sapere e con quello che ho cercato di dimenticare. Comunque, dopo 25 anni piango ancora.”

Ho raccontato la storia di Barbara cercando di avere rispetto del suo dolore e di tutto quello ha passato in questo quarto di secolo. Non mi sono addentrata nelle pratiche legali, ma nella sua vita e nella sua casa sì. Una casa luminosa come lei, che nonostante tutto si è rifatta una vita, ha cresciuto una figlia forte, e oggi è anche una nonna a tempo pieno.

Lei ha rilasciato questa intervista per essere d’aiuto alle famiglie che hanno subito una perdita sul lavoro. Ma l’esempio di una donna che, oltre a dover affrontare un lutto inaspettato e terribile, rimane invischiata per dieci anni nei tribunali senza desiderio di vendetta, ma con uno sguardo attento e rispettoso anche verso chi ha provocato la morte del marito, può essere di ispirazione per ognuno di noi. Insieme alla tenacia di sua figlia, che segue le orme del padre senza pestare i piedi a nessuno.

 

 

 

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In copertina: Barbara mostra fotografie, articoli e un diario che raffigurano suo marito Fabio. Foto di Lara Mariani

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